Abbiamo proposto a Roberto Recchioni un’intervista un po’ particolare, che va a scavare sia nel piano lavorativo che in quello personale e in questioni non sempre semplici da affrontare. È nata così una lunga chiacchierata, schietta e sincera, nella quale oltre alla figura “pubblica” dell’autore ne esce anche una decisamente conscia dei propri pregi come pure dei difetti.
Roberto Recchioni esordisce nel 1993 sulla serie Dark Side (BDPress). È tra i fondatori della casa editrice indipendente Factory; ha collaborato con Star Shop, Comic Art, Rizzoli, Magic Press, Mondadori. Per Eura Editoriale ha sceneggiato svariati racconti per Skorpio e Lanciostory, da solo o in coppia con Lorenzo Bartoli, e sempre con Bartoli ha dato vita alle serie a fumetti John Doe e Detective Dante. Nel 2007 realizza i testi della miniserie Garrett – Ucciderò ancora Billy the Kid (Edizioni BD). Ha sceneggiato numerose storie di Diabolik. Nel 2007 esordisce come sceneggiatore di Dylan Dog. Per Panini Comics crea con Matteo Cremona la miniserie David Murphy: 911 (2008) e l’adattamento a fumetti delle Cronache del Mondo Emerso di Licia Troisi (2009). Nel 2012 pubblica per Nicola Pesce Editore e Asso e Ammazzatine. Per la Sergio Bonelli Editore scrive su Le Storie e Tex e ha crea la miniserie a colori Orfani insieme a Emiliano Mammucari. È il curatore di Dylan Dog e l’ideatore della collana Roberto Recchioni Presenta: i maestri dell’Orrore (Star Comics), oltre che della miniserie Battaglia (Cosmo Editoriale). Attualmente è al lavoro su una trilogia di romanzi fantasy per la Mondadori. Il suo blog, Dalla Parte di Asso, è tra i più letti d’Italia.
Ciao Roberto e grazie di avere accettato di partecipare a questa intervista. Arrivi da due anni impegnativi e stressanti ma ricchi di successi personali. Orfani che si avvicina alla conclusione della seconda stagione, curatore di Dylan Dog, Le Storie, Tex, Monolith oltre a I Maestri dell’Orrore con Star Comics, Battaglia con la Editoriale Cosmo. Più che la rockstar del fumetto italiano ormai sei diventato una vera e propria “major”. Cosa ti ha dato questo periodo a livello personale e lavorativo? Ti ha cambiato in qualche modo?
Sono una persona piuttosto strana in questo senso. Non mi soffermo mai sul risultato ottenuto, ma lo vedo sempre come un pezzetto andato al suo posto nel progetto generale. Sono felice di come stiano andando le cose? Molto. Ma non mi permetto di perdere tempo soffermandomici sopra. Ho molti difetti, tra cui uno spiccato egocentrismo, ma non sono uno che si crogiola sui successi. C’è molto lavoro da fare e poco tempo per farlo. Vuoi sapere l’unica cosa che mi rende davvero orgoglioso? Il fatto che da Napoli Ground Zero in poi, passando da John Doe, fino a tutti i progetti presenti e futuri, ho generato davvero tanto lavoro, dando modo a tanti autori di esordire, a tanti di affermarsi e a parecchi l’occasione di lasciare il vecchio impiego che odiavano per dedicarsi solo al fumetto. E questa è una cosa che mi ha passato Lorenzo Bartoli. Per molti versi, è la sua eredità.
La Bonelli negli ultimi tempi trasmette la sensazione di essere divisa in fazioni, una situazione che sembra aver avuto inizio in concomitanza del passaggio di consegne tra Sergio e Davide Bonelli. Si avverte una sorta di nervosismo interno che forse si può semplificare così: “vecchi contro nuovi”. Tu soprattutto hai acquisito un certo “potere” che ha dato adito probabilmente a qualche invidia. Come vivi questa situazione? Ti senti mai giudicato come quello che viene sempre accontento nelle sue proposte e cosa rispondi a chi ti accusa di questo?
