I protagonisti? Una famiglia come tante: mamma e papà e i due piccoli di casa, Pico e sua sorella Ana Ana. Dietro le quinte? Un’altra famiglia, con la mamma sceneggiatrice, Dominique Roques, e il figlio disegnatore, Alexis Dormal.
Dalla sua testa piena di capelli rossi, che già di per sé ne fanno un personaggio indimenticabile, Pico si guarda intorno – a casa, a scuola, al mare, dai nonni – e mentre scopre il mondo che lo circonda lo commenta con sagacia e con audacia. Nessun argomento lo lascia senza parole, ma anzi Pico cerca il confronto sui grandi temi della vita, come i suoi “predecessori”: Donzelli, infatti, che lo pubblica per l’Italia, lo descrive come “Graffiante come Mafalda, filosofico come i Peanuts, scanzonato come il Piccolo Nicolas”, ma la realtà è che si tratta di un bambino molto moderno, al tempo con i tempi, diretto e conciso. Tutto nuovo, insomma, percorre a piedi o in bici le sue tavole acquerellate e ci fa riflettere un bel po’.
In Francia siamo già al sesto volume, e la sorellina è protagonista di uno spin off dedicato ai lettori ancora più piccoli, sotto forma di libro illustrato. Per conoscerli meglio, ne abbiamo parlato con Alexis Dormal.
Pico si inserisce nel filone dei Peanuts, Mafalda, Le petit Nicolas: che cosa lo diversifica secondo te? Cosa ne fa un personaggio nuovo nel mondo della bd?
Noi non pensavamo che bisognasse creare un personaggio nuovo o diverso. Volevamo solamente e assolutamente essere sinceri. Credo che con l’essere sinceri si abbiano più possibilità di essere veritieri e vicini ai propri lettori.
Diversamente da altri personaggi del genere, la critica di Pico è a volte più rivolta alla famiglia che il mondo esterno. È quello che in fondo vive un bambino della sua età… anche se lui è pungente come un riccio…
I bambini fanno conoscenza con il mondo attraverso la loro famiglia prima e con la scuola poi. Due mondi che posso mettere in parallelo per imparare da uno e dall’altro. Ma anche per servirsi di uno contro l’altro. Pico – come tutti i bambini – è consegnato al mondo. Lo si fa scendere nell’arena. È normale che sappia difendersi. Senza malignità, ma servendosi delle sue riflessioni.
Come mai “Bogue” (riccio): è un bambino pungente?
Il riccio è il guscio della castagna, tutto pieno di spine (piquants, in francese, da “picots”). Pico è un bambino da prendere “con delle pinzette” perché “qui s’y frotte, s’y pique” (“chi gioca col fuoco, si brucia”, ndr). Lui riesce ad argomentare contro tutto quello che gli si vuole imporre e contro tutto quello che si opporrà al suo benessere. Ma Pico può anche essere dolce come la castagna stessa, quando esce dal guscio.
Ana è nata come spalla grafica e concettuale di Pico, o esiste veramente? Vi ispirate alla vostra famiglia?
Nella nostra famiglia ci siamo io e mio fratello. Mia madre (la sceneggiatrice, ndr) però ha voluto che Pico avesse invece una sorella: in questo modo poteva identificarsi lei con quella bambina. E le ha permesso di vivere un’infanzia meno timida di quella che è stata la sua.
I testi sono di tua madre. Dagli appunti alla sceneggiatura il passo è stato lungo? E la cosa più complicata?
Tutto è difficile quando si scrive. Ma far scattare l’idea è la cosa più difficile. Non è che si accenda come una lampada. Cercando l’idea, si potrebbe dire che la lampada si accende quando lei, solo lei, decide.
Le storie Ana Ana non sono sotto forma di fumetto, ma di racconto illustrato. Ovviamente per il target cui si riferisce. Quale forma senti più tua?
