Off Topic – 4Hoods e l’arte dell’immedesimazione
Comics Calling è un blog sul Fumetto mascherato da blog sui comics USA: si prende a prestito un qualche fumetto americano per poter parlare più o meno approfonditamente di meccaniche interne al linguaggio del medium. Stavolta però si va un po’ fuori tema perché il fumetto di cui si parla è italianissimo nonostante l’anglofonia del nome e l’Off-Topic di oggi (nonché primo di questo blog) è dovuto a una serie di trovate al suo interno del fumetto che mi sembra interessante andare a vedere.
4Hoods è parte di quel processo di rinnovamento editoriale in atto all’interno di Sergio Bonelli Editore volto alla ricerca di nuovi formati e, di conseguenza, nuovi lettori: nello specifico la serie ideata da Roberto Recchioni e realizzata da Federico Rossi Edrighi e Riccardo Torti, è indirizzata al pubblico giovanissimo.
E a leggere questo articolo direi che non sbagliano neanche un po’.
Scrivere un fumetto indirizzato a un pubblico pre-adolescenziale però è sempre una trappola insidiosa: a meno di non essere dei ragazzini infatti, si rischia di scrivere per il ragazzino che eravamo noi 20/30 anni fa oppure di scrivere per “i giovani d’oggi” blandendoli in maniera significativamente patetica. Un campo minato insomma.
In questi casi la scelta migliore è quella di proporre una storia che sia leggibile e godibile a più livelli: un buon intrattenimento, magari divertente e non eccessivamente cervellotico, ma che riservi dei contenuti apprezzabili da chi ha qualche anno in più. E questa è la strada percorsa dal team di autori bonelliani che imbastiscono una storia leggera, condita da dialoghi che oscillano tra il brillante e il sarcastico e colma di citazioni. Queste ultime invisibili al giovane d’oggi ma che strizzano l’occhio a chi è meno giovane (avevo 15 anni quando ho comprato il primo librogame di Tunnel&Troll).
Allo stesso modo anche i disegni offrono diversi livelli di profondità e realismo finalizzata a uno scopo ben preciso: il processo di identificazione. Un processo non sempre indispensabile quando ci si rivolge a un pubblico adulto, ma fondamentale per accalappiare quello più giovane.
La stragrande maggioranza delle tavole di 4Hoods si presenta più o meno così.
Personaggi definiti da pochissime forme e linee posti su sfondi riccamente dettagliati.
Come ci insegna Walt Disney la tecnica del cartoon, che è all’antitesi del fotorealismo, è quella che maggiormente permette il processo di identificazione del lettore con i personaggi: più il fumetto presenta dei dettagli realistici, che siano frutto del colore o di un maggior numero di linee, più sarà difficile per chi leggere vedere sé stesso nel personaggio che ha di fronte.
In questa maniera il fumetto riesce a ottenere quella identificazione con il proprio pubblico tipica del videogioco, dei romanzi e del Gioco di Ruolo (che mi pare essere l’ispirazione principale degli autori di 4Hoods), abbiamo quindi un cambio di prospettiva: il lettore non è più spettatore della storia ma ne è, almeno in parte, attore. A questo punto è fondamentale inserirlo all’interno di un mondo credibile, e possibilmente affascinante, che lui possa ammirare dall’interno.
Qui intervengono gli sfondi di un mondo estremamente oggettivato dal differente uso delle linee e del colore che richiamano le strategie narrative tipiche della ligne claire e di autori come Hergé ed Edgar P. Jacobs.
A differenza di questi esempi, e più similmente a quanto avviene nei fumetti giapponesi, anche gli avversari qui sono disegnati più dettagliatamente in modo da risultare distanti dal protagonista e quindi oggetti e non soggetti dell’azione. Vediamo i mostri ma non ci identifichiamo con loro.
Ci troviamo quindi in presenza di un duplice significato del segno: da una parte abbiamo delle linee che suscitano un coinvolgimento estremo nel proprio pubblico di riferimento e dall’altra dei segni che invece hanno lo lo scopo di allontanarsi dallo stesso: è quello che Scott McCloud in Capire il Fumetto chiama Effetto di Mascheratura.
Per farla breve questo stacco estremamente percepibile tra i due stili di disegno è quanto di più vicino all’immersione nella realtà virtuale che si possa fare nel fumetto.
Ma a questo punto subentra un altro espediente utilizzato in 4Hoods che sembrerebbe far saltare tutto il castello di carte costruito fino a questo momento: è quello che, in mancanza di terminologie create da studiosi ben più autorevoli del sottoscritto, chiameremo Effetto Spongebob.
In determinati momenti della storia infatti i nostri eroi non vengono più disegnati in maniera iconica, per mezzo di semplici cerchi e coni, non abbiamo più i nostri pupazzetti con cui giocare e identificarci, ma vengono rappresentati con uno stile carico di segni, colori e dettagli che, per un momento, ci allontanano da loro.
Similmente a quanto accade con gli sfondi e gli avversari anche qui i protagonisti sono altro rispetto a noi, qualcosa da guardare.
Torniamo a essere spettatori di imprese e non più i loro attori, e questo accade (almeno nel primo numero) quando i nostri protagonisti vengono rappresentati nelle loro vesti più eroiche: sia per ottenere un effetto ancor più umoristico – come nelle prime pagine in cui alla descrizione del loro valore di guerrieri fa da contraltare la goffissima e disastrosa entrata in scena – sia per raccontare un’azione davvero epica alla maniera delle scene filmate nei videogiochi. Come in questi ultimi infatti, questo è il momento in cui stacchiamo le mani dal controller, non ci identifichiamo più in loro ma ci godiamo l’azione più pura.
Inutile sottolineare quanto siano importanti in questa funzione, oltre che in quella più prettamente estetica, i colori di Annalisa Leoni e Gabriele Bagnoli.
C’è poi un ulteriore cambio di registro artistico in questo primo albo, nel flashback in cui i disegni di Rossi Edrighi raccontano, con uno stile che potremmo collocare a metà tra i due visti finora, la fiaba della Principessa Coraggio.
Anche qui lo scopo è quello di porre il lettore nella condizione di spettatore ma cambiando accento rispetto a quanto detto sopra: un po’ come le canzoni che, per funzionare, oltre alle strofe e ai ritornelli, hanno bisogno del bridge (o lo special che dir si voglia) questa variazione dà maggior ritmo e complessità alla struttura della storia.
Aggiungerei un dettaglio, quello ludico: personaggi dalle linee così basilari sono semplici da rifare, da sfruttare per scrivere le proprie storie (accompagnati dalle guide su come disegnarli), distinguendosi però dalle avventure “ufficiali” per la cura negli sfondi etc, ma comunque a portata di mano e di fumetto per tutti.
Un dettaglio che da una parte è extra-fumettistico, ma che comunque poi influenza anche l’approccio generale in un certo qual modo, aiutando a creare un contesto.
dici che c’è un palese invito alla fan-fiction?