Sono gli anni ’50. Dopo una lunga camminata tra le strade, le città e i panorami di un’America disastrata ma non sconfitta, alle prese con un’invasione aliena di proporzioni catastrofiche, e attraverso altrettanti generi riletti e rivisitati, dalla storia di guerra al western, con il numero sedici è iniziato il “Conto alla rovescia” (titolo del numero stesso) per la fine di Brad Barron. Tito Faraci, creatore e sceneggiatore della prima miniserie del nuovo corso della Sergio Bonelli Editore, si è sempre mostrato aperto e disponibile a discutere del suo lavoro e di questo esperimento per la casa editrice milanese. Lo Spazio Bianco ha quindi pensato di tornare a parlare di Brad Barron con l’autore, ora che la partita sta per chiudersi definitivamente (o quasi).
Allora, Tito, la tua prima esperienza “organica” in Bonelli si appresta alla conclusione. è già tempo per fare un primo bilancio?
Ma sì, certo. Un bilancio nettamente positivo, per certi versi oltre ogni previsione. Di numeri non sta a me farne. Posso pero’ serenamente dirvi che le vendite sono state sempre alte e costanti. Dopo un assestamento avvenuto all’incirca all’altezza del numero cinque, le vendite sono rimaste costanti. E più che buone. Segno che Brad Barron ha avuto un suo pubblico affezionato, fedele e – supponendo che non siano tutti masochisti: sarebbe un dato numericamente e antropologicamente sconcertante – direi anche soddisfatto. Sì, Brad Barron ha soddisfatto le esigenze del suo pubblico. Questo possiamo considerarlo un dato di fatto.
Sei complessivamente soddisfatto del modo in cui l’editore ha lavorato? C’é qualche aspetto che non hai condiviso o che non ti ha soddisfatto?
è difficile non essere sospettati di insincerità o, peggio, piaggeria, ma… credetemi, se c’é una parola per descrivere il clima in cui si è svolto il lavoro è serenità. Assoluta serenità che nasce dalla condivisione di obiettivi e intenti. Del resto, ho voluto dare alla Bonelli un prodotto bonelliano. Ho cercato di attingere alla fonte dello stile e della tradizione della casa editrice milanese senza per questo venire meno alla mia sensibilità di autore e, prima ancora, di lettore appassionato. Io scrivo sempre per il lettore che è in me. Prima di tutto, per lui. E io sentivo la voglia di leggere e, quindi, scrivere un fumetto così. è stata una cosa spontanea, voglio dire, senza asservimenti. E, a conti fatti, anche senza compromessi, né da una parte né dall’altra.
Come ci hai detto, le vendite della miniserie si sono assestate su buoni livelli. Quali componenti a tuo avviso hanno favorito il successo di Brad Barron?
Ogni tanto, devo dire, qualche amico critico mi dice, magari con imbarazzo, che quando tutto sarà finito mi spiegherà perché secondo lui Brad Barron non funziona. Non fremo nell’attesa di tali delucidazioni, ma neppure mi angoscio. Pero’, piuttosto, sarebbe interessante che qualcuno spiegasse perché Brad Barron funziona. Il perché di un successo. E, per favore, siccome so già cosa sta per rispondermi qualcuno… per favore, dicevo, parliamo di fumetto. Non di altre cose. L’argomentazione che la gente accorre anche a vedere i film dei fratelli Vanzina, per dire, è dialetticamente scorretta (oltre che spocchiosa). Perché Brad Barron è un fumetto. Un fumetto popolare. Non un film, non un disco, non un reality show. E allora, se guardiamo alla storia del fumetto popolare italiano, mi sembra difficile (forse impossibile) che un nuovo personaggio, una nuova serie ottenga buoni risultati senza avere alcuna qualità, alcun merito. Attenzione, non fraintendetemi: ci sono ottimi fumetti che, purtroppo, vendono male (e di diversi di questi fumetti, belli ma sfortunati, io stesso sono un lettore). Ma è più raro, direi molto più raro, trovare un cattivo fumetto che vende bene. Puo’ capitare, magari, che un – come dire? – “ex buon fumetto” dopo