Quattro amici…in pizzeria! Intervista a Rak, Scoppetta e Desiato

Quattro amici…in pizzeria! Intervista a Rak, Scoppetta e Desiato

Andrea Scoppetta e Alessandro Rak presentano il loro nuovo volume, Zero or One, edito da Lavieri. Li abbiamo incontrati in compagnia di un altro autore emergente come Paco Desiato e con loro abbiamo parlato delle difficolta' nel presente e delle prospettive per il futuro dei giovani che vogliono fare fumetto...

Il protagonista di Zero or OneIn occasione della presentazioni a Napoli del libro Zero or One edito da Lavieri, la redazione de Lo Spazio Bianco ha incontrato i due autori Andrea Scoppetta e Alessandro Rak. A questo incontro si è unito anche Paco Desiato, altro autore di punta della Lavieri con l’ottimo Omar Moss e quella che doveva essere un’intervista si è trasformata in un tavolo di discussione tra quattro persone che, prima di ogni cosa, amano il fumetto. Ed essendo a Napoli, nel rispetto dei luoghi comuni della città, dove cominciare a parlare se non davanti ad una bella pizza fumante?

Siamo qui seduti a tavola con Andrea Scoppetta, Alessandro Rak e Paco Sediato. Presentiamoci…
Andrea Scoppetta: Chi sono? Cosa Faccio e Dove Vado? (ride)

Basta per ora dirci chi sei!
AS: Di solito io presento Alessandro Rak e Rak presenta me. Comunque, insieme facciamo principalmente animazione e poi, per amore del fumetto, facciamo anche fumetti. Ma forse anche perché le due cose si assomigliano moltissimo, nella cura e nella regia…. Tutto nasce da una voglia di raccontare, indipendentemente dal mezzo con cui si racconta.

Ma come nasce questa collaborazione?
AS: Per sbaglio (ride)! In realtà, dopo il diploma eravamo entrambi a Roma, dove oltretutto frequentavamo gli stessi ambienti, ma non ci siamo mai incontrati. Arrivati a Napoli ci siamo trovati presso la Scuola Italiana di Comix insieme a Mario Punzo (presidente e docente della scuola – ndr) e lì è nato l’amore (ride)!
Alessandro Rak: (ride) Sarebbe meglio dire “la collaborazione”.
AS: Ma se la mia fidanzata è addirittura gelosa, che la lascio da sola per venire da te (ride)!

Quindi si è suggellato il marchio Rak&Scopp
AR: Sì, in quest’ambiente “frivolo”…

Insieme allora parlateci di Paco Desiato!
AR: Io non lo conosco!
AS: Io so solo alcune leggende metropolitane, di lui che al liceo era una sorta di Uomo Ragno, che si arrampicava su muri e armadietti…
Paco Desiato: Non vi conviene conoscermi, la vostra fedina è a rischio…
AR: Scherzi a parte, Paco è una persona che ha una grande voglia di raccontare e si vede in quello che fa.
PD: Ma non ha tanta voglia di applicarsi nel disegno (sorride).

Sembra invece che dietro le tue tavole ci sia tanto lavoro.
PD: Si, scherzi a parte, ultimamente ne sto avendo molta cura soprattutto per quanto riguarda la tecnica.

Parliamo di Zero or One che è il motivo per cui oggi ci troviamo qui.
AS: Zero or One nasce cinque anni fa per la casa editrice Montego, che adesso non esiste più. Rak aveva già realizzato tutta la storia e anche una quindicina di pagine di disegni. Poi si era pensato di farlo in animazione, avendo anche una struttura pensata con questa versatilità. L’obiettivo era riuscire a ottenere un buon prodotto senza uno sforzo immane di lavoro, visto la quantità di tempo enorme che richiede l’animazione (tant’é che molti progetti cominciati spesso non vedono la fine).
Al Napoli Comicon dell’anno scorso, andai a trovare presso lo stand dell’editore Le Nuvole il qui presente Paco Desiato, che aveva da poco pubblicato L’abito non fa il tossico, nella collana Black Smoking. Parlando con l’editore, che aveva già visionato altri nostri lavori, ci chiese se avevamo un progetto nel cassetto che ci avrebbe fatto piacere pubblicare…la risposta la intuite da soli.

