La costruzione di un Horror – Basketful of Heads
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La costruzione di un Horror – Basketful of Heads

L’horror è probabilmente uno dei generi più complessi da mettere in scena efficacemente; che si tratti di un film, di un romanzo o di un fumetto gli autori devono riuscire a generare delle emozioni genuine nello spettatore, diversamente si rischia di annoiarlo con situazioni prevedibili e cliché stantii. La capacità di spaventare, o di generare uno stato di tensione nello spettatore, è proporzionale al controllo che gli autori hanno sulla messa in scena e sulla quantità di informazioni che inseriscono in ogni singolo beat. Se ad esempio un regista punta al jumpscare (un evento improvviso e inaspettato che spaventa lo spettatore) deve necessariamente escludere dalla messa in scena gran parte delle informazioni in modo da non rovinare l’effetto sorpresa.
Ad esempio:

Mostrare l’assassino nascosto dietro l’angolo con il coltello in mano azzererebbe il potere di una soluzione simile, di contro una scelta del genere mette lo spettatore in una posizione di privilegio – ha più informazioni del protagonista – e lo rende maggiormente incline al coinvolgimento con la scena in sé piuttosto che con il solo finale. [es. “No! Pazza non andare di là! Scappa!” o qualcosa del genere].
Basketful of Heads 2 CoverSe nel primo caso siamo quindi immedesimati con il protagonista, e ci spaventiamo con lui, nel secondo proviamo paura per lui. Cambia il grado di immedesimazione e cambia la risoluzione della tensione ma non cambia il coinvolgimento con la storia.

Possiamo quindi dire che l’efficacia di un fumetto horror o thriller dipende dal controllo delle informazioni date in pasto al lettore.

Rispetto agli altri media, nel fumetto la questione è notevolmente più complessa per via della natura fisica del mezzo di comunicazione: la tavola. Se il cinema e i romanzi presentano le scene in maniera forzatamente sequenziale, il fumetto (a meno che non sia composto da sole splash page) non può non mostrare contemporaneamente più momenti della stessa sequenza. La natura sincronica della pagina costringe il fumetto a dare al proprio pubblico più informazioni nello stesso momento ed è pertanto necessario un controllo delle informazioni ancor più rigoroso che non in altri media.

In Basketful of Heads Leomacs traduce questa necessità di controllo in un layout ordinato e lineare che risponde a due scopi principali: quello di focalizzare l’attenzione sui singoli elementi (luce, colori, dettagli, inquadrature) all’interno delle vignette e quello di gestire il tempo e il ritmo (in maniera analoga a quanto detto QUI) funzionalmente al pathos che si intende creare.

Se prendiamo in esame Basketful of Heads #2 vediamo che i due layout maggiormente utilizzati dal disegnatore romano sono i seguenti.

Senza dover vedere il contenuto degli stessi ci rendiamo immediatamente conto che il tempo raccontato dalle varie vignette nella tavola è costante: un ritmo uniforme e ossessionante come quello di un rubinetto che gocciola. O come quello suonato dagli archi di una celebre e inquietantissima colonna sonora:

Si tratta anche qui di una questione di controllo, in questo caso del tempo di lettura e del ritmo.

Vediamo adesso come Leomacs e Joe Hill (lo scrittore di BoH) gestiscono questi due elementi per raggiungere l’obiettivo di coinvolgerci nella loro storia.
La tavola di apertura di questo albo si presenta come una serie di tre strettissime strisce verticali dall’aspetto claustrofobico che ricreano il punto di vista di June, la protagonista, che osserva da uno spiraglio della porta del bagno i criminali che si sono intrufolati in casa: la prima vignetta stringe sull’occhio di June mentre le altre due sulla minaccia – resa ancora più chiara dalla presenza del piede di porco – che incombe su di lei.

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Basketful of Heads #2 – Pag 1

 

La prima vignetta ci costringe a guardare negli occhi (nell’occhio) la protagonista, a percepirne la paura e successivamente a condividerne il punto di vista claustrofobico..
Nella pagina seguente il malvivente entra nel bagno ma non trova nessuno e va in un’altra stanza: dov’è finita June? Non lo sappiamo. Lo scopriamo girando la pagina.

Qui gli autori, oltre a svelarci che June è nel cesto della biancheria, continuano a mettere il lettore in un punto di vista prossimo a quello della protagonista: esattamente come lei sentiamo chiaramente le parole, e le urla, degli altri solo nel momento in cui il coperchio del cesto viene alzato. Siamo chiamati a empatizzare con lei e con la sua situazione drammatica che sta vivendo.

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Basketful of Heads #2 – Pag 3

Sempre in questa tavola Leomacs comincia a dettare visivamente un ritmo che gestisce oculatamente nel corso delle pagine successive. Seguendo la lettura all’occidentale per noi canonica, il tempo di ogni vignetta comincia con il suo bordo sinistro e termina con il suo bordo destro ed è per questo che si dice che nel fumetto lo spazio equivale al tempo – non è sempre vero e ci sono molte variabili ma in linea di massima possiamo dire che è così.
Possiamo quindi giungere alla ragionevole conclusione che le quattro vignette della parte superiore durino più o meno la stessa quantità di tempo, creando così quel ritmo costante di cui parlavamo sopra.