un po’ viva di rendita, anche quando la qualità cala (no, no, non sto parlando di quello… il mio è un discorso generale). Ma, per essere arrivata a un buon livello di vendite, una serie deve avere prima avuto delle buone carte, giocate bene. Nel mondo del fumetto, insomma… il crimine non paga. Almeno di solito. Spero di essermi spiegato, perché so che il discorso può sembrare antipatico o trionfalistico. Il che non è certo ciò che volevo. Prendetela come un’amichevole provocazione. Lungi da me sostenere che la ragione è di chi vince, ci mancherebbe. E comunque Brad Barron non è certo un successo epocale, un fenomeno di massa. Ma “solo” un fumetto che ha funzionato in edicola, che ha raggiunto i propri obiettivi (anche) commerciali. Su questo bisogna pur riflettere. A ogni modo, nel parlare di Brad, oggi, mi sento estremamente sereno. E ringrazio anche chi mi ha mosso qualche critica, davvero. A ogni modo, credo che in Brad Barron i lettori abbiano sentito una grande partecipazione emotiva da parte di chi ci ha lavorato. Ci ho creduto io, sempre. Ci ha creduto l’editore, la redazione, ci hanno creduto i disegnatori. In questo è indubbiamente un prodotto onesto.
Sin dalle interviste che ne hanno preceduto l’esordio, hai detto di voler creare un fumetto per certi versi “classicamente bonelliano”. Lo hai ribadito anche poco sopra. E probabilmente ciò vi ha permesso di coinvolgere i molti, affezionati lettori di Tex e Zagor, tra gli altri. Ma, lungi da voler cercare facili definizioni, quali sono a tuo avviso gli elementi che caratterizzano il fumetto bonelliano (che sembra configurarsi, in questo senso, come un vero e proprio genere narrativo, anche se trasversale)?
La centralità della figura dell’eroe. La commistione di generi. L’ampio respiro narrativo di ogni episodio, anche grazie alla foliazione (un albo bonelliano ha il numero di tavole di un’intera mini serie americana). La chiarezza del racconto. E, in definitiva, una sana vocazione popolare.
Nel solco della tradizione, all’interno del “genere trasversale” Bonelli, Brad Barron è stata finora un’avventura on the road che ha pero’ toccato un po’ tutti i generi della letteratura popolare (a fumetti e non). Quale genere è preponderante nella trilogia conclusiva?
In un certo senso, tutti. Raccolgo ciò che ho seminato nei primi quindici numeri.
Finora hai trattato la narrazione di Brad Barron come un susseguirsi di episodi a sé stanti, con alcuni deboli richiami di una storia all’altra, ma senza una reale evoluzione dello status quo. In particolare, a tre numeri dalla fine, non sembravi aver posto le premesse per la risoluzione. Non credi che questa scelta sarebbe stata più adatta a una serie regolare, senza un finale prestabilito?
No, non lo penso. Semplicemente perché, come anticipavo sopra, la trilogia di storie finali attinge a piene mani a elementi disseminati in tutti i numeri precedenti. Numeri che potevano sembrare fill-in ora vanno rivisti in un’altra luce. Brad Barron ha avuto una sua evoluzione. Ho esplorato un personaggio e un modo di raccontare. L’ho fatto in sedici numeri, in cui ho avuto modo di spaziare attraverso i grandi generi del pulp. Della narrativa, del cinema e, soprattutto, del fumetto popolari. Ho fatto un viaggio in un vasto territorio dell’immaginario, con molte tappe. Ora il viaggio, questo viaggio è finito. Il che non significa che non possano esserci altri viaggi, con lo stesso personaggio.
Tuttavia, sul piano narrativo, si ha un po’ l’impressione di un’occasione persa. Gli elementi a cui fai riferimento pero’ erano ben poco visibili e non c’é stato modo per il lettore di intuire la fine (più o meno correttamente), cosa che avrebbe aumentato l’interesse e la curiosità. Adesso c’é il rischio che tutto si risolva troppo precipitosamente. Oppure ci hai “ingannato” così abilmente da seminare indizi ovunque?!