Perché un’ambientazione fantascientifica? Per raccontare il presente o per gusto personale?
AS: Più che altro per raccontare l’ambiguità dell’uomo in una situazione come quella descritta, descrivere il rapporto uomo/macchina che c’é oggi ma ambientandolo non in tempi moderni bensì in un futuro plausibile.
AR: Doveva servire anche per raccontare una crisi, una crisi emblematica, andando anche oltre vicenda raccontata.
AS: Inoltre noi non abbiamo mai specificato che sia la Terra, si parla di un “mondo”plausibile.

La prima cosa che salta all’occhio di Zero or One è il particolare formato a striscia, molto simile, per intenderci, a quello di “Anteprima”. è stato voluto o una scelta editoriale obbligata?
AS: All’inizio è stata una scelta editoriale poiché Le Nuvole, con cui poi andava concretizzandosi il progetto, pubblicavano con questo formato, che non a caso è lo stesso di L’abito non fa il tossico. Infatti avrebbe fatto parte della stessa collana. A metà lavoro, mi arriva la telefonata dell’editore Lavieri, che mi informava che aveva acquisito i diritti di Zero or One e che avrei pubblicato con lui. La sua richiesta fu di pubblicare in formato verticale, ma visto che eravamo ormai in una fase già avanzata di lavorazione (mancavano 15 pagine) e che impaginandolo in orizzontale sarebbe venuto praticamente lungo la metà, a parte il cambio di etichetta tutto è rimasto invariato.

Zero or One è un progetto molto “anticonvenzionale”, almeno per quello che viene oggi pubblicato in Italia da autori nostrani. A causa di ciò avete avuto problemi a trovare qualcuno che vi pubblicasse?
AS: L’editore non è il problema, il problema è la “sopravvivenza”.
AR: Il problema con progetti di questo genere è proprio quello di arrivare ad un pareggio tra costi di spesa e venduto. Con Ark, che era ancora più fuori dai canoni classici, anche la pubblicazione è stata difficile, sia per il particolare formato quadrato sia per il contenuto che era una via di mezzo tra il racconto illustrato e il fumetto classico. La frase che ci veniva sempre ripetuta e che è diventata quasi il nostro slogan è…
AR e AS, in coro: “Non sappiamo dove collocarvi”!
AR: Se non è la casa editrice che in prima persona ti chiede di realizzare un prodotto, è difficile che pubblichino qualcosa.

Ma mentre Lavieri è un realtà giovane all’interno dell’editoria fumettistica italiana, Ark alla fine è stato pubblicato con Il Grifo, che ha nella sua scuderia anche autori di grosso calibro.
AR: Ma il tutto è partito da una loro richiesta di un certo tipo di prodotto, cosicché abbiamo potuto proporgli Ark, che è stato infine pubblicato. Ma se hai una tua storia che vuoi raccontare e poi dopo vuoi fare in modo che la gente la conosca, di fatto ti trovi contro gli editori, poiché a molti di loro non importa di supportare nuovi tipi di iniziative.
AS: Tutto nasce dalla paura dell’editore: investire una certa cifra in un progetto particolare può risultare rischioso, ma se nessuno lo fa…
AR: A favore degli editori posso dire che, visto la congiuntura economica sfavorevole del paese, hanno ragione a non volere investire. Ma chi sceglie di lavorare in questo settore, deve essere anche un appassionato che è disposto a rischiare qualcosa di proprio, avendo poi in caso di successo grande soddisfazione personale. Ci deve essere il piacere di rischiare, anche perché da un punto di visto imprenditoriale, non è conveniente investire in un prodotto quale il fumetto se non sei per prima un appassionato. Ci sono settori ben più prolifici, lasciamo il fumetto a coloro che hanno con questo media un legame più profondo.
AS: Lavieri da questo punto di vista è uno dei pochi che pur pubblicando libri, oltre a questi per passione pubblica anche fumetti.
PD: Lavieri è anche l’unico che prima di disegnare mi ha fatto firmare un contratto e mi ha dato anche un anticipo, cosa che di solito non capita. Volendo spezzare una lancia in favore degli editori, posso dire che loro sono sicuramente penalizzati da quello che è il sistema di vendite del fumetto in Italia, in primis la mancanza per le fumetterie della possibilità di poter fare la resa del non venduto. Questo costringe la fumetteria ad acquistare un numero esiguo di copie delle nuove proposte.

