From Script to Panel – Cloak & Dagger
“The art is more important” (Ron Marz, intervista a CBR)
Uno dei temi più dibattuti nella storia del fumetto è quello riguardante il valore dei singoli aspetti costitutivi del linguaggio e quale di questi sia predominante sugli altri: la risposta politicamente corretta vuole che ogni aspetto sia ugualmente importante alla riuscita del fumetto. Una risposta più articolata indica invece l’arte sequenziale come un linguaggio a sé stante che è più della mera somma tra la parte letteraria e quella artistica, il Fumetto ha quindi una unitarietà non riducibile alle sue singole parti, e come tale va analizzato, valutato e recensito.
D’altra parte, periodi storici diversi hanno visto specialmente valorizzata l’una o l’altra figura, secondo dinamiche che sarebbe superficiale ridurre a semplice effetto di politiche commerciali. Si pensi alla nascita della Image negli anni ‘90 o al periodo attuale in cui ci si focalizza maggiormente sul ruolo dello scrittore.
Ma il fumetto è un medium visivo.
“Come scrittore devi venire a patti con il fatto che la tua storia verrà giudicata in gran parte da quanto sarà ben eseguita la parte artistica, e quanto questa si adatti alla storia” (Ron Marz)
Un fatto troppo spesso sottovalutato nel mondo del fumetto contemporaneo è proprio quello che, come detto, il fumetto è un medium visivo: tutto il lavoro di scrittura che sta a monte arriva nelle nostre mani “tradotto” dal disegnatore di turno. È per questo che, dovendo scegliere, Ron Marz indica come più importante la componente artistica rispetto al lavoro di sceneggiatura. Si tratta ovviamente di una forzatura che però ci aiuta a comprendere un dato fondamentale del Fumetto: in questo linguaggio la forma è il contenuto.
Cerchiamo di entrare maggiormente nel dettaglio aiutandoci con degli estratti dal testo “Words for Pictures: The Art and Business of Writing Comics and Graphic Novels” di Brian Michael Bendis, nel quale lo scrittore di Ultimate Spider-man, Iron Man e Superman sviscera il ruolo dello scrittore di fumetti.
Pitch, bozza e sceneggiatura.
“Un pitch è un documento di uno o due paragrafi che descrive la storia o la serie che lo scrittore vuole vendere. la bozza è un tipo di documento più complesso che entra maggiormente nel dettaglio sui beats e sui percorsi dei personaggi”
Ogni fumetto parte da qui, da quelle poche righe che poi diventeranno una sceneggiatura o una serie di sceneggiature. Durante questa fase del processo creativo lo scrittore affronta il suo primo lettore, l’editor, e qui deve essere presente, nella sua forma primigenia, tutta l’essenza del racconto che verrà successivamente sviluppato in fase di sceneggiatura. In questa fase normalmente si dà una prima forma ai personaggi e alle ambientazioni, già da questo punto si comincia a ragionare anche in termini visivi, si studiano edifici, personaggi, vestiti, armi, veicoli astronavi e tutto quello che può servire. Questo fa capire quanto venga considerato fondamentale l’aspetto visivo del fumetto sin dalle sue primissime battute.
Si passa quindi alla fase di sceneggiatura: attenzione, non è solo una questione che riguarda gli autori che lavorano in team (sceneggiatore-disegnatore-inchiostratore-colorista ecc…) ma anche di chi, autore completo, fa tutto da sé. Per realizzare il suo Dark Knight Return, Frank Miller per esempio ha prima realizzato una sceneggiatura completa e dettagliata di quello che avrebbe disegnato. Altri autori seguono altri metodi (come descritto nel prologo a “From Script to Panel” QUI) ma la pianificazione dell’intera storia è fondamentale nell’economia della gestione della stessa.
Quando si passa alla sceneggiatura, le cose si fanno più complesse: nel fumetto americano, ad esempio non c’è un formato universale per la sceneggiatura e la maggior parte degli script si divide sostanzialmente in due categorie: il Full Script e il Marvel Style.
