Quattro chiacchiere con Walter Venturi

Quattro chiacchiere con Walter Venturi

Abbiamo contattato il disegnatore romano che ci ha concesso una lunga intervista per parlare della sua concezione del fumetto, dei suoi progetti passati, presenti, futuri, e del suo rapporto con il personaggio che attualmente gli sta dando piu' soddisfazione, e cioe' quel Brad Barron prima miniserie della Bonelli.

Nato a Roma il 6 gennaio 1969, dal ’94 autoproduce 12 albi di del suo personaggio “Capitan Italia”, per dedicarsi successivamente alla mini serie di genere horror “Lost Kidz”, scritta da Roberto Recchioni e colorata da sua moglie Tiziana “MadCow”, autoprodotta dal gruppo Factory. In seguito, collabora con Eura Editoriale realizzando numerose storie libere e miniserie apparse su Skorpio e Lanciostory, oltre a entrare a far parte dello staff di “John Doe” e “Detective Dante”, entrambe serie ideate dal duo Lorenzo Bartoli & Roberto Recchioni. Per Disney realizza le matite del n.7 della serie “Kylion” e, per le Edizioni BD, una storia breve di “Brad Barron” apparsa sul libro “Anatomia di un eroe”, anticipando così l’uscita del n.16 di “Brad Barron” che segna l’inizio della sua collaborazione con Sergio Bonelli Editore. Dopo aver lavorato anche su “Demian”, realizza il primo albo del Color Zagor (agosto 2013) e debutta come autore completo con “Il grande Belzoni”.

Come ti sei avvicinato al mondo del fumetto? Qualcuno in famiglia leggeva fumetti? Oppure la passione è nata insieme agli amici sui banchi di scuola?
Diciamo che l’ambiente familiare ha contribuito alla mia formazione… Un mio parente è un pittore della scuola romana, mia madre scrive poesie, mio zio è un appassionato di Tex e mio padre, rilegatore di libri, mi ha sempre fatto sbirciare tra i suoi lavori che comprendevano anche le raccolte dei vari fumetti Bonelli. Ricordo con piacere pure alcuni volumi con le annate de Il Male… Bell’imprinting a 6 anni!
Poi con mio cugino invece, passavamo interi pomeriggi dentro una fumetteria ante litteram, e cioé un negozietto polveroso gestito da un vecchietto che vendeva e scambiava di tutto, mettendo il prezzo in quarta di copertina in alto a sinistra a matita (!), ed erano gli anni della Corno

Come sei passato poi da semplice appassionato ad aspirante autore professionista?
Mi è sempre piaciuto disegnare e già da bambino volevo disegnare fumetti, ma solo dopo il servizio di leva ho cominciato a capire che era un impegno molto grande da affrontare… Fino ad allora avevo fatto il “metallaro” a tempo pieno (e continuo a farlo cantando con i Down Kids)! Così iniziai a guardare in maniera differente il media fumetto, studiando ossessivamente il disegno di tanti autori in ogni tratto e ogni segno!

Hai fatto studi specifici o hai sviluppato le tue conoscenze da autodidatta?
Verso i 13 anni partecipai a degli stages teorici organizzati da Francesco Coniglio, poi ho fatto il liceo artistico, ma come quasi tutti i disegnatori, la gavetta te la fai curvo sul tavolo da disegno passandoci ore e ore…

Il tuo esordio nel mondo delle nuvole parlanti risale al ’94, con l’inizio dell’avventura di Capitan Italia. è corretto? Che anni erano? Come vedevi il fumetto allora?
In realtà, grazie a Dino Caterini, pubblicai due anonime storie brevi, una per bambini e una porno… Bisogna saper disegnare di tutto! E successivamente, mentre lavoravo per uno studio di scenografia, iniziai a pensare a un personaggio “tutto mio”. In quegli anni ero infatuato dagli effetti speciali della Image, dai supereroi nello splendore del technicolor, dai numeri zero e doppio zero, così, quando ci fu la possibilità di pubblicare su una fanzine (Flag), fece l’esordio Capitan Italia! Ma la vera risposta ai supereroi statunitensi ci fu col primo albo autoprodotto del Capitano, 32 pagine di puro thrash in bianco e nero spillato!