Infatti nel mercato americano gli introiti dell’industria dei comic sono notevolmente aumentati dopo che le distribuzioni hanno permesso anche alle fumetterie di fare le rese. Oltre alla vostra realtà conoscete bene quelle dei vostri colleghi. Come giudicate quindi il rapporto tra il mercato editoriale italiano e gli autori emergenti?
AR: Pessimo. In Italia un autore per cominciare a pubblicare deve contemporaneamente fare altro.
AS: Per pubblicare Zero or One abbiamo dovuto contemporaneamente impegnarci in altre attività quali brochure, flyer per locali, animazione…
AR: Chi vuole lavorare nel settore, deve essere capace di fare di tutto, per poi portare avanti progetti più personali.
AS: La fortuna di lavorare con Lavieri è stata che, non avendo scadenze in termini di consegna, abbiamo potuto lavorare liberamente come invece non accade per altri editori. Cosi che, ad esempio, se in una tavola la regia non funzionava potevo essere libero di rifarla prendendomi più tempo, rendendo il risultato finale quanto più vicino possibile a quello che volevo ottenere.
AR: Si deve avere il coraggio di seguire le proprie passioni e di conseguenza rischiare. Io volutamente mi tengo lontano dalle dinamiche delle case editrici, che spesso si rivelano “depressive”: confrontandoti con gli editori, con gli altri fumettisti, si finisce a fare discorsi retorici su “come dovrebbe essere”. La condizione ideale è che uno stia per conto proprio a coltivare i propri lavori e al momento giusto li proponga sul mercato, che per quanto chiuso magari riesce ad offriti una possibilità.

La copertina di Zero or OneConsiderate il disegno un mezzo espressivo talmente potente da non essere necessario l’uso delle parole, come accade in Zero or One?
AS: Innanzitutto consideriamo il ballon la cosa più brutta che ci possa essere in un fumetto (ride)! Scherzi a parte, il disegno è già talmente espressivo da farti capire ciò che sta succedendo.

Rak e Scoppetta si sono molto fatti apprezzare anche con Ark. Qual è il bilancio finale di quest’opera?
AR: Ark è stata forse la prima battaglia che siamo riusciti a portare a termine, anche se siamo partiti molto sfiduciati. Era un lavoro nato in maniera abbastanza istintiva, lo componemmo come albo e lo stampammo in poche copie, di tasca nostra, per far vedere un prodotto finito agli editori. Questa può essere una buona soluzione per far capire a un editore se un prodotto può piacere o meno al mercato senza che questo si debba impegnare in “sforzi d’immaginazione”. Albo alla mano, siamo andati da varie case editrici che, pur apprezzando molto il progetto, esprimevano forti perplessità sulla collocazione nel mercato di un prodotto così particolare.
AS: La famosa frase “Non sappiamo dove collocarvi”.
AR: Contemporaneamente il prodotto riscuoteva moltissimi consensi, finché la domanda nacque spontanea: “Se piace a tutti, perché nessuno lo dovrebbe comprare?”. Il problema forse stava solo nel pubblicizzare un prodotto diverso da ciò che solitamente si vedeva, ma in Italia questo è impossibile. Alla fine Il Grifo ha comprato i diritti e lo ha pubblicato, anche se la sua rete distributiva non è delle migliori. Se un prodotto che riscuote così tanti consensi seppure in un piccolo mercato, non varrebbe la pena proporlo ad un mercato più grande?