Nel caso del Full Script:
“Tutte le pagine del fumetto e le vignette sono descritte chiaramente e una prima stesura della narrazione e dei dialoghi è inclusa”
Il Marvel Style invece prevede:
“Una pagina o una pagina e mezza con la descrizione della storia dell’albo. L’artista la sceneggia in pagine e vignette portandola alle venti-e-rotte pagine di storytelling. Quando i disegni sono finiti, lo scrittore passa a inserire i dialoghi”
Questo metodo, brevettato e portato avanti da Stan Lee all’alba della Marvel Comics, ha il grande vantaggio di offrire una narrazione per immagini significativamente efficace: tutto il lavoro di visualizzazione e di regia finisce infatti in mano a quello che è il vero esperto in materia. Nel caso di Stan Lee è poi doppiamente vantaggioso: Stanley Lieber (questo il suo vero nome) infatti ha ben altra considerazione di sé, si reputa uno scrittore di romanzi prestato temporaneamente al fumetto – tant’è che crea ad hoc il suo nome d’arte per non “rovinare” il suo vero nome associandolo ai fumetti – e in quanto tale non è particolarmente versato nella scrittura per immagini. Non meno importante è il team di disegnatori con i quali si trova a lavorare: Jack Kirby, Steve Ditko, Bill Everett, Al Williamson… artisti che si sono fatti le ossa sulla produzione a fumetti, massiccia e dai ritmi paragonabili a quelli delle catene di montaggio, della golden age, su sceneggiature spesso esigue o inesistenti.
Si guardi ad esempio questo script per New Heroic Comics #84 (Famous Funny Publications – Giugno 1953)
NHC raccontava storie di eroismo compiute da persone ordinarie: si raccoglievano le testimonianze e, una volta ottenuto le autorizzazioni necessarie, si passava il tutto agli sceneggiatori che avrebbero poi girato i loro script ai disegnatori.
Come si può vedere si tratta di un testo molto lontano dalle sceneggiature che siamo abituati a vedere, e non è neanche una vera e propria anticipazione del Marvel Style ma fece nascere e crescere una generazione di disegnatori capaci di costruire tavole complesse a partire da una sola riga di descrizione: il Marvel Style è stato reso possibile da disegnatori che erano in grado di sceneggiare le proprie tavole da soli.
Il lato negativo di questo sistema risiede nella ripartizione dei carichi di lavoro: mettendo gran parte delle responsabilità sulle spalle dei disegnatori questi ultimi possono ritenersi sfruttati, più di quanto non lo facciano in condizioni normali.
“È facile per uno come me scrivere una doppia pagina con l’intero Settimo Cavalleggeri scendere in carica giù da una collina. Ma è qualcosa di totalmente diverso per l’artista, dover disegnare dozzine di cavalli e cavalieri galoppare lungo un declivio” (Ron Marz)
E sostanzialmente questo è quello che è alla base della disputa che ha visti contrapposti Stan Lee e Jack Kirby sulla titolarità della creazione di molte storie e personaggi, fino alla dipartita di quest’ultimo nel 1994.
Ai giorni nostri invece la maggior parte delle sceneggiature nel mondo dei comic books è del primo tipo: il Full Script.
Anche qui ci sono vantaggi e svantaggi
“un full script, se eccessivamente descrittivo, può irrigidire la creatività del disegnatore […] se lo scrittore non è portato alla narrazione visiva può portare a un’esperienza di narrazione decisamente soffocante”
È qui che interviene, nel fumetto seriale americano, una figura di assoluto rilievo e importanza come quella dell’editor. Per farla breve un rappresentante della Casa Editrice, messo un gradino al di sopra dei creativi, chiamato a mediare tra i due, suggerire soluzioni e, occasionalmente, a imporle.
In molti casi il disegnatore, una volta ricevuto lo script, manda allo scrittore e all’editor uno storyboard con l’impostazione generale dell’albo in attesa di suggerimenti o modifiche; solo dopo averle ricevute passa al disegno vero e proprio.
Vediamo di capire cosa succede durante questi passaggi, prendendo spunto dal lavoro per una spettacolare sequenza d’azione del primo numero di Cloak & Dagger gentilmente messomi a disposizione da David Messina, Dennis Hopeless, Devin Lewis e Marvel.
