Chi era adolescente verso l’anno 2000 ricorda probabilmente con nostalgia la Anime Night di MTV e la sua selezione di serie dirette a un target adulto. In quel palinsesto, un anime più di altri rappresentò davvero un prodotto inedito e di impatto per quei giovani spettatori: la trasmissione, in prime time nell’ottobre 1999, di Cowboy Bebop, serie cult per maturità di tematiche e linguaggio espressivo, che rivoluzionò la concezione dell’eterogeneo universo degli anime, appassionando all’animazione anche un pubblico neofita.
Seppure non raggiunse la popolarità acquisita negli Stati Uniti, il successo di Cowboy Bebop pare essersi sedimentato, se Woovie Nights ha deciso di riportare nei cinema per soli tre giorni – lunedì 2, martedì 3 e mercoledì 4 marzo 2015 – il lungometraggio animato, il cui passaggio nei cinema italiani era già avvenuto a ridosso di quello televisivo ad opera della Columbia Tristar.
All’epoca (2003) l’operazione fu un flop: la scarsa distribuzione e la quasi inesistente promozione portarono nelle tre settimane in cui il film venne proiettato su un trentina schermi appena 5600 spettatori. Un fatto comunque eccezionale, se si considera che fu la prima distribuzione cinematografica di un film d’animazione nipponica in Italia dai tempi di Akira – eccezion fatta per opere di autori quali Miyazaki o indirizzate a un pubblico infantile.
In fondo Cowboy Bebop, con il suo continuo mescolare generi e toni, ha sempre dovuto far fronte per sua stessa natura a difficili collocazioni di palinsesto e target di riferimento. A partire dalla sua produzione: nel 1998 la Sunrise firma un contratto con una delle sue compagnie finanziarie maggiori, la Bandai Visual, per la realizzazione di due anime che verranno diffusi dal canale satellitare a pagamento Wowow. Il progetto principale è Brain Powered, nato sull’onda del successo di Evangelion, mentre il secondo lavoro – per il quale la produzione mostra meno interesse – è Cowboy Bebop.
Per questo anime il cast tecnico è comunque di prim’ordine: ne fanno parte l’allora già nota compositrice Yoko Kanno e il mechanical designer Kimitoshi Yamane, il character designer Toshihiro Kawamoto e la sceneggiatrice Keiko Nobumoto, oltre al regista Shinichirō Watanabe (il nome Hajime Yatate, accreditato come ideatore della storia originale, è lo pseudonimo dietro cui si cela lo Studio Sunrise). Lo staff è parzialmente già rodato grazie alla precedente collaborazione tra Kanno, Nobumoto, Kawamoto e Watanabe per i quattro OAV di Macross Plus, ma la vera novità è l’esordio come series director di Watanabe: il regista riuscirà a gestire idee creative e risorse umane controllando ogni minimo particolare, fino a incaricarsi personalmente delle audizioni per il doppiaggio.
A causa di una revisione del contratto con Wowow, la serie viene salvata solo grazie all’intervento della pubblica TV Tokyo e alla riduzione del numero degli episodi (da ventisei a tredici): il 3 aprile 1998 inizia la trasmissione. Ma a seguito dell’acclamazione dell’anime su tutta la stampa del settore, il canale Wowow decide finalmente di trasmettere tutti gli episodi dal 23 ottobre.
Il fenomeno Cowboy Bebop è ormai iniziato: nel 1999 è Best Anime per Newtype, il popolare magazine della Kadokawa Shoten, oltre ad aggiudicarsi numerosi premi; le vendite dei video vanno bene e i CD della colonna sonora diventano vere e proprie hits. Il successo porta anche alla creazione di due manga: il primo, due tankobon disegnati da Kuga Kain, viene pre-pubblicato nel 1997 sotto il titolo di Cowboy Bebop: Shooting Star; il secondo (tre volumi, giunti anche in Italia per Dynamic Italia e ristampati poi da Planet Manga), chiamato semplicemente Cowboy Bebop, è realizzato tra il ’99 e il 2000 dalla mangaka Nanten Yutaka con l’aiuto dei creatori dell’anime.