Sì, è vero. C’è un certo livello di tensione interna in Sergio Bonelli Editore (cosa normale per un’azienda così grande e che sta attraversando una fase di trasformazione, rinnovamento e rilancio) e in parte mi riguarda, essendo coinvolto in tanti progetti. Quello che mi dispiace è che ci sia un fraintendimento su questo coinvolgimento perché non è che “la Bonelli a Recchioni gli fa fare tutto” ma, piuttosto “Recchioni ha trovato delle soluzioni e degli sviluppi artistici, produttivi e commerciali che rendono più probabile il fatto che la Bonelli gli faccia fare molto“. Del resto, non è una cosa che riguarda solo la Bonelli, eh? Ho progetti e lavori in corso anche con Bao, Cosmo, Star, Mondadori e con altre grosse realtà che non posso ancora rivelare. Possibile che abbia un ascendente personale su tutte?
Non è più facile pensare che forse, grazie a oltre venti anni di carriera passati a rubare con gli occhi tanti mestieri diversi e a creare una rete di collaborazioni, io sia oggi capace di mettere in piedi dei progetti che vadano al di là del semplice presentare una sceneggiatura a una casa editrice e sperare che la accettino? Prendiamo la collaborazione tra SBE e Bao, che ha portato prima alla ristampa in edizione di pregio di Mater Morbi e poi, visto il successo (oltre dodicimila copie vendute nel settore della libreria di varia) a Orfani (che prosegue la sua vita in volumi anche con la seconda stagione) agli altri volumi di Dylan Dog e al futuro libro sulle storie di samurai. Pensate che sia stata Bao a presentarsi alla porta della Bonelli, così, da un giorno all’altro?
Non è più probabile che per molto tempo io e Michele Foschini ci siamo confrontati per dare forma a una progettualità che è piaciuta alla SBE? E che visto che è andata molto bene, forse questa cosa sia stata di ispirazione per la prossima entrata in prima persona della SBE nel settore delle librerie di varia e nelle fumetterie? No, più facile pensare che sia qualche trama oscura dietro. Più facile e più consolatorio. Se ci attenessimo alle mie incombenze in Bonelli, tutto quello che dovrei fare è state davanti a un computer e ogni tanto prendere un treno da Roma a Milano. In realtà, negli ultimi cinque anni, di treni ne ho presi molti e verso le direzioni più disparate. Mi sono seduto a tavoli di riunioni con realtà lontane dalla Bonelli, che poi alla Bonelli si sono avvicinate. E da queste connessioni sono nate e nasceranno cose. È il lavoro di un curatore di testata? No. È il lavoro di un produttore (nell’accezione usata dal settore cinematografico), che è poi quello che penso di essere, prima ancora che un autore.
Fortunatamente le tensioni a cui accennavi saranno transitorie. Quello che sta accadendo è una normale evoluzione. E farà il suo corso naturale.
Sei diventato il punto nevralgico nella creazione delle storie di Dylan Dog. Dopo un primo periodo di assestamento si sono viste storie buone e altre meno e probabilmente tra quelle più riuscite e innovative ci sono quelle scritte direttamente da te per questa “Fase 2”, nella quale lo status del personaggio è stato fortemente modificato. Dyd dà però la sensazione di essere un personaggio ormai prigioniero delle sue rigide impostazioni. Credi sia davvero possibile far ripartire la serie senza stravolgere eccessivamente la sua essenza e cercando di accontentare sia il nuovo sia il vecchio pubblico?
Credo che sia una questione di autori. Un curatore può fare molto, anche arrivare a riscrivere integralmente i testi di una storia se necessario, ma non può fare miracoli. E nemmeno deve. Il mio lavoro consiste nel cercare di portare gli autori migliori a lavorare sul personaggio e nel metterli nella condizioni migliori per dare di più. E quando non basta, usare dei trucchi per spingerli nella direzione voluta e necessaria. Alcuni cambi narrativi di questo primo periodo, per esempio, nascono proprio in quest’ottica.
Non ho pensionato Bloch perché non amo il personaggio, o tanto per cambiare qualcosa. Ho pensionato Bloch perché non riuscivo a evitare che certi autori lo usassero come comodo stratagemma per risolvere dei problemi narrativi. Adesso si devono ingegnare di più e questo potrebbe portare a storie più interessanti, e certe volte funziona davvero.