Page 5 – 4 panels 1- Big action panel. Cut inside the mansion as a huge explosion of light from outside blasts the entire front door frame and half the wall around it out at us. The two door guards are flying out at us from the blast. If we can see her through the shrapnel, Tandy stands at the center of the light blast just outside. She’s quite literally blown the doors off. Dagger cap: I was good. I was clear. I was ready. SFX: FOOOOM Dagger cap: Then he shows up and gets in my head. Dagger cap: Sticks in my head like always. 2- Upshot past the outstretched arms and firing pistols of the remaining guards. Beyond them we see Cloak once again crouched in the shadowy rafters, watching his ex-work. Dagger cap: Just once I want to make it all the way through a fight-- SFX: BANG BANG BANG BANG Dagger cap: --Without obsessing over how much easier it used to be. How much cleaner. 3- Big action panel. Tandy sprints around the side of the room through a barrage of bullets. We see a few of them graze her skin and tear her costume in little explosions of blood. Dagger cap: Dodging bullets? Dagger cap: What bullets? Dagger cap: My boyfriend always swallows those up in his dark force. 4- Action panel. Tandy swings her arm out and arcs a semi-circle of light blades out at us and into the bullets. Dagger cap: Gah! Dagger cap: What kind of hero can’t even play defense?
Notiamo che lo script di Hopeless è dettagliato ma lascia anche ampi margini di lavoro per l’interpretazione di Messina che introduce anche dei cambiamenti significativi.
Vediamo questi per primi.
La prima e la terza vignetta dovrebbero essere più grandi delle altre (big action panel) ma Messina decide di dare questo maggior rilievo al frame di apertura, quello che ci introduce alla scena, e di lasciare i tre successivi delle stesse dimensioni, l’importanza della terza vignetta è tuttavia resa facendo fuoriuscire Dagger, e i proiettili che la circondano, dai confini della tavola. In questo modo la preponderanza del protagonista sul resto dei personaggi viene sottolineata in maniera grafica: straborda dai confini della tavola.
Nella seconda vignetta Cloak avrebbe dovuto essere accucciato (crouched) mentre qui lo vediamo in piedi, sicuramente la postura eretta si addice maggiormente a un personaggio dall’aura misteriosamente shakespeariana come Cloak mentre quella richiesta sarebbe più consona a personaggi come Spider-man. Qui Messina partecipa, oltre che alla “semplice” narrazione visiva, alla caratterizzazione psicologica del personaggio. Da un punto di vista più strettamente compositivo invece la posizione eretta di Cloak, complice il panneggio del suo mantello, si allinea alla diagonale che attraversa la tavola dall’angolo in alto a sinistra a quello in basso a destra: una diagonale tra le due vignette più importanti della tavola che vede Dagger come elemento principale.
Per quanto riguarda l’interpretazione dello script Messina riprende il “un semicerchio di lame verso di noi” trasferendolo su tutta la pagina: i due sgherri di vignetta uno vengono sbalzati verso di noi così come la protagonista, i proiettili, i bossoli e, appunto, le lame di luce. Il lettore è in posizione di osservatore non-neutro ma coinvolto all’interno dell’azione che viene diretta verso la sua faccia. L’azione ci viene letteralmente lanciata addosso.
Page 6 - 5 panels 1- Cut to a low angle establishing shot of the formerly fancy family room. The place is littered with the knocked-out bodies of heavily armed henchmen. Most of them have glowing light daggers still sticking up out of their bodies. There’s clearly been a firefight here as all of the oak and marble has been riddled with bullet holes. Everything is cracked and crumbling and ruined. Dagger cap: I’m the one who wanted space. I asked for it. Dagger cap: And I’m better off now. Dagger cap: More complete. More self-reliant. 2- Action panel. Dagger hangs in midair, knocking out the last two henchmen with the same vicious flying scissor kick. Their faces are swinging out from the impact and eyes are rolling back in heads. Dagger cap: But in the back of my head, there’s always that ache. Dagger cap: Always feels like something’s missing. 3- Dagger lands in among the bodies as the last two fall sideways behind her. She’s blowing a bit of hair out of her face as she catches her breath. Dagger cap: Is this just how I’m wired? Dagger cap: Obsessive. Broken. Codependent. 4- Push in tighter on Tandy’s wide surprised eyes as a big Zangief-looking bruiser henchman steps up behind her, grabbing her by the back of the neck. All we can see of the bruiser in this panel is his hand(s) and his massive chest that now fills the background. My instinct is no shirt but that may just be because I love Zangief. Dagger cap: I mean… Cloak and Dagger, right? Dagger cap: Even my name is only half a thought. 5-Push in tighter on a surprised and angry Tandy, bearing her teeth as the bruiser’s massive hands close around both sides of her head. Tandy: Dammit!