Mi piace lavorare sui libretti di Ana Ana tanto quanto sulle storie umoristiche di Pico. Sono le due tipologie di libro che si sono succedute dalla mia infanzia alla mia adolescenza. E si sono aggiunte l’una all’altra ora che sono adulto, fiancheggiando, nella mia biblioteca, i libri dei grandi pittori che ammiro.
Da cosa dipende il successo delle due serie (Pico e Ana Ana) secondo te ?
Pico è nato in una famiglia franco-belga. È educato da questa famiglia, istruito in una certa scuola, modellato da un certo ambiente. Come tutti, è unico. Come tutti, non importa in quale paese… Non è forse la diversità di ognuno a rendere universali?
Com’è lavorare in famiglia? Come procedete?
Lavorare insieme ci facilita le cose perché ci conosciamo bene e perché sappiamo dove vogliamo andare. Non servono lunghe spiegazioni. Mia madre scrive un dialogo, come per il teatro, senza praticamente alcuna indicazione scenica. Sono io a mettere mentalmente la storia in scena, leggendola lentamente. Poi disegno. A volte critico il lavoro di mia madre. E viceversa. Allora litighiamo! Ma finiamo sempre col riconoscere che la critica era fondata.
Se Pico vivesse in un altro paese si comporterebbe allo stesso modo o è una famiglia molto francese?
Pico resterà sempre lui, spontaneo. E non penso che si tratti di una famiglia molto francese. Io stesso ho del sangue belga, francese, ma anche italiano. E per dirla tutta, mi sento molto vicino all’Italia, mi spiace non averci vissuto. Spero di venirci presto d’altronde. I colori, il clima, la gastronomia… Amo l’Italia.
Com’è iniziata la tua esperienza? Qual è il tuo percorso artistico?
Io disegno da sempre. Ma a tredici anni, mi sono impossessato della cinepresa di mio padre e ho passato qualche anno a filmare tutto e tutti. Poi ho studiato per diventare regista cinematografico. Ma una volta ottenuto il diploma, ho ripreso la matita ho frequentato una scuola d’arte. Durante questo periodo, senza dirmelo, mia madre si serviva degli appunti che aveva da molto tempo… per scrivere le storie di Pico.
Graficamente il tratto è poetico e leggero. Una ventata di freschezza e buonumore. Si vorrebbe vivere dentro le tavole. Tu a chi ti ispiri?
Grazie per il complimento! Mi piacciono Sempé, Bill Watterson, Quentin Blake, per la loro capacità di dare vita ed espressioni agli elementi decorativi e ai personaggi con pochi tratti. Per l’acquarello, amo le stesse persone citate prima. Ma quello che davvero mi fa amare l’acquarello, sono i quaderni di schizzi di Eugène Delacroix, e gli acquerelli di Edward Hopper, Winslow Homer e John Singer Sargent.
Che cosa pensi del mondo del fumetto oggi? E del fumetto digitale? Uscirà un Pico elettronico?
Esiste già. Ma io amo l’oggetto libro, di carta. Amo il suo essere senza tempo. Allo stesso modo, lavoro su carta, con delle pinze, delle matite. Non uso il computer. Mi inserisco in una tradizione di disegno che amo, così come il “toccare” la carta.
Qual è la parte del tuo lavoro che ti piace di più?
Mi piace ogni tappa, perché cerco in ogni momento di essere spontaneo. È questa ricerca di spontaneità che mi piace. Tanto nella regia che nel disegno stesso o nel colore.
A cosa state lavorando adesso?
Continuiamo a lavorare su o piuttosto “con” Pico e Ana Ana. Sono il nostro ossigeno. Ma io ho anche altri progetti come disegnatore.
Complimenti per il vostro lavoro e grazie mille per aver risposto alle domande de Lo Spazio Bianco!
Intervista rilasciata via mail a ottobre 2014.
In Italia Donzelli editore ha pubblicato il primo volume di Pico Bogue, “Io e la vita”.
Collana Fabie e storie
anno 2013
formato pp.50, rilegato
prezzo €15,00
ISBN 9788860369918