Pop gun war

Pop gun war

Farel Dalrymple Lain 2004 - 140 pagg. c. b&n e col. - 16.50euro

la copertina del volumeUn bambino con le ali. Un pesce rosso con gli occhiali. Un monaco all’apparenza malvagio che accumula giocattoli rubati. Una bimba già adulta leader di una rock band. Un paesaggio urbano che ricorda un Lower east side in acido. Questo è Pop gun war.

Farel Dalrymple spiazza il lettore con una non-narrazione fatta di personaggi sognati. Procede a strappi e svolta senza mettere la freccia, costringendoci a chiederci cosa mai voglia significare questo susseguirsi continuo di episodi interlocutori. Niente sarebbe più sbagliato. La profonda bellezza di questo libro, folgorante debutto di questo singolare autore newyorkese (in patria edito dalla benemerita Dark Horse), sta appunto nel flusso liquido e leggero di una vicenda incerta e in sé poco importante, per la quale dobbiamo essere del giusto umore (“mood” come direbbero gli americani) o avere le vibrazioni adeguate per saperla navigare.

Tutto è come se fosse un sogno, o meglio, come se con un agire determinato da uno stato ipnagogico, Dalrymple avesse fissato su carta le immagini scaturite nella sua mente durante la pennichella pomeridiana o dopo un profondo sonno al caldo di pesanti coperte, nell’inverno americano.Quindi, per rispondere alla facile (e per certi versi giusta) critica di non-sense e di inconsistenza narrativa, come possiamo pretendere che la logica possa aiutarci ad amare questo fumetto se le regole di una narrazione consequenziale sembrano bandite dall’autore? Sarebbe come domandarci il senso di un sogno, sapendo che tra poco lo dimenticheremo.
Eppure, rimango convinto che questo andamento onirico e quasi da sunnambolo dei comics sia invece determinato da una precisa volontà dell’autore e che niente, o quasi, sia lasciato al caso. Cio’ non toglie che l’istintività sia un dato importante per l’ottima riuscita di questo lavoro.

Citando (e travisando) il grande Rino Gaetano, potremmo dire che c’é più poesia che prosa, e di conseguenza troviamo molta malinconia in queste tavole. Vi è l’innata capacità di saper fare un passo oltre la consuetudine di regole che questo medium si è auto-imposto per decenni.
una delle immagini che introducono i vari capitoliPerché la pittura ha potuto andare al di là della semplice descrizione, la poesia ha saputo essere pura astrazione e il cinema si è potuto affrancare dalla narrazione abbracciando il surrealismo, mentre il tanto bistrattato fumetto ha sempre (o quasi) dovuto essere ancorato alla meccanicità del raccontare?
Perché non possiamo avere un periodo cubista od informale per i comics? Perché essi debbono sempre affabulare e/o intrattenere?

Del resto Dalrymple non si sottrae al narrare una storia. Solo che lo fa a modo suo, con la spregiudicatezza di chi sa di possedere il dono che gli può permettere di osare ciò che altri non possono nemmeno immaginare. Farel Dalrymple doma i suoi sogni con estrema naturalezza e semplicità; come semplici sono le sue trame strampalate, nelle quali, inevitabilmente, rimaniamo avvinghiati.

Ah, ancora una cosa.
Se un giorno questo giovane artista dovesse smettere di sognare (o smettesse di avere sogni così sconnessi) sarebbe comunque un uomo fortunato, un privilegiato, perché possiede un disegno che fa impallidire chiunque sappia riconoscere un tratto originale da una spudorata rimasticatura. Certo, Dalrymple ricorda molti artisti: ma che importa? Cio’ che ci rimane, e che ci teniamo stretti, guardando le sue tavole, sono i suoi segni sporchi ma precisi, la forza tagliente degli sguardi che disegna, la tavola assemblata con estremo dinamismo ed originalità. Non è un alieno, non è uscito dal nulla, ma ha solo imparato bene la lezione dei suoi maestri, quali essi siano.

P.S.
Se tutto quello che ho scritto non ha smosso il vostro fondo schiena dalla sedia sulla quale è posato e non vi siete alzati per andare in libreria a comprare questo libro, beh, affari vostri. Aggiungo solo che la casa editrice è legata alla Fazi editore, una di quelle che di solito pubblica libri seri, non quella robaccia dei comics. Che a qualcuno gli sia venuto in mente di inserire questo libro in una collana che di solito prevede libri di narrativa è un’altra buona notizia che sottolineo volentieri.

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