Mah. Rispetto tutte le opinioni, ma mi sembra che una vasta fetta di pubblico abbia seguito la serie con interesse e curiosità. E ora, nelle ultime 300 tavole (che sono tante: altrove sarebbero tutta una miniserie), questi lettori vedono tanti fili collegarsi, tanti tasselli del mosaico incastrarsi. Detto questo, mi inserisco in un argomento di discussione che in questi giorni ha interessato anche altri autori, altri amici (altrove sono intervenuti anche Mauro Boselli e Roberto Recchioni). Ebbene, è avvilente – ripeto, avvilente – vedere giudicata la qualità, la forza e l’importanza di una storia soltanto in base al suo valore in una rigida, ineluttabile continuity. Come se una storia fosse buona soltanto se e quando porta avanti la trama generale. C’é chi vede la continuity solo in una serie di storie così concatenate che senza l’una non potrebbe avere senso quella dopo (e anche quella prima). E chi, invece, vede la continuty anche in una serie di storie ciascuna delle quali ha un suo valore unitario, di per sé, ma che, insieme a tutte le altre, va a comporre un quadro più vasto. Quest’ultimo caso è quello di Brad Barron. (Poi si potrebbe anche parlare dei danni fatti, in altri mercati fumettistici, da una continuity spinta agli estremi, all’ossessione… ma lascio perdere.)
La continuity è un meccanismo narrativo, uno dei possibili strumenti da utilizzare in una storia. Concordo con te: un numero non può essere valutato solo in funzione di come e se porta avanti la trama principale (in questo caso la risoluzione della lotta con l’invasore alieno). I comics USA sono pieni di storie che non hanno alcun interesse narrativo se non quello di dare senso alla continuity. Tuttavia, sono anche convinto che, proprio in quanto elemento narrativo, la continuity, se usata con intelligenza, possa dare qualcosa in più a una storia. In particolare in una miniserie come questa, dove la conclusione è già prevista (sul piano editoriale), mi sarei atteso uno scenario più in evoluzione. Invece sembra che lo scenario sia immutato e immutabile per 15 mesi, e che a un certo punto, di colpo, le cose possano trasformarsi radicalmente. Non so se è chiaro quello che intendo dire.
è chiarissimo. E infatti Brad Barron, lungo il suo cammino, accumula conoscenze ed esperienze che si stratificano, e di cui si sente il peso. Un cambiamento graduale, secondo me avvertibile, che influisce soprattutto sulla psicologia del personaggio. Basti confrontare il Brad dei primi due numeri con quello degli ultimi. Vorrei inoltre ribadire come, nell’ultima sezione della saga, assumano importanza elementi ripresi da albi precedenti. Faccio soltanto un esempio: nel numero diciassette, ci sono agganci importanti, direi fondamentali, con i numeri 1, 2, 7, 8, 10 e, ovviamente, 16 (e forse anche altri che qui dimentico), oltre a un’anticipazione del 18. Non mi sembra poco.
Dal punto di vista artistico, Brad Barron ha visto il contributo di solidi disegnatori, che non hanno garantito una grande omogeneità tra un numero e l’altro, ma che hanno saputo interpretare complessivamente nel modo giusto i diversi generi che hai esplorato. Sei contento? Hai avuto qualche sorpresa (positiva o negativa)? Quale disegnatore ha interpretato meglio il Brad Barron che avevi in mente?
Bé, fare classifiche o preferenze non sarebbe né corretto né simpatico. Ringrazio tutti per avere trovato una propria cifra stilistica nell’interpretare Brad Barron. Il rispetto del personaggio e dello spirito della serie per me non ha mai dovuto passare attraverso uno snaturamento stilistico dei disegnatori. Ognuno ha dato qualcosa di suo, di importante, di unico. Certo, bisogna pero’ fare un discorso a parte per Fabio Celoni. Oltre a essere il primo salito a bordo e ad avere realizzato i primi bozzetti, con le sue copertine ha dato un enorme valore aggiunto a tutta la mini serie.