L’ultima striscia pone invece un bel dilemma; ributtando la palla in mano al lettore, ormai coinvolto nella narrazione, Leomacs lascia a quest’ultimo l’onere della gestione del tempo: non c’è bordo che delimiti un inizio o una fine e il tempo diventa assolutamente soggettivo (come visto anche QUI) e non facilmente misurabile. Il lettore vive la stessa esperienza, ha la stessa percezione dello scorrere del tempo, di chi, per esempio, nascosto in un cesto della biancheria, si sta chiedendo cosa stiano facendo i criminali.
L’unica indicazione temporale che abbiamo è data un orologio che scandisce le nove e cinquantadue ma solo girando la pagina [“le pagine” in realtà perché in mezzo c’è la tavola relativa ai credits e al titolo dell’albo] scopriamo quanto tempo sia effettivamente passato, ripristinando così un “tempo effettivo” che è immancabilmente diverso da quello percepito da lettori e protagonista.

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Basketful of Heads #2 – Pag 5

Il ritmo continua ad essere costante: le prime tre strisce – di pari dimensione – gestiscono il tempo in maniera analoga a quanto visto sopra, la quarta è strumentale ai fini di ricordare al lettore l’ambientazione, mentre l’ultima si impone per il suo maggior rilievo rispetto alle altre.
La quinta striscia è più grande e contiene un punto focale di maggior peso rispetto alle altre: June è uscita finalmente dal cesto. Così come la ragazza comincia ad esplorare la casa e il suo campo visivo si espande, si allarga anche l’inquadratura, aumentano i dettagli presenti nella vignetta e anche il lettore riceve una maggiore quantità di informazioni. Siamo sempre in una situazione di punto di osservazione contiguo a quello della protagonista: non siamo lei, non ci immedesimiamo con lei, ma siamo in qualche modo compresenti nella scena.

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Basketful of Heads #2 – Pag 6

Si arriva quindi alla pagina successiva, caratterizzata da un layout più complesso, che mostra moltissimi dettagli e indizi, ma la nostra attenzione di lettori è immancabilmente attratta dalla presenza in basso a destra: mentre leggiamo sappiamo già che la protagonista si troverà a fronteggiare il criminale alla fine della pagina, ogni vignetta è un passo verso l’immancabile confronto.

Vale la pena notare che, a differenza di quanto accade al cinema, non abbiamo il minimo dubbio che questo confronto accadrà e, a dirla tutta, essendo questa una pagina posta a sinistra e avendo la pagina successiva di fronte ai nostri occhi nella parte destra dell’albo, sappiamo anche come prosegue l’incontro.

Le successive cinque pagine proseguono, riproponendo varianti del “Layout 1” visto sopra, nelle quali l’azione prosegue costante: June si procura un’ascia, il cattivo estrae una pistola, la tempesta al di fuori peggiore causando un blackout che permette alla ragazza di fuggire verso la spiaggia.

 

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Basketful of Heads #2 – Pag 12

In questa tavola lo spazio non viene più occupato orizzontalmente e Leomacs cambia il ritmo dando una maggiore verticalità alle vignette: il ritmo resta relativamente costante ma la sequenza di eventi si fa più incalzante. La narrazione qui fa leva sull’uso degli elementi interni alle vignette stesse.
In vign. 1 il punto luce in basso a destra conferisce a June l’espressività tipica degli horror movie anni 50 (e dei relativi manifesti come quello qui sotto), qui la carica drammatica dell’immagine è più alta rispetto alle precedenti e prepara il lettore alla successiva escalation di eventi.

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In vign. 2 lo “SPAK”  rosso risuona visibile all’interno della tavola dai toni freddi, uniformi, attirando la nostra attenzione e, in maniera simile nelle due vignette seguenti, la divisa arancione del malfattore spicca su tutto il resto come una minaccia costante.  Dave Stewart – il colorista – ne approfitta per sottolineare anche la presenza del cesto in fondo alle scale (inquadrato poi nell’ultima vignetta), un oggetto che sarà co-protagonista, per così dire, della serie (che si chiama letteralmente “un cesto pieno di teste”). Non è un elemento determinante alla resa della sequenza che stiamo leggendo ma è parte di una fase di semina che rende organico il resto del racconto. Un dettaglio che aggiunge credibilità alla struttura intera.

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Basketful of Heads #2 – Pag 13

Approfittando del layout verticale Leomacs descrive quindi una serie di azioni perpendicolari al senso di lettura, e in quanto tali percepite “meno naturali” dal lettore e quindi più cariche d’azione (vedi QUI). La terza vignetta viene enfatizzata dallo sfondo rosso (richiamato poi dal decoro dell’ascia in vign. 4) che la qualifica come punto chiave della tavola e della sequenza mentre l’ultima vignetta sospende il racconto proprio al suo apice per prepararci alla risoluzione finale. È impossibile che un lettore arrivato fin qui non senta la necessità di voltare pagina.

Come succederebbe in una composizione musicale, Hill, Leomacs e Stewart ci hanno condotto per una serie di sequenze tensive, di false risoluzioni e di ritmo progressivamente incalzante fino al punto in cui il racconto giunge il massimo della tensione che non può risolvere se non in maniera esageratamente spettacolare e appagante per lo spettatore.

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In un meccanismo perfetto che tiene sotto controllo tutti gli elementi del linguaggio fumetto gli autori hanno saputo gestire il tempo, le informazioni e tutti i dettagli espressivi e descrittivi per costruire una sequenza che riesce a coinvolgere emotivamente il lettore centrando l’obiettivo principale di qualunque racconto horror/thriller: emozionare il proprio pubblico.

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