Stavolta Messina non apporta modifiche sostanziali allo script ma Hopeless non dà indicazioni specifiche sul layout per cui il disegnatore decide di gestire la composizione in modo che, nella metà inferiore, la posizione dei tre volti di Tandy siano sempre allineati realizzando un effetto di zoom che risulta naturale all’occhio del lettore (inside joke: lo sgherro sulla destra in vignetta due è lo stesso Messina).
Page 7 – 6 panels 1- Action panel. The bruiser swings Tandy around BY THE HEAD and flings her into a big wall-mounted flat screen television, destroying it in an explosion of black glass. Dagger cap: When you lean on somebody hard enough. Long enough. SFX: KROOOSH Dagger cap: It tilts your whole world on that angle. 2- Action panel. Low angle shot on the cut-up Tandy kneeling on hands and knees in the TV glass as the bruiser kicks her hard across the face. Dagger cap: Makes it so you forget about upright. Dagger cap: One step away you fall down. 3- Action panel. Same low angle as the bruiser swings his huge hands down to grab her, but narrowly misses. Tandy is too quick. She’s using her dancer’s speed and agility to dive/slide across the ground between the Bruiser’s wide-set lugs, swooping underneath him in a single graceful move. Dagger cap: I know it’s ridiculous. Dagger cap: I’m faster-- 4- Dagger bares her teeth. Crouched on her knees on the other side of the bruiser, she’s sinking two light daggers into the back of each of his knees. Dagger cap: --Stronger— 5- Tight on the Bruiser screaming out in agony as he drops to his knees. Dagger cap: --Brighter than ever. 6- Tight action panel. Tandy kicks the Bruiser’s hard upside his big square head. Knockout shot. Dagger cap: I kick ass. Full stop.
Anche qui Messina apporta una variazione significativa: per la seconda vignetta Hopeless richiede una inquadratura specifica – dal basso – dettagliando anche degli elementi presenti nella vignetta e la posizione di Dagger – in ginocchio in mezzo ai vetri – mentre il disegnatore sceglie di stringere sul volto colpito dallo stivale del villain aggiungendo lo sbuffo di sangue. Così facendo resta coerente all’impostazione della sequenza che vuole il lettore il più vicino possibile all’azione aumentandone il coinvolgimento.
Per tutta la pagina Messina inoltre “gioca con la telecamera” spostandola da un lato all’altro dei due contendenti in modo da avere una direzione precisa: tutta la parte destra della tavola vede la protagonista muoversi (o essere lanciata) nella direzione del senso di lettura, assecondando così il movimento del nostro occhio facendoci percepire l’azione come fluida e naturale.
Page 8 – 5 panels 1- A hurt and winded Tandy stands over the knocked-out bruiser, bent at the waist and sucking in desperately needed air. Some of the bullet grazes have begun to really bleed, staining her white costume. Dagger is a badass but this fight is clearly taking it out of her. Dagger cap: But tell that to my broken brain. Dagger cap: Still so obsessed with how things were. 2- Over Dagger’s shoulder shot from her spot on the floor as turns to see an 80’s action movie henchman steps up out of another room wearing a big grin and carrying two big stupid GI Joe machine guns. Dagger cap: So desperate to share the spotlight. GI Joe: Oooh, look at that fun fun! GI Joe: Can Dougie play too? 3- Action panel. The guns start firing and tearing up what’s left of the room. He’s firing hundreds of bullets indiscriminately and loving every minute of it. SFX: BRAKA BRAKA BRAKA Dagger cap: Even when-- 4- Tight on Tandy’s irritated and exhausted face. Her eyes have begun to glow white with power. Enough is enough. Dagger cap: --We all know-- 5- Cut outside the mansion as the action movie henchman is blasted up through the roof and into the air by a wide, white column of light. We’ll see this move up close later but Dagger is clearly much more powerful now and has some new cool tricks. SFX: TOOOOM Dagger cap: I am the damned spotlight!