Comunque sia, credo che “il problema” di Dylan (lo virgoletto perché Dylan non ha nessun reale problema, se guardiamo solo alle vendite) credo che sia tutto qui: bisogna scrivere storie interessanti. Basti dire che, nonostante gli alti e bassi qualitativi, la serie quest’anno non ha praticamente perso lettori e ne ha invece guadagnato qualcuno. Che, tenendo conto che venivamo da anni di erosione importante, è un ottimo risultato. Perché è successo? Perché le storie sono state più interessanti. Magari non tutte riuscite, ma capaci di attrarre l’attenzione del lettore. E il meglio deve ancora venire.
Ultimo grande annuncio è la serie indirizzata ai lettori più giovani 4 Hoods, forse il titolo Bonelli per concezione più rivoluzionario di questi ultimi anni. 4 Hoods nasce come prodotto di libero utilizzo, che ognuno poteva utilizzare per creare una propria storia, fumetto o altro fatte salve le caratteristiche essenziali. Non ti sembra di tradire l’idea di partenza del progetto?
Sì e no. 4 Hoods non nasce open, lo diventa. Quando ho iniziato a disegnarli per gioco e a postarli su Facebook, in tanti si sono fatti avanti con proposte e iniziative. Un entusiasmo tale che mi ha fatto pensare: potrebbe nascere qualcosa di spontaneo e bello. Per questo li ho resi open e disponibili per tutti. Vuoi sapere che è successo? Che una volta chiarito che non ci sarebbe stato scopo di lucro e che non era previsto uno sviluppo commerciale, l’entusiasmo è svanito. È stato piuttosto deludente, se devo essere sincero. Al punto che ho pensato di abbandonare questi pupazzetti.
Poi però mi divertivo troppo a disegnarli e ho continuato a farlo, trovando sempre un certo entusiasmo e interesse da parte del pubblico del Web. A quel punto è entrata in gioco la Bonelli con la sua idea di un’etichetta Young. Mi hanno chiesto se avevo in mente qualche idea per i 4 Hoods e se li avessi già venduti a qualcuno. Dissi di no, che non erano stati ancora dati a nessun editore e che di idee ne avevo molte e molto articolate, specie per quello che riguardava come produrli e gli sviluppi oltre il fumetto che avrebbero potuto. La Bonelli si è detta entusiasta, e i 4 Hoods sono diventati un progetto con finalità commerciali. Impedirò agli appassionati di fare disegni, cortometraggio i cose del genere? No, a patto che siano davvero i lavori di fan e non delle ricerche di visibilità mascherate.
Stai per fare il tuo debutto come scrittore con tre romanzi editi dalla Mondadori. Ti va di parlarci più approfonditamente di questa tua nuovo avventura? Quali sono i tuoi romanzieri di riferimento?
Si tratta di una trilogia fantasy. Fantasy di provincia lo definisco io, essendo ambientato in un mondo che è più simile all’Italia del profondo sud che alla terra di mezzo. Uscirà per Mondadori un libro all’anno. Le copertine saranno di un noto fumettista mio amico che ha una passione per il fantasy e che di questi tempi frequenta i Bruti. Mi spiace ma non posso dirne il nome. Sono piuttosto sulla corda per questa cosa. Nel corso degli anni ho rifiutato varie proposte di scrittura perché penso che scrivere narrativa sia una roba a cui devi dedicare tutto te stesso. Però sono un paio d’anni che mi ronzava un’idea in testa e, quando è arrivata l’offerta della Mondadori per questa trilogia, tutto si è sposato talmente bene che non sono riuscito a rifiutare. Per quello che riguarda i romanzieri di riferimento, la lista è infinita. Diciamo che per questa trilogia il faro è rappresentato da Stephen King da una parte e Cormac McCarthy dall’alta. È un faro lontanissimo e irraggiungibile ma è importante che ci sia.
E del tuo lavoro come illustratore per la Multiplayer.it Edizioni cosa ci puoi dire?
Quest’anno sono decisamente tornato a disegnare con maggiore costanza. Dai disegnetti porno alle copertine per i Maestri dell’Orrore fino alle illustrazioni per The Queen of Tearling, un best-seller fantasy young adult americano che la Multiplayer sta per dare alle stampe in Italia. Sono stato molto sorpreso di essere chiamato come un illustratore puro e ho accettato volentieri.
Hai in programma qualche progetto come autore completo?