Capitan Italia era un personaggio particolare, ibrido per il mercato italiano. Come si è sviluppata l’idea del personaggio? Che riscontri ha avuto all’epoca?
Fino ad allora, solo in alcuni sporadici casi si era parlato di un supereroe italiano, e nessuno avrebbe pubblicato un esordiente ancora mooolto acerbo come me e, forte della mia totale inesperienza nel mondo del fumetto, realizzai in autoproduzione il Capitano. Uscì un numero uno grezzo, rozzo, disegnato male e scritto peggio… Ma funziono’. Pubblicai altri nove albi e ancora oggi qualcuno, e io stesso, sente la sua mancanza!

Già allora c’erano i semi di uno stile molto particolare, che cerca di coniugare il realismo “classico” al cartoonesco. Quali obiettivi ti poni sul piano iconico, sulla stilizzazione di oggetti e figure? E per estensione, nella costruzione della narrazione?
Sono cresciuto facendomi di Pazienza e ammirando Magnus su tutti, che con la sua vena grottesca mi ha sempre affascinato imprimendomi nello stile un particolare sguardo alla figura umana. E non dimentico la lezione di Mandrafina, Bernet, Stelio Fenzo, Pratt, Frank Robbins, Caniff, Giardino, Claudio Villa e tanti altri autori che adoro e che mi guidanodall’alto della loro esperienza!

Per la Factory, hai poi disegnato Lost Kidz, su testi di Roberto Recchioni. Ci puoi parlare del gruppo Factory? Quale contesto culturale vi ha portato a riunirvi tutti insieme? Avevate qualche autore di riferimento o qualche passione in particolare che vi riuniva?
La Factory è stato un piacevole e utile passaggio verso la professione (anche se cominciavamo a collaborare con l’Eura), abbiamo realizzato quello che volevamo in quel momento e ci siamo divertiti parecchio alle varie fiere a cui partecipavamo. Se volete leggere un resoconto di quel periodo (Fact!), in rete ci sono le impressioni di gran parte di noi!

In Lost Kidz, lavori molto sul grottesco. I personaggi sono molto caricaturali, il tratto è deformato. Fu una precisa richiesta fatta a te da Recchioni, o una tua decisione?
Con Roberto ci esaltammo della nuova moda dei disegnatori americani che rifacevano il verso ai manga e decidemmo di provare in quella direzione, anche Capitan Italia 5, sempre scritto da Rrobe, è disegnato mangheggiante!

Come hai iniziato a collaborare con Eura Editoriale? I primi lavori in che direzione si sono mossi?
Batoli e Recchioni lavoravano sulla loro Napoli Ground Zero, mi fecero realizzare un paio di spin-off, partecipai alla realizzazione di molte storie di Asia e inizio’ una lunga collaborazione fatta di serie e miniserie, storie libere anche scritte da me e una in particolare, Cuore di terra, con Bartoli ai testi, verrà presto ristampata a colori dalle Edizioni BD.

Con John Doe, successivamente, hai iniziato a collaborare a un “bonellide” che, per quanto atipico, mantiene precisi connotati e caratteristiche (il numero di pagine, la costruzione delle tavole, ecc.). Quali pensi sia stato il tuo apporto a John Doe e, perché no, alla sua riuscita editoriale?
Su John Doe l’impegno si è fatto ancora più serio, mi ha dato il modo di affinare la tecnica di albo in albo, cercando di rispettare canoni e regole del fumetto popolare. Il riscontro positivo dei lettori è stato dato soprattutto grazie alle sceneggiature dei suoi creatori, anche se poi noi disegnatori abbiamo dato un valido contributo alla sua riuscita!

La seconda serie bonellide di Eura, Detective Dante, ha avuto meno fortuna. Rimanendo sul tuo lavoro di disegnatore, quali differenze di impostazione richiedevano le due serie?
Nessuna differenza sostanziale, con Detective Dante ho cercato un segno diverso, con pennellate un po’ più libere, schizzate, mi sono divertito con le sparatorie, ma anche su John Doe non mi sono mai risparmiato a livello di scene di massa in battaglia. Mi piace lavorare sull’azione, sui particolari bellici, sulle armature, sicuramente preferisco un fumetto action a uno tutte chiacchiere…

Dove pensi abbia fallito Detective Dante, visto che non ha saputo replicare il successo di John Doe?
Ha avuto meno lettori, ma è uscita comunque tutta la miniserie. E poi non tutte le ciambelle riescono col buco!

