Off Topic – Mitsuru Adachi: lo Zen e la Closure
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Off Topic – Mitsuru Adachi: lo Zen e la Closure

Quello del critico è spesso un lavoro essenzialmente imperniato sull’egocentrismo: dietro la facciata dell’analisi, del servizio ai lettori e tutto il resto, si cela sempre una motivazione autoreferenziale, la necessità di rispondere a una domanda su noi stessi.

“Perché ci piace quello che ci piace?”

Alla fine sta tutto lì: nel dissezionare le nostre opere più o meno preferite non facciamo altro che investigare su noi stessi, sul perché un determinato fumetto faccia presa sulla nostra sensibilità mentre un altro, che magari fa impazzire folle sterminate di fan adoranti, non ci coinvolga minimamente. È un’indagine esistenziale che, come effetto secondario, produce dei testi, delle recensioni, che risultano utili alla comunità di fruitori della stessa opera.

Adachi-Touch

In quest’ottica mi sono sempre interrogato, senza essermi mai risposto fino a oggi, sulla mia apparentemente inspiegabile fascinazione nei confronti dei fumetti di Mitsuru Adachi.
Inspiegabile per motivi molto semplici.
Adachi racconta sempre la stessa storia, sostanzialmente una storia di amori adolescenziali, cambiandone sostanzialmente solo l’ambientazione: il baseball, la box. il baseball, il nuoto, il baseball, il Giappone feudale, il baseball e infine il baseball. Anche i personaggi sono quasi sempre praticamente sovrapponibili, sia da un punto di vista di caratterizzazione psicologica che nel disegno stesso. In linea teorica si potrebbe leggere un solo fumetto di Adachi ed essere a posto, soddisfatti.
Ma non è così.
Aggiungiamo poi che il target di questa/e storia/e è l’adolescente giapponese, che facilmente può ritrovarsi in questi racconti legati a doppio filo alla realtà vissuta dai giovani studenti giapponesi, e non certo da un italiano quasi-cinquantenne come me.

Quindi, sempre in linea assolutamente teorica, a me i fumetti di Adachi non dovrebbero piacere. E invece mi piacciono, e pure tanto. E a quanto mi è dato sapere piacciono a tantissime altre persone che sono al di fuori del target sopra indicato.

L’ipotesi è che questo inspiegabile fascino risieda non tanto nel “cosa” viene rappresentato, quindi nell’intreccio o nella trama, ma nel “come” avviene questa messa in scena.

Non mi hai sentito dirlo

Simbolicamente l’essenza della narrazione di Adachi potrebbe essere riassunta in questo scambio di battute:

Mitsuru Adachi Mix 01

I puntini di sospensione nella seconda vignetta [ricordiamo che il senso di lettura dei manga è da destra verso sinistra] sintetizzano efficacemente lo stile dell’autore: “non mi hai sentito dirlo”

Ma andiamo con ordine.

L’establishing shot

La maggior parte delle sequenze dei fumetti di Adachi cominciano con una variante del canonico Establishing Shot, noto anche come Totale d’Ambiente: un’inquadratura, o una sequenza, necessaria all’allestimento di un contesto che fornisce al lettore le informazioni necessarie per comprendere il mondo in cui si sta addentrando.
[Abbiamo già visto come la corretta gestione di questo aspetto sia vitale nella narrazione QUI]
Nella maggior parte dei casi si tratta di una vignetta molto grande in cui chi disegna cerca di dare quanti più dettagli possibili declinandola secondo la propria sensibilità o necessità.

Parker Darwyn Cooke

In Parker Darwyn Cooke riproduce, sostanzialmente ricalcandola, una foto della New York del 1962 aggiungendo una didascalia che colloca inequivocabilmente il racconto che andremo a leggere. [Nota: Se non avete ancora letto Parker, fatelo]

Aquaman 58 - Robson Rocha

In Aquaman #58 Robson Rocha apre la tavola con un campo lungo che mostra, oltre all’ambiente in cui si svolge l’azione, anche la quasi totalità del cast di personaggi interessati dagli eventi che seguono.