Come giudicate invece le esperienze su riviste come Schizzo? Realizzereste qualcosa per Skorpio, che raccoglie spesso opere brevi di giovani autori italiani?
AR: Se in un determinato momento tu hai una storia da raccontare che può rispondere alla richiesta della rivista, ben venga, ma è una questione di coincidenze. Questo, ad esempio, è quello che è successo per il concorso Max Wave.

Una Serialità? Se vi proponessero, per fare un esempio, di disegnare John Doe, su cui sono approdati molti giovani disegnatori?
AR: No, o al massimo disegneremmo un numero. La serialità è qualcosa che annoia a meno che non trovi un progetto che rappresenti la tua vita, che sia una trasfigurazione, per cui lo puoi portare avanti giorno dopo giorno infondendoci forti emozioni. Se devi lavorare su un personaggio non tuo, a cui non puoi affezionarti, nel quale non puoi riversare quello che sei tu come persona, a quel punto il disegno diventa solo un esercizio meccanico e non più un’opera artistica. Anche case editrici che producono fumetto seriale hanno una schiera di autori che si alternano e in teoria scrivono o disegnano quando hanno qualcosa da raccontare. Ma poi nella pratica è inevitabile che si finisca in un meccanismo per cui se anche non hai niente da raccontare devi comunque guadagnare, quindi scrivi o disegni lo stesso.

Tra l’altro, laddove si riesca anche a pubblicare le proprie opere, sono spesso così care da scoraggiare il lettore occasionale.
AS: Inevitabilmente il costo dipende dalla tiratura, che per questi prodotti è comunque bassa.
AR: Sono i lettori che dovrebbero guadagnare di più (ride)! è un problema nazionale, per cui nessuno ha tanti soldi: chi ha tre figli a casa e mille euro al mese, non ha molto da spendere.

Un opera dovrebbe avere commercialmente come obiettivo quella di trovare pubblico tra le persone che già abitualmente acquistano fumetto.
AS: Questo è un discorso che si può fare per Paco e per il suo Omar Moss, che avendo uno stile di disegno più vicino a quello che il lettore occasionale è abituato a vedere, ed essendo un seriale, può ammortizzare i costi, Ma per Zero or One e per Ark, per quanto possiamo litigare con gli editori sul prezzo finale di copertina, sappiamo che quello rimane, perché non hanno modo di abbattere i costi tramite una serialità e una grossa tiratura.

Siete stati ad esporre le vostre opere anche al Festival di Angouléme. Una realtà molto diversa dalla nostra?
AS: Anche ad Angouléme abbiamo avuto delle difficoltà a collocare i nostri lavori che francamente non mi aspettavo. Ma la realtà editoriale è completamente diversa, perché cambia proprio il modo di intendere il fumetto. A prescindere dalla qualità artistica, là c’é la cultura del fumetto: l’albo va in fumetteria, viene pubblicizzato come un film su cartelloni sei metri per tre. Mai visto in Italia qualcosa di simile.

Cosa giudicate degno di nota nel panorama italiano e internazionale di questo periodo?
AS: Come ti ho già detto sia io che Rak non seguiamo più molto il mercato. Tra gli autori italiani, chi continuo ad apprezzare è Corrado Mastantuono, anche se il suo ultimo lavoro uscito per Pavesio, Elias Il Maledetto , mi ha un po’ deluso (ma più per la storia che per la qualità artistica dell’albo). Continuo solo a seguire gli autori che hanno segnato la mia infanzia e la mia crescita artistica tra cui Bruce Timm, anche se i suoi lavori sono difficili da reperire in Italia.

Abbiamo visitato il vostro sito, www.rakescop.it. Ottima grafica, ben realizzato ma in alcuni punti si blocca e altre sezioni non sono ancora complete.
AS: Il sito nasce come forma di promozione dei nostri lavori, anche su richiesta di fan ed editori. Ma, come tutte le cose nate a tavolino, è poi finita miseramente perché siamo stati presi da altri progetti che avevamo più a cuore. C’é comunque la ferma intenzione di completarlo prima possibile.

