Quando avevo quindici anni e mi ero da poco appassionata di fumetti, obbligarono la mia classe a scegliere un paese del mondo e ad approfondire una tematica specifica dello stesso. Io scelsi il Giappone e decisi di parlare di manga e anime.
In breve tempo quello che doveva essere un semplice intervento con lo scopo di spiegare ai miei compagni che cos’erano i fumetti giapponesi, si trasformò in un’arringa contro la censura degli anime nel nostr paese. Esempio principale della mia filippica era lo shojo Mizuiro Jidai (in Italia Temi d’amore), cartone animato che avevo molto amato e che Mediaset aveva censurato pesantemente.
Alcuni passaggi fondamentali della serie, quelli in cui la protagonista, una timida adolescente, imparava a conoscere il proprio corpo, risultavano infatti completamente modificati o decontestualizzati all’occasione.
A quei tempi però non conoscevo i lavori di Go Nagai nè sapevo che proprio negli anni ’80 erano nati i primi grandi problemi tra l’animazione giapponese e l’opinione pubblica italiana. La censura che negli anni ha colpito anime come Lady Oscar, Candy Candy, I cavalieri dello zodiaco, fino al più recente Dragon Ball è figlia dei moti di quei primi genitori che, indignati, iniziarono a divulgare pesanti pregiudizi relativi la violenza dei prodotti del Sol Levante. Ritenendo i contenuti degli anime non adatti ad un pubblico giovane, sostenevano che i cartoni potessero influenzare i bambini inducendoli a compiere atti deprecabili e/o inconvulsi.
A far luce su quegli anni bui è Daniele Timpano che nel suo spettacolo, dal titolo Ecce Robot, in scena al Teatro della Cooperativa di Milano, porta il suo pubblico indietro di trentanni con lo scopo di raccontare il successo e il declino dei Super Robot di Go Nagai nel nostro paese, realizzando un complesso lavoro di rilettura della storia italiana moderna. A dominare il suo racconto passionale, mi verrebbe da dire quasi romantico, è proprio lo scontro generazionale che ha visto i piccoli fan amanti dei cartoni anteporsi a genitori premurosi e disinformati. Il dualismo tra le parti viene descritto dall’autore e attore in maniera sapiente, contestualizzando la protesta culturale delle famiglie nel tessuto sociale e storico degli anni di Piombo e rievocando nello stesso tempo quei sentimenti nostalgici spesso ravvisati nei quarantenni di oggi.
Dopo un incipit trionfale in cui Timpano ci narra dell’entusiasmo generato dall’invasione giapponese a suon di sigle dei cartoni animati e un breve elogio alle piccole reti private che per prime li programmarono, si dispiega la parte centrale dello spettacolo che si sofferma appunto sui pregiudizi generati dall’incapacità di concepire dei programmi televisivi così culturalmente differenti.
Nei primi anni ’80, dopo un duro intervento dell’On. Silverio Corvisieri sulle pagine de La Repubblica, in cui venivano criticati i cartoni made in japan, si sviluppa nell’italiano medio la paura del diverso che, di colpo, rende gli anime giapponesi pericolosi, violenti e sessisti.
La situazione diventa una “crociata” per alcuni genitori di Imola, che decidono di protestare in parlamento e precipita con l’intervento del giornalista Nantas Salvalaggio, che scrive il famoso pezzo intitolato Goldrake ammazza dal video e nessuno si prova a fermarlo, in cui correla la morte disgraziata di un bambino alla sua fascinazione per i Super Robot. I cartoni giapponesi perdono dignità agli occhi degli italiani, le programmazioni vengono interrotte e lo strappo diventa irrimedibile, tant’è che le reti Mediaset (appena nate) sono le uniche a programmare ancora anime e, per evitare polemiche, li censurano pesantemente.
Il controllo della libertà effettuato su questi prodotti televisivi nasce dunque proprio dalla diffidenza fomentata dalle vecchie generazioni che, denigrando e attaccando, hanno trasformato delle icone, dei miti, in sottoprodotti dai quali si può e ci si deve tutelare. Se una comunità di genitori può tuttora costringere un’emittente televisiva a eliminare dal palinsesto intere puntate di Dragon Ball Z perchè ritenute troppo violente, lo dobbiamo alla demitizzazione dei cartoni di Go Nagai a opera di menti puritane e ristrette che negarono fino all’ultimo la potenza positiva dell’animazione giapponese, arrivando a criticare persino Heidi.
Concludo con un pensiero positivo, esattamente come fa lo stesso Daniele Timpano nel suo spettacolo offrendoci una speciale interpretazione dell’ultima puntata di Mazinga Z, finale ancora inedito in Italia. E nel farlo mi permetto di citare Nicoletta Artrom, la donna che portò per la prima volta Goldrake sulle nostre reti nazionali.
In realtà i bambini tutti questi problemi non se li pongono. Loro accettano o rifiutano i programmi secondo i loro gusti, a volte dimostrandosi più adulti e più «ragionevoli» di coloro che vogliono o possono amministrare i loro spettacoli. […] Non c’è forse, in questo genere di concetti, una logica di comportarsi da tutori o da censori? Fiducia nei bambini, invece. Sono intelligenti!