Jason, la vita non aspetta…

Jason, la vita non aspetta…

Da Jason, un doloroso ritratto di una vita senza scopi, distrutta da un evento funesto, e senza possibilità di riscatto. "Ehi, aspetta..." colpisce il lettore con i suoi tristi funny animals tanto vicini a noi.

Le vite sono costruite su coincidenze, su eventi che si susseguono trascinandosi un tassello dopo l’altro, come un gioco di domino, Hey aspettache possono cambiarne i binari in modi imprevedibili? O forse è superficiale pensare che siano determinati fatti ad avere più peso rispetto ad altri, mentre il nostro è invece un cammino già in rotta verso il successo o il fallimento fin dalla nascita? È un’esperienza intensa trovare un’opera che ci metta di fronte ai nostri più nudi e indifesi dubbi, che scavi dentro le nostre paure ed i nostri timori, in maniera tanto semplice e disarmante quanto in questa “Ehi, aspetta…” di Jason.

L’autore norvegese scrive e disegna un fumetto in cui il senso di disagio e di ineluttabile disgrazia aleggia fin dalle prime vignette, pur rappresentando, in queste, storie di innocenti e spensierate giornate di giochi d’infanzia. Contornati come sono da una griglia irregolare nera e spessa, quasi densa, che non lascia respiro tra una vignetta e l’altra, i personaggi, per niente comici anche se rappresentati come animali antropomorfi alla guida di alti trampoli, sembrano rassegnarsi senza spasmi di vitalità a muoversi dentro la loro gabbia rigida di sei vignette per pagina, ben consci di non poterne uscire.

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Il tratto di Jason è fatto di linee grosse, i paesaggi sono poveri ed a malapena presenti; tutto concilia con la sensazione di lento ma inarrestabile scorrere del tempo, con il senso di quella malinconica perdita che si concretizza a metà del racconto. Attraverso la sottrazione, con eleganza e padronanza del mezzo, è descritto tutto l’orrore di una giovane morte. Dopo questo, nell’attimo di un semplice starnuto, il giovane Jon perde la sua fanciullezza e la sua innocenza, ritrovandosi con una splendida iperbole già adulto, indirizzato verso altre strade rispetto ai suoi compagni.

Nella seconda parte, lasciata dietro di sé la propria infanzia, Jon si trascina pagina dopo pagina in un fitto campionario di sconfitte. Anzi: in un’unica, lunga, monotona sconfitta. Egli non è altro che una comparsa mediocre nel mondo, e noi osserviamo la sua solitudine, che né un libro né un programma televisivo possono nemmeno intaccare, seguiamo la sua frustrazione passiva per il lavoro, per le storie senza amore e senza sbocchi, assaporiamo assieme a lui la mancanza di sapore della sua vita, della sua condanna.

Giostrando abilmente con la linea temporale del racconto, mediante visioni di un futuro imminente immortalato in foto, o con flashback di una infanzia come sarebbe potuta essere, hey-wait1Jason narra con drammatica forza la discesa del protagonista verso il proprio annullamento, ancora più avvilente perché non traumatica, non scatenata da un oggettivo ostacolo, non più netta come l’evento che l’autore suggerisce averla iniziata, ma perché semplicemente banale. Jon passa giorno e notte ripetendo sempre gli stessi gesti, bruciando i minuti solo per lasciarseli alle spalle, attaccandosi con vigliacca determinazione ad una bottiglia che lo consumerà; una fine che suona quasi come un riscatto rispetto alla monotonia ed alla futilità della sua condizione umana.

Il vero colpo nello stomaco avviene quando, lentamente, comprendiamo quanto possa esser vicina e orribilmente possibile un’esistenza così; la storia di questo pover’uomo rende esplicito il confine sottile e labile tra una vita con un significato ed una vita inutile. Jon non è un personaggio che possiamo astrarre e porre nella nostra area di “sospensione dall’incredulità”, perché è fin troppo reale e realistico. Quanti come lui pensiamo di vedere ogni giorno? E quante volte ci ritroviamo a temere di essere, noi stessi, indirizzati verso un non futuro, verso l’anonimato di una vita senza stimoli? Come nella vita, in Ehi, aspetta… sappiamo fin troppo bene che non ci saranno possibilità di riscatto, che non ci saranno superpoteri o miracoli a salvarci dal grigio ed impietoso trascorrere degli anni.

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Dylan Horrocks, autore dello splendido Hicksville, dichiara in quarta di copertina:
“Attenti… pensateci due volte prima di leggere questo libro. È molto, molto bello, ma vi spezzerà letteralmente il cuore.” E l’autore neozelandese ha ben ragione di dire così.

Poetico e drammatico, malinconico e decadente, questo fumetto scardina senza nessun sensazionalismo il nostro ottimismo. Un’opera cattiva e indispensabile. Uno di quei dolori di cui abbiamo bisogno, per imparare a curarli.

Abbiamo parlato di:
Ehi, aspetta…
Jason
Traduzione di Omar Martini
Black Velvet, 2003 (esaurito)
68 pagine, brossurato, bianco e nero – 7,00€
ISBN: 88-87827-17-6

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