Le riviste contenitore hanno segnato la storia del fumetto, attratto e formato generazioni di appassionati. Con il tempo, sono entrate in crisi ma forse la crisi è stata solo un periodo di adattamento. Out of the Box è una rivista nata con un obiettivo definito: pubblicare cinque storie, serializzandole in dieci episodi, in versione italiana e inglese (qui ne potete apprezzare una corposa preview). Un progetto promosso da Francesco “Francis Green“ Stefanacci che ha scelto la via del crowdfunding, con una campagna Kickstarter che ha raggiunto l’obiettivo prefissato per il finanziamento del primo volume in 48 ore.
Out of the Box nasce come rivista-contenitore: percepite un ritorno di fiamma del formato “rivista” sul mercato fumettistico? L’antologico si è andato affermando con sempre maggior diffusione, soprattutto nell’autoproduzione: avete sfruttato qualche esperienza particolare da cui trarre insegnamenti?
Sì, sembra che stia tornando un po’ d’amore per le riviste e le antologie. Alan Moore, che ha esordito sulla rivista 2000AD come tanti altri suoi colleghi, ha recentemente curato una rivista antologica di cinque storie, dieci autori e a capitoli, esattamente come la nostra (ma la nostra è a colori!). È ancora da vedere se diventerà un vero e proprio trend; forse per le case editrici non è un grande affare, ma sicuramente è stimolante per le autoproduzioni, e infatti se ne vedono tante, anche italiane, su Kickstarter e Indiegogo. Per noi Attaccapanni press è un punto di riferimento, ma abbiamo scoperto anche realtà più recenti e interessantissime, come i libri di Banda Bendata.
Mettete enfasi sulla scrittura delle storie, sulla loro sceneggiatura. Come sono state selezionate e sviluppate le storie? Quale è stato il lavoro editoriale, il livello e l’intensità della collaborazione con gli autori (in tempo di pandemia, fra l’altro)?
Avevo diverse storie che scalpitavano per essere raccontate. Ho sempre amato le antologie, sia nella letteratura classica che in quella a fumetti, e l’idea di farne una mi stimolava da parecchi anni. Tuttavia ho gusti particolari e sono molto pignolo sulla scrittura, quindi ho dovuto aspettare un bel po’ prima di trovare le persone giuste da contattare.
Midnight Roads di Matteo Parisi è stata la scintilla che mi ha convinto che “si poteva fare!”. Brian Freschi, alla mia domanda “cosa pensi della narrativa di genere?” ha risposto subito entusiasta “la adoro! Perché, hai un piano malvagio?” L’ultimo a unirsi è stato Giacomo Masi, autore di GG per Tatai Lab, che mi ha esaltato principalmente con il suo Dry Drowning, un videogioco di genere visual-novel a bivi.
La pandemia per noi non è stato un ostacolo aggiuntivo, dato che viviamo sparsi per tutta l’Italia. Se contiamo anche i disegnatori, copriamo Torino, Treviso, Bologna, Prato, Firenze, Rimini, Roma e Vasto! Lavorare da remoto per noi era una necessità di partenza, ma ho dato fin da subito una grande libertà a tutti, perché è il concetto alla base di Out Of The Box. Ho chiesto agli sceneggiatori di scrivere la storia più assurda che avessero in mente, e che nessun editore gli avrebbe mai pubblicato. Dopodiché mi sono solo occupato di mantenere dei punti di coerenza nel background condiviso (che vedremo però soprattutto nei prossimi numeri) e coordinare e supervisionare i lavori, che però sono andati avanti autonomamente con i team delle singole storie.
Perché vi siete concentrati su opere di genere?
La risposta secca è: perché le amiamo; e le amiamo perché hanno tutta una serie di meccanismi narrativi che permettono di spingere al limite l’intreccio e i personaggi. In questo modo abbiamo l’opportunità di raccontare temi e concetti che ci stanno particolarmente a cuore. L’abbiamo voluto realizzare a tutti i costi perché abbiamo qualcosa da dire: il contenuto è sempre stato il perno del nostro progetto.
Proponete cinque storie di ambientazione e stile diversi: come avete valutato il rischio che l’iniziativa sia percepita come un contenitore di materiale eterogeneo?
“Rischio” è la parola che caratterizza tutto il progetto. Via via che sviluppavo l’idea, mi rendevo conto di tutti gli elementi che avrebbero reso difficile spiegarla, promuoverla, produrla, stamparla, distribuirla, venderla. Sono stato chiaro fin dall’inizio con tutti: sarebbe stata una missione “o la va o la spacca”. Hanno tutti accettato comunque, e per fortuna è andata. La risposta del pubblico è stata ottima. Forse per una volta l’interesse dei contenuti ha avuto la meglio.
Che cosa vi ha convinto a intraprendere la strada del Crowdfunding? Quando avete iniziata a lavorare al progetto Kickstarter?