Come è nata la tua collaborazione con la Sergio Bonelli Editore?
Cercavano un disegnatore per il n.16 di Brad Barron, mi contattarono e feci delle prove, passarono, e iniziai a lavorarci su immediatamente. Da un giorno all’altro mi ritrovai 94 pagine di sceneggiatura scritte da Tito Faraci! Quando mi arrivo’ la telefonata dalla redazione ero a pranzo… Rischiai il soffocamento!

Avevi l’ambizione di “arrivare” in Bonelli? Era un tuo obiettivo di carriera, l’idea di un approdo a qualcosa di altamente professionale? O solo una delle possibili esperienze nell’ambito del fumetto?
Sono cresciuto con gli eroi Bonelli e ritrovarmi a collaborare per realizzarne uno è stato il coronamento di un sogno. Per anni ho spedito ciclicamente delle prove per Zagor, per Dylan Dog, ma il mio disegno incerto non era ancora pubblicabile. Adesso, dopo 900 tavole, non mi sembra ancora possibile di aver avuto questa possibilità!

Il tuo esordio è su Brad Barron, per cui hai realizzato un albo della serie regolare, il secondo speciale (a serie conclusa) uscito a febbraio 2009 e il terzo uscito a fine novembre. Che impegno richiede il lavoro a una storia di più di 200 pagine? Come imposti il tuo lavoro per una storia così lunga?
E il quinto attualmente in lavorazione! Ormai con Brad Barron passo gran parte della giornata e devo dire che è un tipo a posto… Affrontare uno speciale di 240 pagine, da realizzare in un anno, vuol dire praticamente fare una tavola al giorno esclusa qualche settimana di pausa. Ed è poi circa la media di un professionista, che non si deve fermare mai come a realizzare tipo tre albi di seguito… Ma poi, seriamente, a chi va di fermarsi? Quando mi sveglio la mattina presto (molto) sono contento di tornare sulla tavola, è una missione e non mi pesa come se, ad esempio, dovessi mettermi in mezzo al traffico alle 7 e 30… In questo mi ritengo tanto fortunato! Comunque, la coerenza del segno, i riferimenti , la ricerca di foto dell’epoca, lo studio delle inquadrature, la creazione visiva dei personaggi, sono tutti step che ti porti avanti sino alla fine dell’albo. Lavorare su Brad mi ha riempito l’archivio di libri e foto dei fifties, che sono essenziali per un fumetto ambientato in un preciso momento storico. Ho riscoperto i maestri dei fumetti americani del dopoguerra, cercando di trovare i suggerimenti giusti per un segno che ricordasse subito il periodo in cui erano prodotti.

Nelle intenzioni di Tito Faraci (ideatore della serie) e di Sergio Bonelli, secondo te cosa vogliono aggiungere alla miniserie questi numeri speciali di Brad Barron? Continuano a lavorare su quanto accaduto prima dei fatti raccontati nella serie?
No, si svolgono dopo l’invasione aliena del 1956 dove l’eredità dei Morb ha lasciato pericolose tracce sulla Terra, che mettono alla prova di volta in volta Brad Barron, ormai espertissimo e sempre pronto a combattere gli invasori!

Non credi che ci sia un eccesso di ingenuità in queste storie così fortemente legate al racconto avventuroso “classico”?
È un ingrediente fondamentale. È logico che se guardiamo adesso un b-movie del ’50 ci scappa un sorriso su come erano girati, su cosa e chi metteva paura… Un mostro orribile era un gorilla con una palla di vetro in testa e due antenne, o un omone in tuta verde con tre dita e un passo alla zombi, cose che confrontate con gli odierni horror movies fanno la figura di una favoletta per bimbi! Per esempio, proprio nella caratterizzazione dei mostri su Brad Barron o su i movimenti, i gesti dei personaggi, su come fumano una sigaretta, su come portano il cappello o su come impugnano un pistola, cerco di far notare questi particolari, che aiutano a creare il sapore di quegli anni.

Sicuramente l’impostazione dei prodotti culturali dell’epoca era quella che discrivi tu e simile a quella che le storie di Brad Barroi mettono in scena. Ma i film erano fatti ALLORA. Quindiche senso ha per l’autore riprendere quell’ingenuità OGGI? Pura evasione, nostalgia, cosa?
Credo che le intenzioni dell’autore sono di raccontare quel tipo di storie e allora dentro devi metterci anche una dose d”ingenuità”… è la ricetta!