Sul sito si trovano anche molte animazioni in flash, illustrazioni e altro. Ci volete parlare dei vostri lavori extra-fumetto, visto che purtroppo, col fumetto, non si “sopravvive”?
AS: La maggior parte del mio lavoro è incentrato sull’animazione, che va dall’introduzione in Flash per siti commerciali al video dei Bisca di due anni fa. Ritengo l’animazione molto più fruibile rispetto al fumetto, credenza forse derivata da quanto ero affascinato da piccolo dai cartoni animati (uno fra tutti, Goldrake). Vado sempre alla ricerca dell’immagine in movimento, diversa nella struttura ma non nella regia da come concepisco io il fumetto. Per me le tavole sono quello che la mia telecamera virtuale inquadra, anche per questo ho bisogno di molta libertà nelle sceneggiature. Il punto di forza del sodalizio con Rak è proprio che lui scrive il soggetto, ma io poi posso gestirmi la sceneggiatura come meglio credo. Stessa libertà l’ho avuta quando ho lavorato con Alessandro Bilotta, sempre disponibilissimo ad accogliere le mie proposte di modifiche alla sua sceneggiatura, laddove io credessi che una diversa impostazione della tavola rispetto a quella da lui proposta potesse funzionare meglio.

Qual è stato il lavoro che hai fatto insieme a Bilotta?
AS: Con Bilotta ho realizzato il prototipo di un fumetto, nel senso che fu un progetto presentato ad Angouléme e che, arrivato alla quinta tavola di prova, la casa editrice soppresse.

Perché? “Non sapevano dove collocarti”?
AS: (ride) In questo caso la collocazione c’era, sarebbero state 8 pagine all’interno di una rivista mensile, ma poi hanno detto che non si sarebbe più realizzato poiché non erano più interessati.

E il progetto con Tito Faraci?
AS: Il progetto con Tito Faraci nasce all’insaputa dello stesso Faraci. All’interno del concorso Max Wave c’erano varie sceneggiature on-line tra cui scegliere e io scelsi quella di Faraci, poiché ritenevo fosse quella che lasciasse più spazio all’immaginario del disegnatore.

Quali sono i vostri progetti per il futuro?
AS: In fase di contrattazione c’é un albo della serie Lupin III Millennium. Ci hanno contattato i Kappa Boys e l’albo sarà sceneggiato da Andrea Baricordi. Speriamo tutto fili liscio perché ci sono tutti i presupposti per realizzare un ottimo lavoro. Io e Rak lavoreremo in coppia anche stavolta, anche se questo non significa una divisione radicale del lavoro del tipo matite-chine, visto l’affinità tra i nostri stili di disegno ci permette di suddividerci il lavoro come meglio crediamo. Io posso continuare tranquillamente una tavola di Rak, così come lui può chinarne una mia. Anche la versatilità è un punto di forza del nostro lavoro di squadra. Inoltre abbiamo un progetto nel cassetto, Moudi, una miniserie che si dovrebbe articolare su una decina di numeri a colori. Ci piacerebbe trovare un editore che supportasse questa iniziativa…

Se lo potessi scegliere tu?
AS: Sceglierei Vittorio Pavesio Edizioni, per poter pubblicare un cartonato. è l’unico che si avvicina ad un concetto un po’ più artistico di fumetto.

Esprimi un desiderio per te e uno per il fumetto.
AS: Questa domanda fa molto “Marzullo” (ride). Per me spero che quello che faccio possa alleviare le pene fumettistiche dei lettori italiani, soprattutto quelli che comprano solo il materiale che esce in edicola e cercano qualcosa di nuovo.

Ritieni che John Doe prima, Detective Dante poi, abbiano invece rappresentato qualcosa di innovativo nel panorama del fumetto italiano?
AS: Assolutamente no. Sono sempre le stesse cose già viste, stesso discorso per prodotti quali Kylion e Monster Allergy. L’unica cosa che salvo è Sky Doll. Io spero per il fumetto in un mercato più aperto, nelle novità nella sperimentazione. Purtroppo non c’é più gente che sperimenta!

Grazie Mille per la lunga chiacchierata!
AS, AR e PD: Grazie a Voi.

Riferimenti
Lavieri Editore
Il sito di Andrea Scoppetta e Alessandro Rak

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