La serie è ambientata nel 2071, anno in cui l’umanità si è ormai spostata dalla Terra (resa inabitabile per l’esplosione di un satellite) ad altri pianeti del Sistema Solare, colonizzati con città che rispecchiano problemi e difetti delle antiche metropoli terrestri. La trama si sviluppa attorno al passato di Spike Spiegel, ora cacciatore di taglie sull’astronave Bebop insieme a Jet Black, ex-poliziotto; ai due si uniscono man mano la seducente truffatrice Faye Valentine, l’imbattibile e giovanissima hacker Ed e il cane Ein.
Dopo le prime session introduttive – così vengono chiamati gli episodi – con la formazione dell’equipaggio del Bebop, ogni puntata si incentra sui tentativi (non sempre vittoriosi) dei nostri di arrestare un ricercato e riscuoterne la relativa taglia. Nonostante la trama nel suo complesso resti all’interno dello schema della continuing story, ogni session ha un suo plot episodico e viene trattata come un singolo cortometraggio, una continua “variazione sul tema”.
In questa struttura si inserisce il film Cowboy Bebop: Knockin’ on Heaven’s Door (2001), titolo originale Cowboy Bebop: Tengoku no Tobira (“La porta del Paradiso”), che si può infatti considerare un lungo episodio da situare tra le session #22 e #23. Con la presenza di tutti i personaggi principali della serie tv, il film è accessibile anche a un pubblico estraneo al mondo e ai personaggi del Bebop, che sono stavolta alle prese con i responsabili di un attentato terroristico realizzato con nano-macchine.
Tematiche quali il sogno/incubo e l’importanza del passato sono nel film filo conduttore per la caratterizzazione dei personaggi, in cui soprattutto l’antagonista, Vincent, è modellato su Spike. La somiglianza tra i due si inserisce in un metaforico equilibrio, tra affinità fisica, drammaturgica e psicologica: una simmetria che enfatizza inquietudini sotterranee che il pubblico dell’anime televisivo ben conosce. Il lungometraggio, sebbene non arrivi ai punti più alti della produzione televisiva, introduce appieno lo spettatore a quella maturità dei contenuti che si accompagna a un livello artistico senza precedenti.
Caratteristiche nella serie riscontrabili fin dall’esplosiva sigla iniziale Tank!, che evidenzia un elemento che in Cowboy Bebop è fondamentale: la parte musicale, opera della famosa compositrice Yoko Kanno. La camaleontica colonna sonora – che parte dal jazz per arrivare al blues e al rock, fino alla musica lirica – ha aiutato non poco a decretare il successo dell’anime, con un’ottima coesione tra immagini e soundtrack. Circa un anno prima della produzione la Kanno aveva già composto del materiale, da cui il regista Watanabe iniziò a trarre ispirazione; da quel momento in poi sarà un continuo work in progress, grazie alla grande sensibilità musicale di Watanabe – responsabile del ruolo centrale dato al jazz – e ai ricordi di un giovanile viaggio della Kanno negli States. L’universo illustrato in Cowboy Bebop, sfaccettato e multiculturale, viene reso più realistico da un eclettismo sonoro che, oltre a descriverlo spazialmente, esprime i sentimenti dei personaggi. Un esempio perfetto di utilizzo narrativo della musica.
D’altronde il talento del regista nel mescolare culture di epoche e paesi diversi si fa sentire anche a livello registico, narrativo e visivo: dai film americani degli anni ‘60 e ‘70 e le loro colonne sonore ai capolavori di Sam Peckinpah, dal genere noir degli anni ‘40 a Dirty Harry di Don Siegel fino ai capolavori del cinema europeo; dalla simulazione della camera a mano in molte scene di combattimento all’uso di forti soggettive, è stata forse proprio la figura centrale di Watanabe a veicolare le qualità dei membri dello staff artistico in un risultato coerente e omogeneo.
Rendendo Cowboy Bebop un caso isolato nel panorama dell’animazione giapponese, con la freschezza esibita durante la sua prima messa in onda ancora intatta a quasi due decadi di distanza.