Andrea Cavaletto, classe 1976 di origini torinesi, scrive fumetti ed è un autore affermato, anche in altri ambiti creativi come il cinema, ormai da molti anni. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lui a proposito delle sue fatiche più recenti: la conclusione della serie dedicata a Paranoid Boyd, la sua prima creazione indipendente (pubblicata da Edizioni Inkiostro), l’ormai chiacchieratissima storia muta sul Maxi Dylan Dog numero 31 e il suo debutto come sceneggiatore di Tex, su Color Tex n. 12.
Ciao Andrea e bentornato, sei ormai un ospite ricorrente delle nostre interviste.
Si, spero di non annoiare!
Quanto sei soddisfatto della tua esperienza con Paranoid Boyd, ora che sta per volgere al termine?
Sono molto soddisfatto. Sapevo che Paranoid Boyd sarebbe stato una lettura difficile, non per tutti. Ma sono riuscito a portare a termine la serie esattamente nel modo che mi ero prefissato, ed è un gran bel risultato tenendo anche conto delle critiche e dalle recensioni più che positive che ha ricevuto sui vari blog di fumetto (e non solo). E poi c’è il fatto che, inaspettatamente, ha saputo ritagliarsi un consistente numero di lettrici appassionate! Come ho già avuto modo di dire, al momento è la mia opera più complessa e personale, tanto che quando ho scritto la parola FINE mi si è chiuso lo stomaco. Ma ho ancora grandi progetti in mente per il mio William Boyd, tra cui una versione riveduta e riadattata per il mercato USA e un progetto che coinvolga cinema o TV. Vedremo cosa ci riserverà il futuro, ma sono ottimista e agguerrito.
Oltre che come fumettista, hai lavorato anche come sceneggiatore per il cinema. C’è un media che preferisci tra i due? Questa costante interconnessione tra cinema e fumetto ti ha permesso di sperimentare nuovi modi per raccontare le tue storie?
Li amo entrambi. Non ho preferenze. Ho iniziato con il fumetto, perché così puoi anche autoprodurti senza troppi aiuti e con relativamente poche spese, e così che fatto: il mio primo fumetto è stato un’auto produzione chiamata Ground, e da lì è iniziata tutta l’avventura.
Posso dire di essere stato fortunato ma di non aver mollato mai, anche quando tutto sembrava remarmi contro. È una vera gioia poter adesso lavorare su tutti e due i media, con buonissimi risultati, tra l’altro. In questi anni ho imparato molto dallo scrivere film e fumetti, cercando di carpire i trucchi e i segreti, notando le similitudini e i punti di distanza. Ma la ricerca per un miglioramento ulteriore è tutt’altro che finita.
Quando scrivi le tue opere c’è un tema fondamentale a cui non riesci a rinunciare?
Mi piace creare personaggi “umani”, credibili, con le loro debolezze e contraddizioni, con i loro lati oscuri e improvvisi atti d’amore. E mi piace parlare delle paure della folle società in cui viviamo. Ho un pensiero piuttosto nichilista, ma il mio innato ottimismo lascia sempre uno spiraglio di salvezza.
Nel corso degli ultimi anni il mercato del fumetto italiano (e globale) ha subito grandi cambiamenti, principalmente per via dell’affermarsi del web e delle sue possibilità. Cosa ne pensi?
Seguo i fenomeni del web ma con un certo distacco poiché ammetto che ne sono per indole piuttosto distante. Comprendo l’enorme potenziale di utilizzo del web per i nuovi autori emergenti e lo consiglio, ma preservo ancora un certo feticismo nei confronti del cartaceo.
Da Dylan Dog a Tex. Due personaggi quasi agli antipodi, separati da generazioni di lettori e autori. In che modo sei stato coinvolto con il ranger più famoso del fumetto italiano?
Ero in redazione quando Mauro Boselli (editor di Tex) mi ha proposto di cimentarmi in una sceneggiatura breve per il Color Tex antologico. Occasione che ho colto al volo perché, oltre ad essere un personaggio iconico, Tex era il fumetto preferito di mio padre ed è proprio con lui che è iniziata la mia passione per il fumetto. Per questo voglio dedicare questa mia storia a papà che non c’è più da tempo…
Il Color Tex negli ultimi anni ha rappresentato uno spazio in cui proporre non solo storie brevi ma anche autori nuovi, in un contesto per certi versi con meno vincoli rispetto alla serie regolare. Hai avvertito questa libertà narrativa?
Credo che la possibilità di sperimentare sia sempre un ottimo carburante per il motore della creatività. Detto questo, è stata una esperienza da sangue, sudore e lacrime. Tex è un personaggio difficilissimo da scrivere ma la sfida mi ha caricato a mille e io sono uno che non molla mai. Ho avuto modo di scrivere una bella storia che parla di giustizia, vista da diverse angolazioni.
Il Maxi Dylan Dog in uscita a fine ottobre presenterà una storia sceneggiata da te con la peculiarità di essere completamente muta. Da dove è nata l’idea e quali difficoltà hai incontrato durante la sua realizzazione?
Mi hanno sempre affascinato le storie mute perché permettono allo sceneggiatore di misurare le proprie capacità. Avendo fatto una sceneggiatura per un film horror muto mi sono sentito pronto per provare a scrivere una storia senza dialoghi per Dylan Dog. Una storia che, attraverso un confronto e una caccia tra uomo e lupo, mettesse in mostra la vera, unica protagonista: Madre Natura. Per questo non volevo usare dialoghi, perché il linguaggio della Natura è universale e dentro ogni essere vivente. Roberto Recchioni, editor di Dylan Dog, ha accolto la proposta con entusiasmo. Le difficoltà nel realizzarla non sono state poche ma io e la disegnatrice Francesca Zamborlini le abbiamo superate insieme, una dopo l’altra, facendo molteplici e ripetute revisioni in fase di sviluppo e disegno.
Quanto è importante il rapporto con il disegnatore per dar vita a una storia muta? Quanto è stato stretto il confronto tra voi?
Diversamente da altre occasioni in cui scrivevo senza avere contatti con il disegnatore a cui sarebbe poi stata affidata la storia, questa volta è stato necessario creare una sinergia con Francesca. Per fortuna che, pur essendo giovane e quasi agli esordi, è una professionista capace e ci siamo trovati subito bene nel lavorare insieme. Ha saputo gestire alla grande lo stress per la responsabilità e ha fatto un ottimo lavoro.
Per concludere, ti chiediamo qualcosa sulla tua attività come docente di sceneggiatura. Cosa significa per te l’insegnamento, trasmettere la tua esperienza?
Da un paio di anni tengo dei workshop di scrittura creativa sul fumetto e sul cinema alla scuola Holden di Torino e ho scoperto che insegnare mi piace molto. Mi trovo a mio agio nel lavorare con gli allievi e adoro lo scambio di idee e pareri, che mi permette di apprendere insegnando. A tal proposito, sono orgoglioso di essere tutor insieme a Tito Faraci e Alfredo Castelli nel primo corso in stretta collaborazione tra Sergio Bonelli Editore e Scuola Holden, strutturato per scrivere sceneggiature specifiche per la famosa casa editrice milanese.
Grazie Andrea, alla prossima.
Intervista realizzata via mail a ottobre 2017