Appena finisco alcune cose che mi stanno togliendo la vita tornerò a fare un nuovo libro di Asso. Il primo, oltre a essere andate piuttosto bene, è stato anche come mettere un punto su un momento della mia vita e poi andare avanti. Per farne un altro avevo bisogno di “digerire” gli ultimi anni e tutto quelli che mi è capitato.
Oltre a gestire una mole gigantesca di lavoro riesci anche a partecipare a molti eventi, incontri e fiere. Qual è il tuo metodo di lavoro e come ti organizzi per coordinare tutti i tuoi impegni?
Di solito rispondo a questa domanda con un formuletta di quelle che fanno effetto ma non significano niente: faccio una cosa alla volta. In realtà, la verità e diversa: io lavoro venti ore al giorno. Ogni giorno. E visto che nemmeno questo basta, ho organizzato uno staff di altri sceneggiatori, disegnatori e grafici che lavorano con me. Quindi il segreto è semplice: lavorare tanto.
Altra tua nuova creatura è Uno Studio in Rosso, il collettivo sotto cui hai riunito un gruppo di colleghi/amici (Mauro Uzzeo, Roberto Cirincione, Michele Monteleone, Giovanni Masi, Giulio Antonio Gualtieri, Riccardo Torti e Federico Rossi Edrighi). Ci spieghi com’è strutturato questo collettivo, perché è stato creato e dove si prefigge di arrivare?
Avevamo bisogno di un posto dove giocare a Dungeons & Dragons che non fosse sempre casa mia. Scherzo, ma nemmeno tanto. Siamo un gruppo di amici che aveva voglia di trovare uno spazio di lavoro comune per non stare sempre a casa da soli. E per giocare a Dungeons & Dragons. Ovviamente, se metti otto fumettisti a lavorare nello stesso luogo, è ovvio che finiscano per far nascere cose nuove e collaborare insieme. E giocare a Dungeons & Dragons.
Ho notato che i numeri #0 de I Maestri dell’Orrore e Battaglia riportano il tuo nome a caratteri cubitali in copertina mentre quasi tralasciano gli autori delle opere in questione. Benché comprensibile a livello commerciale non trovi sia avvilente per le persone che hanno lavorato agli albi?
Ti potrei dare molte risposte a questa domanda. Potrei dirti, per esempio, che senza il mio nome in copertina quelle opere non sarebbero esistite perché sono nate dalla volontà delle case editrici che le pubblicano di collaborare con me. Che quelle case editrici mi hanno cercato e fatto loro la proposta e che io ho risposto che non avrei potuto scrivere quei progetti ma solo curarne alcuni aspetti, dall’ideazione alla produzione, dalla cura editoriale all’aspetto grafico. E che loro hanno accettato a patto che io ci spendessi la mia faccia.
O potrei dirti che quel nome garantisce qualche copia venduta in più.
O potrei farti notare che i nomi degli autori sono in quarta di copertina in un caso e nella colonnina dei credits nell’altro, sempre ben in evidenza.
O farti notare che è una pratica comune tanto in Italia quanto in USA.
O che gli autori “squalificati” fanno quasi tutti parte dello Studio in Rosso e sono un gruppo di lavoro molto coeso con cui collaboro su base giornaliera.
O che sono autori che seguo da anni.
Incece mi limito a suggerirti di chiederlo ai diretti interessati. Sono tutti su Facebook, ci metti solo un paio di click.
Non hai mai nascosto la tua passione per il cinema e il fumetto porno che hai anche omaggiato nel numero 18 della terza serie di John Doe, “L’uomo che amava le donne“. Ultimamente hai aperto “Rrobe Porno”, un blog Tumblr dove posti le tue illustrazioni hard. Ricordo che avevi espresso il desiderio di realizzare un fumetto a sfondo pornografico: lo hai sostituito con questo blog o il progetto è ancora attivo?
Sì. Non trovando il tempo per realizzare il libro ma continuando a fare disegni e disegnetti, ho pensato di raccoglierli su quel Tumbr.
Il blog è indirizzato a un pubblico adulto e il contenuto è molto forte, decisamente hardcore. Ne esce un’immagine della donna sottomessa, degradata al ruolo di schiava o mero oggetto sessuale. In un paese come il nostro, eccessivamente bigotto (a volte per convenienza), non ti assale mai la paura di essere giudicato per quelle immagini o che un tuo progetto, tipo 4 Hoods, possa essere intaccato da questo tuo lato personale/artistico?