Non c’era altra via. Chi si sarebbe preso la briga di pubblicare una rivista antologica di 5 diverse storie a puntate, di 9 autori diversi, alcuni dei quali alla prima pubblicazione? Semmai, c’era da capire come avremmo potuto fare per riuscire nell’impresa. Per fortuna ho condotto una campagna crowdfunding di un gioco in scatola – Misantropia – che è andata piuttosto bene, nel 2015, quando ancora Kickstarter non c’era nemmeno, in Italia. E ho partecipato attivamente a una seconda a dicembre 2020, anche questa andata bene. Ho quindi sviluppato un minimo di know-how di come funziona un crowdfunding, ma sono serviti comunque più di due anni per riuscire a partire. Due anni in cui abbiamo scritto la scaletta completa di tutta l’opera, le sceneggiature dei primi capitoli, e realizzato 5 tavole per storia da usare come anteprima, oltre a impostare tutta la campagna Kickstarter e ovviamente lavorare sul marketing per promuoverla.
La campagna su Kickstarter, iniziata il 13 aprile, ha raggiunto l’obiettivo prefissato in due giorni: a parte i complimenti di rito, che riflessioni si possono fare su questo riscontro immediato di “funders” e quindi di pubblico interessato? Avevate in mente fin da subito un lettore di riferimento, un pubblico sul quale contare per un buon riscontro, una comunità di lettori con la quale avete costruito un rapporto?
Sì e no, diciamo. Per come funziona Kickstarter e il suo algoritmo, se non si riesce a raggiungere l’obiettivo entro le prime 48 ore (al massimo), è molto probabile che il progetto si affossi subito e non venga “fundato” mai.
La nostra strategia è stata tenere il goal al minimo possibile per coprire le spese, nella speranza appunto di riuscire a chiuderla subito e lavorare poi con calma sugli “stretch goal”. Ma non è comunque facile, perché non basta pubblicare una campagna su Kickstarter per raggiungere le persone. Funzionava forse agli albori del crowdfunding, ma oggi senza marketing, pubblicità anche aggressiva e soprattutto una comunità attiva di appassionati, è un’impresa quasi impossibile. Soprattutto nell’ultimo anno abbiamo lavorato proprio sulla comunità. Io ho creato una piccola etichetta – Space Otter Publishing – in cui raccogliere persone interessate a progetti folli e diversi. In realtà però, gli effetti di questo lavoro li vedremo nei prossimi progetti e nei prossimi numeri di Out of the box.
La rivista esce direttamente in italiano e in inglese: come vi siete mossi per promuoverla ai lettori anglofoni?
Nello stesso modo che abbiamo usato per quelli italiani: marketing, pubblicazione di contenuti nei gruppi Facebook internazionali, anteprima e campagna in doppia lingua.
Oggigiorno i confini fisici sono orpelli politici. Su internet puoi raggiungere potenzialmente chiunque. Recentemente una piccola comunità di Mongoli si è interessata alla storia di Giacomo e Marta (ambientata appunto ai tempi di Gengis Khan) e ci ha sommerso di “like” e commenti.
Questo non significa che sia comunque facile raggiungere un pubblico internazionale. Le statistiche della nostra campagna sono comunque a favore del pubblico italiano (ma sommando gli americani al resto del mondo, siamo quasi in pareggio).
La campagna riguarda la produzione del primo numero della rivista. Ne prevedete 10: proporrete anche i numeri successivi via KS? Avete considerato come valutare il rischio di interruzione della pubblicazione, ad esempio in base al risultato della campagna per il primo numero?
Penso si intuisca la risposta a questa domanda da quelle precedenti: a meno che non subentri un editore abbastanza folle da sobbarcarsi il progetto, il crowdfunding rimane la soluzione migliore per la natura di Out Of The Box. Anche nel caso dell’editore, perderemmo comunque il pubblico estero, a meno che non ci sia la possibilità di farne edizioni tradotte.
Quindi sì, continueremo con il KS anche per i numeri successivi, cercando di mantenere un ritmo coerente, anzi tentando di aumentarlo. Migliore il risultato a campagna chiusa, più facile sarà continuare i lavori senza interruzioni. La continuità tra i 10 numeri è stato un nostro cruccio, abbastanza irrisolvibile. Crediamo però che oggi il pubblico sia ben abituato a narrazione seriale – tra serie tv e opere come il Marvel Cinematic Universe – e abbiamo visto anche tanti fumetti che la tirano per le lunghe, andando addirittura in “hiatus” spesso a tempo indeterminato, come Berserk o Saga.
Ma soprattutto, abbiamo una fiducia incrollabile nelle storie che vogliamo raccontare.
Intervista realizzata fra il 20 e il 22 aprile 2021 via email.
Francis Green
Pratese del 1982, ha scritto per cinema, blog, testate giornalistiche online e un programma radiofonico. Ha pubblicato racconti per Delos e Bel Ami, e due autoproduzioni.
È l’autore dei fortunati giochi da tavolo Misantropia e Misantropia Express, ed è stato finalista con Giulia D’Urso al Lucca Project Contest 2015 proprio con il concept di Progetto Colibrì.
Ha messo insieme la squadra di Out of the box, e ha scritto Il vecchio e il tesoro dei tesori e Progetto Colibrì.