Vagabonda per vagare, la vela del vero marinaio

Le radici della narrativa sono le parole. Noi tutti sappiamo di quando i nostri antenati si raccontavano storie attorno al fuoco. Noi stessi a volte ci siamo raccontati storie attorno a un barilotto di birra, una bottiglia di vino o, nei casi più sfortunati, a calici di roba zuccherosa con dentro un ombrellino e una fetta di kiwi.

Quelle storie sono le madri di tutte le storie. Fondamentalmente palle. Menzogne senza malizia e addirittura senza fini ingannevoli, perché nessuno crede che le storie raccontate attorno a un fuoco, qualsiasi sia la gradazione alcoolica del fuoco, siano reali.

Le parole accomunano tutte le storie, persino quelle per immagini. Se immaginate il famoso uomo preistorico, l’antenato del moderno disegnatore di fumetti (antenato, poi), che tracciava sulle pareti di una caverna le sue immagini di caccia, potete quasi sentire le parole che accompagnavano quei disegni: “Qua è dove abbiamo circondato il mammuth”, “Qua è dove abbiamo inseguito il cervo”, “Qua è dove abbiamo danzato fino all’alba”.

Come i disegni dei bambini, che alle immagini accompagnano spesso una narrazione. Quando quella narrazione diventa interiore, quando diventa implicita, è il segno che siamo cresciuti.

Forse è per questo che alcuni fraintendono il fumetto, considerandolo qualcosa per “piccoli” o per “semplici”, come se narrare per immagini fosse lo stigma di una maturazione incompleta.

Un fraintendimento, appunto, dato che non è la presenza dei disegni a rendere alte o popolari le storie a fumetti. Penso a un’opera “alta” come l’Odissea per sole immagini di Fabio Visintin (è partita nonostante un crowdfunding imperfetto), versus prodotti commerciali “bassi” che descrivono a parole ciò che è già disegnato nelle vignette, dando per scontato che i propri lettori non sappiano leggere le immagini.

(“Superman spiccò un balzo altissimo”, si leggeva nelle didascalie dei vecchi fumetti supereroistici, e lì accanto era appunto disegnato Superman che spiccava un salto altissimo.)

D’altro canto è però vero che la maggior parte delle opere di narrativa non ha immagini. Conoscere la letteratura, essere colti, per lo più significa aver letto libri di solo testo, spesso averli studiati, quei libri.

Ma anche escludendo i saggi, la maggior parte della narrativa non è disegnata. I motivi sono storici, pratici, economici, statistici.

Quello che mi propongo con questo blog, l’ho già detto, è dare degli spunti che aiutino il fumetto a uscire dal ghetto in cui ancora alberga di sovente. Spunti per creare un esercito di lettori più consapevoli e dai gusti eclettici, in grado di abbattere le barriere e ampliare la visione.

Per fare questo credo che ognuno di noi debba partire da quelle che sono le sue passioni e seguirle. Nessuno vuole leggere dei libri che trova noiosi per sentirsi poi più edificato. È un atteggiamento da sfigati, tra l’altro.

No, noi vogliamo leggere roba interessante, roba figa, roba diversa ma sempre avvincente.

Dunque, qua, da questa mia postazione nelle retrovie, credo di poter dare qualche suggerimento in merito. Delineare qualche percorso per lettori appassionati.

Partirò da Hugo Pratt, un po’ perché è da poco finita una grande mostra su di lui al Macro, un po’ perché il suo Corto Maltese è un ottimo esempio di letteratura per immagini “alta”.

Corto Maltese, il marinaio giramondo che con il suo sguardo distaccato ci parla della vita, della morte e della libertà. Come a dire, argomentucci da niente. Corto Maltese, il cui nome nell’argot andaluso significa “svelto di mano”, dalla morale sbilenca e dal profilo indimenticabile, con il suo nemico-amico Rasputin e tutti gli altri personaggi fantastici che popolano il suo universo, un universo che assomiglia per lo più a una distesa salata senza confini.

Scendiamo un gradino della scala della cultura e potremmo incontrare il Capitano Alatriste, nato dalla penna di Arturo Pérez-Reverte, ex-soldato di professione nella Spagna del XVII Secolo, con quello sguardo glauco che sembra sempre scrutare l’orizzonte, che ora sbarca il lunario con incarichi poco ortodossi nei vicoli di una Madrid ammaliante e spietata.

Saliamo un gradino e troviamo Moby Dick e un’altra grande storia di mare e di libertà. O Conrad e il suo Cuore di Tenebra, e la libertà come folle vertigine. O Don Chisciotte della Mancia, e della follia come libertà.

Facciamo un passo di lato e potremmo imbatterci in Casanova di Fraction e Bà e Moon, la spia che vortica follemente tra le linee temporali di un futuro che è come un mare in tempesta. Oppure potremmo incontrare il Corsaro Nero di Salgari, che al mare ricorre per inseguire una vendetta che lo incatena a un destino di morte. O ancora, con uno scarto che disorienterà i vostri inseguitori, il Lucifer Box del Club Vesuvio, agente segreto al servizio per lo più di se stesso.

Ora, questo piccolo tour è solo un possibile inizio. Se non vi piace nemmeno uno dei libri che ho frettolosamente elencato dovreste senz’altro rivolgervi a un’altra agenzia di viaggi, o aspettare un itinerario più confacente alla vostra sensibilità.

Ma se avete amato uno di questi libri, prendete in considerazione l’idea di leggerne almeno un altro. Salite e scendete gradini, fate passi di lato, piroettate, se così vi va. Se volete leggere una storia di libertà, con un grande protagonista combattuto, ma mai melenso, che percorre il mondo con intenti nebulosi, la lancia in resta e lo scolapasta in testa… fate un tentativo.

(Oppure leggete H.P. e Giuseppe Bergman, che è un po’ un riassunto di tutto questo.)

Se va male potete sempre prendervela con me. Oppure potete suggerire un nuovo punto di partenza.