Altan disegna la Pimpa e le sue violentissime e volgari vignette satiriche. Mattioli disegnava Joe Galaxy e Squeek the Mouse mentre collaborava con Il Giornalino. In linea teorica, non ci dovrebbero essere problemi. Ma sto valutando attentamente la cosa. Viviamo in tempi molto più oscuri e meno liberali di qualche anno fa.
Hai un rapporto tempestoso con i social. Qualche tempo fa ti è stato bloccata la pagina Facebook per un mese, se non sbaglio per un battuta che è stata segnalata come offensiva. Hai schiere di fan che ti amano incondizionatamente ma anche molti detrattori che usano la tua pagina per attaccarti. Non pensi di avere una esposizione mediatica eccessiva, alle volte perfino dannosa per la tua immagine pubblica?
Quando sono sul web, a meno che non stia parlando in termini ufficiali o in rappresentanza di qualcuno, sono solo un utente come tanti altri. Infatti mi stupisco sembra quando vengo percepito differentemente.
Sempre sui social: quanto ami il flame voluto, quanto tieni al giudizio della gente e quanto metti davvero di te e quanto del “personaggio” Recchioni che si è venuto a creare nel tempo?
Mi diverte lo scontro. Mi ha sempre divertito. È la mia maniera per confrontarmi con il mondo. Se voglio conoscere qualcosa ci devo sbattere contro. Ergo, c’è molto di me nel “personaggio”. Quello che non c’è è privato. E sono contento che resti tale.
Da tempo convivi con la malattia, condizione che hai cercato di raccontare e esorcizzare in Mater Morbi e Asso. Pensi che in un certo senso ti abbia “aiutato” e spronato ad avere quella determinazione e quella caparbietà che oggi dimostri nel tuo lavoro?
È stata fondamentale.
Lo è ancora.
Tanti autori riversano i problemi e i rapporti familiari nei loro lavori. Mi sembra che tu, a parte qualche passaggio in Asso, non abbia mai avuto questa predisposizione. Senza volere entrare troppo nel personale, ti posso chiedere se la tua carriera è stata influenzata dai trascorsi giovanile o dai rapporti all’interno del nucleo familiare?
Mia madre è la donna che mi ha dato la vita e me l’ha salvata più volte.
Le devo tutto.
Mio padre, è diverso da mia madre.
Quale è il tuo più grande rimpianto, la tua più grossa delusione, la cosa di cui vai più fiero e quella che non rifaresti a livello lavorativo?
Nessun rimpianto. La delusione non è un sentimento a cui mi abbandono volentieri. Se c’è qualcosa che non è andato come speravo, cerco di capire dove ho sbagliato io per primo e provo a non ripetere gli stessi errori. La cosa di cui vado più orgoglioso è del lavoro che genero e del fatto che sto riuscendo a cambiare un piccolo pezzo del mio mondo. L’esperienza che non rifarei mai più è difficile da stabilire perché tutte sono state utili per fare esperienza. Diciamo che non lavorerei mai più con uno specifico editore di cui non farò il nome.
Facciamo una sorta di “What if“. “E se Roberto Recchioni non fosse mai stato un fumettista?”
Probabilmente un barbone. O un morto. Non ho mai pensato a una possibile alternativa al raccontare storie. Non so fare niente di diverso che quello che faccio.
Esiste oggi un nuovo autore in cui ti rivedi?
Uno con le mie stesse caratteristiche, finalità e atteggiamento, no. Ma ci sono molti autori giovani e diversi da me che mi piacciono molto. A cominciare dai pards dello studio per arrivare a gente lontana da me come Ratigher.
La persona che più stimi e quella che invece mal sopporti nel mondo del fumetto?
Mauro Marcheselli. Quanto a quelli che mal sopporto: gli ignavi, gli inconsapevoli, i disfattisti, gli invidiosi.
Roberto lasciamoci con un classico e dacci lo scoop: progetti futuri?
Ne ho un paio. Ma visto che sono noto per non sapermi tenere nulla, mi hanno fatto firmare un contratto di segretezza e non posso davvero parlarne.
Roberto, grazie per la disponibilità e speriamo di risentirci presto. In bocca al lupo per tutto.
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