Gli Establishing Shot di Adachi seguono invece una logica diversa, funzionale alle sue intenzioni: non ci dà quasi mai un vero e proprio Totale d’Ambiente ma si concentra sui dettagli dello stesso sezionandoli un una serie di inquadrature perlopiù silenziose.

Adachi Mix - 01

Senza mai offrire una visione d’insieme della scuola, ne mostra solo alcuni particolari, fermi nel tempo, lasciando al lettore il compito di decidere la durata di queste inquadrature e il modo in cui sono legate tra di loro. Se è quindi vero che il segno è descrittivo e inequivocabilmente ricco di dettagli è altrettanto vero che buona parte di quello che succede, o non succede, in questa sequenza vive nella testa di chi lo legge.

Scott McLoud-Margine 01

Per parafrasare Scott McLoud qui sopra possiamo dire che l’arte di Adachi dipende fortemente dal “cuore stesso dei fumetti”.

Essere prima che Andare

Adachi si inserisce perfettamente nella tradizione artistica tipicamente giapponese che predilige, come detto sopra l’esposizione all’intreccio. O, per dirla sempre con le parole di McLoud, “L’essere in qualche luogo piuttosto che l’arrivare in qualche luogo”.

Si dà quindi un grosso peso al “non detto”, al suggerito, rispetto all’esplicita descrittività a cui siamo stati abituati dalla tradizione dello storytelling occidentale: tradizione che nel fumetto non manca di generare delle aberrazioni (come visto QUI) ma che sta gradualmente assorbendo e metabolizzando la lezione nipponica (come visto invece QUI).

Entrare nel racconto

Ma Adachi non si ferma qui: una volta portato il lettore nel mondo delle idee, quello dello spazio bianco tra i bordi delle vignette, fa sì che quel mondo tracimi direttamente nella narrazione, nella materia stessa del racconto e lo fa rimuovendo i succitati bordi dalla vignetta introduttiva alla pagina.

Il campo delle idee entra prepotentemente in quello del racconto conferendo al racconto una indeterminatezza temporale ed emotiva che lascia la gestione del ritmo in mano al fruitore dell’opera. Si tratta di una scelta che va in netta controtendenza rispetto al normale operato di un “normale” autore di fumetti: se generalmente si cercano tutti gli espedienti possibili per far sì che il lettore segua il ritmo pensato dall’autore (come visto ad esempio QUI), Adachi invece si affida totalmente (o quasi) al lettore. L’autore qui affida al lettore la decisione sulla durata della prima vignetta della tavola per riprendere in mano il ritmo (come nelle ultime tre vignette della seconda tavola qui sopra) della sequenza mano a mano che il racconto si avvicina al suo fulcro.

Ancora una volta mi viene in soccorso Scott McLoud con un’altra pagina presa dal suo fondamentale “Capire il Fumetto”

Scott McLoud-Vignetta 01
Scott McLoud-Vignetta 02

Una volta entrati dentro il racconto, dentro il mondo descritto da Adachi, ogni momento dello stesso ci coinvolge in prima persona, e non solo per via dei già discussi (QUI) meccanismi del processo di immedesimazione – che pure valgono vista l’iconicità dei protagonisti confrontata all’oggettività degli sfondi – ma anche e soprattutto per via del nostro coinvolgimento come narratori attivi della storia.

In questo modo la sottolineatura del momento topico viene fatta per sottrazione, il punto più importante della sequenza presa in esame è caratterizzato dalla totale assenza di elementi secondari: non ci sono sfondi, nessun margine, niente che non sia il protagonista raccontato in un momento fermo nel tempo e i comprimari – spettatori come noi – inscritti in spazi chiusi all’interno del grande spazio bianco del nostro racconto.

Mitsuru Adachi Mix 04

L’universalità del racconto

Succede così che temi e ambientazioni specifiche e circoscritte diventino universali, la capacità di Adachi sta nello scegliere cosa non raccontare: una narrazione fatta di vuoti e di assenze, di frasi lasciate a metà che realizzano una closure narrativa portata all’estremo in cui l’autore lascia al lettore ampi spazi in cui riversare il proprio sentire e le proprie emozioni.
Volendo azzardare possiamo dire che i manga di Adachi ci piacciono nella misura in cui ci piace quello che siamo in grado di immaginare.

 

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