Walter Venturi ha disegnato il numero 16, Max Avogadro il 17; chi disegnerà l’ultimo numero della serie?
Giovanni Bruzzo… cioé, gran parte del 18. C’é una sorpresa in arrivo. Anche più grossa di quanto vi aspettate e di quanto sia già trapelato in rete. Chiedo scusa per la vaghezza. Vale quanto detto in risposta alla domanda precedente.
A proposito di anticipazioni, a molti lettori credo non sia piaciuta l’anteprima in quarta di copertina del numero 15, in cui viene rivelato che la moglie e la figlia di Brad Barron sono ancora vive. Come mai una scelta di questo genere, che appare non poco sconsiderata?
Era una sorpresa che si poteva rivelare. Ben altre, ben più grandi e narrativamente pregnanti restano nascoste. E comunque se ora sono davvero vive, chissà cosa succederà poi. Mai fidarsi di un invasore alieno.
D’accordo, pero’ immagina l’effetto su molti lettori: come detto sopra lo scenario sostanzialmente non muta per 15 numeri. Brad continua a nutrire una vaga speranza di ritrovare i suoi cari, anche se tale elemento appare via via sempre meno centrale, nella narrazione e nel suo viaggio. Finché, colpo di scena, questo elemento viene rivelato in quarta di copertina. Come a dire, l’elemento che smuove di più lo status quo (almeno fino a quel momento) viene svelato al di fuori della narrazione. Mi è sembrato quasi un tradimento.
Questioni di punti di vista. Di percezioni, che possono mutare da lettore a lettore. Tu ti sei sentito quasi tradito, altri sono stati intrigati e incuriositi. La speranza di trovare la famiglia comunque non è mai stata “vaga”, in Brad, ma, al contrario, ostinata. è comunque solo uno degli elementi della trilogia di storie finali. Non si risolve tutto nel ritrovamento o nella perdita definitiva (non voglio rovinare sorprese) della moglie e della figlia.
Terminata la miniserie, si parla già di speciali fuori serie. Da un lato c’é quindi la volontà di rispettare il patto con il lettore, non trasformando Brad Barron in una serie regolare. Dall’altro c’é pero’ la volontà dell’editore di non sprecare il buon successo di vendite. Hai già in mente l’impostazione e la frequenza di questi speciali? C’é già qualcosa in cantiere? Saranno ambientati prima o dopo la conclusione della miniserie?
Rispondendo all’ultima parte della domanda farei un imperdonabile “spoiler”. Posso assicurare che in alcun modo un’altra storia di Brad Barron potrà essere considerata un proseguimento della mini. Sarà un’altra storia, appunto. Con lo stesso personaggio. Al momento, è in lavorazione uno Speciale di 220 tavole illustrato da Max Avogadro: questo si può dire. Un grosso lavoro, quindi, che, per quanto già avviato, non potrà uscire in tempi strettissimi.
E dopo Brad Barron? A cosa stai lavorando in Bonelli? A che punto è la tua prima storia di Tex?
La prima è finita e in mano ai fratelli Cestaro. La seconda è a buon punto, in mano a Ortiz. E la terza, un po’ più indietro, è stata affidata all’ex barroniano Giovanni Bruzzo. Che dire? Per me Tex è un grande onore, una grande passione, una grande sfida, un sogno che oggi sembra realizzarsi. Spero che nel mio futuro abbia un posto importante.
Al di fuori della Bonelli, cosa dobbiamo aspettarci da uno degli sceneggiatori più prolifici d’Italia?
Ho appena risposto: oggi Tex è la priorità. E vorrei che lo restasse. Mi sento come un playboy che ha voglia di accasarsi. (Ma mi rendo conto che il paragone è un poco maldestro.)
Spero che avremo allora occasione di tornare a parlare con te di Tex, quando sarà il momento! Grazie per il tuo tempo.
Riferimenti:
Sergio Bonelli Editore: www.sergiobonellieditore.it
Tito Faraci, sito ufficiale: www.titofaraci.com
Articolo – La fuga di Brad Barron