Hai lavorato anche a Demian. La tua caratterizzazione del personaggio di Ruju è apparsa un po’ differente da quella degli altri disegnatori. Hai faticato a prenderne le misure? Come hai lavorato con Ruju da questo punto di vista?
Su Demian ho cercato di pulire il segno ulteriormente e guardando l’intera mini non mi sembra di vedere troppa omogeneità nello stile, ogni disegnatore ha dato una sua interpretazione. L’importante per me è far riconoscere sempre i personaggi, far capire immediatamente ogni vignetta, rendere il rapporto testo-disegno scorrevole e senza doversi fermare o tornare indietro nella lettura. Lavorare con Ruju è stata una piacevole esperienza, abbiamo la stessa passione per le spiagge tropicali e non ci sono stati particolari problemi, Pasquale ne ha scritte di storie e un po’ d’esperienza ce l’ha, no?

Parlaci un po’ del metodo di lavoro degli sceneggiatori con cui ti sei trovato a lavorare: quale sono le differenze e le similitudini nei diversi modi di affrontare le sceneggiature e il rapporto con voi disegnatori?
Come in tutti i lavori c’é un metodo per affrontarli, chi più chi meno, per fornire le tavole a un disegnatore deve rispettare dei tempi bene o male stabiliti, fare in modo che non sia mai fermo, certo che se poi il disegnatore se la prende comoda, allora bastano poche pagine. Le sceneggiature possono avere allegati dei riferimenti fotografici, c’é chi ti descrive puntigliosamente la vignetta e chi ti lascia più libertà, ma alla fine conta far uscire un prodotto dignitoso e nei tempi giusti.

Hai mai pensato di ritornare a lavorare a tue creazioni dei primi anni di carriera, come Capitan Italia?
Come dicevo prima, ogni tanto mi vien voglia di rimetterci su le mani, dare un sequel a Lost Kidz di cui ho realizzato già alcune tavole anni fa, ma il tempo è tiranno.Un numero dell’originale” the one and only ” Capitan Italia non lo vedo male, visto anche l’attuale stato della nostra società che farebbe ben da tappeto a una nuova avventura…

Ti rivedremo mai in versione anche di scrittore delle storie che disegni?
Da anni sto portando avanti delle ricerche su Giovanni Belzoni, un “Indiana Jones” dei primi dell’800. Voglio realizzare la sua biografia perché il racconto della sua vita mi ha affascinato tantissimo in quanto avventura allo stato puro! Mi piace disegnare eroi classici, paesaggi esotici, dove la storia scorre in maniera piacevole, con una giusta dose di scazzottate e senza troppi fronzoli intellettualoidi… Insomma, il “fumetto popolare”! Sul mio sito ci sono un po’ di studi, ma ne ho fatti molti altri e spero presto di iniziare a lavorarci.
Di idee ne vengono tantissime, che appunto con sketch relativi, ma la maggior parte sono idee talmente assurde che solo con l’autoproduzione potrebbero essere pubblicate!

Con quali personaggi ti piacerebbe lavorare, e a quale in particolare vorresti dare una tua personale interpretazione (fuori e dentro l’Italia)?
Ho centinaia di studi sul Punisher, ho sempre seguito le sue azioni e sarei felice di essere al suo fianco e se poi ci fosse Garth Ennis ai testi… Anche Hulk, Nick Fury e Thor, non mi dispiacerebbero. Zagor invece, è una passione che si ricollega a prima, al disegnare l’avventura! Gli scenari in cui si muove, i comprimari, gli animali e le foreste, i vampiri, i robot e gli acerrimi nemici… Mi divertirei un mondo, prossimamente invadero’ la redazione di Moreno Burattini di prove e studi alla ricerca di una storia! Anche Dylan Dog, Tex e Mister No sono per me personaggi mitici! Comunque non sono solo questi, sarei onorato di lavorare su molti altri personaggi.

Terminata la lunga fatica del terzo speciale di Brad Barron, hai già in progetto altri lavori?
Intanto penso a terminarlo questo speciale, ho appena iniziato e ho davanti a me 240 pagine bianche che mi aspettano!Nel mentre, sto aspettando la sceneggiatura per l’episodio finale di Loaded Bible di Tim Seeley per la Image, il mio primo lavoro d’oltreoceano, in Italia pubblicato dalle Edizioni Arcadia. Senza contare i suddetti progetti in ordine sparso…

Riferimenti:
Il sito di Walter Venturi: http://www.walterventuri.com
Il sito di Down Kids: : http://www.downkids.org
La recensione di Brad Barron speciale #3 – Tornati dall’inferno

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