L’ultima tavola della sequenza è un lavoro di decompressione: il “boss di fine livello” (per utilizzare un termine da videogiocatori) è sconfitto e questa pagina utilizza una gag per far capire il nuovo livello di potere di Dagger (“is clearly much more powerful now and has some new cool tricks.”). Qui Messina decide di narrarla tramite una gestione efficace della recitazione e delle espressioni facciali, arrivando anche qui ad apportare una leggera modifica alle indicazioni di Hopeless. Per la prima vignetta lo scrittore vuole una Dagger esausta “piegata in due e inspirando alla disperata ricerca di aria”, probabilmente un po’ troppo sproporzionato per una supereroina potenziata rispetto al passato dopo uno scontro con quelli che sono dei personaggi di secondo piano.
Da queste quattro pagine possiamo capire come, pur essendo uno scrittore dal linguaggio fortemente cinematografico, Hopeless si rende conto (e accetta) che Messina studi e applichi scelte di regia in piena autonomia; quindi si limita a indicazioni di massima, ampiamente interpretabili e modificabili – il tutto sotto la supervisione dell’editor ovviamente – lasciando così libertà narrative a Messina che non è un mero esecutore della sceneggiatura ma uno dei due narratori. Da parte sua, Messina rispetta sempre la visione di Hopeless, facendosi carico della valorizzazione della scena senza modificarne la composizione fondamentale.
Una nota sul colore
Come già detto anche il colore ha un valore importante sul piano narrativo. Non sto qui a dilungarmi oltre, ma sottolineo la palette di colori freddi utilizzati da Giada Marchisio punteggiata da diverse gradazioni di elementi più caldi – dall’arancione al rosso piatto e intenso -, che sottolineano i momenti più intensi dell’azione, basti vedere le pagine qui sotto per capire come, già dal primo impatto con la tavola la colorista sia in grado di attirare la nostra attenzione sui punti di maggior rilievo delle tavole.
“… già da questo punto si comincia a ragionare anche in termini visivi, si studiano edifici, personaggi, vestiti, armi, veicoli astronavi e tutto quello che può servire. Questo fa capire quanto venga considerato fondamentale l’aspetto visivo del fumetto sin dalle sue primissime battute.”
Troppo spesso, ultimamente vedo “graphic novel” che non seguono affatto tali regole. Non capirò mai perché se uno ha una pessima voce voglia cantare.
Interessante l’articolo. Non sapevo il ruolo di tutto riposo dello scrittor nell’ambito del Marvel Style. In quel caso il disegnatore s’avvicina un po’ di più all’autore completo.
Buon proseguimento, spero,
Chendi
Io non sono molto addentro ai meccanismi di editing dei singoli editori. Credo comunque che quelli grossi esigano un lavoro preparatorio importante a monte.
Sulla questione del Marvel Style ci sarebbe tanto da dire ma in effetti l’apporto del disegnatore diventa massiccio in quel caso. Ho comunque in cantiere (ma in alto mare) un articolo su Stan Lee e sul suo valore di scrittore.
Negli USA gli artisti hanno un ampio margine di “modulazione” dello script. In Italia la suddivisione del lavoro è molto più rigorosa. Di solito lo sceneggiatore realizza una sceneggiatura che descrive -in termini più o meno dettagliati- ciò che accade dentro le singole vignette. In alcuni casi, se il disegnatore ha la “stazza” necessaria o è un autore completo può prendersi delle libertà rispetto allo script (vedi Micheluzzi e Sclavi nello speciale realizzato per Dylan Dog)
Sì, ho visto un po’ di sceneggiature Bonelli (infatti c’è un altro articolo della serie su Chanbara di Recchioni/Accardi) spesso però è dovuto al fatto che in Bonelli le sceneggiature sono scritte senza sapere il disegnatore che verrà assegnato alla storia. Per questo lo scrittore cerca di essere più rigoroso possibile.