Una questione di soldi

Una questione di soldi

Un Jack Kirby a caso, tanto per scaldarci.

Ogni tanto il mondo del fumetto è percorso da un fremito di indignazione. Succede ogni volta in cui una casa editrice abbassa i compensi dei disegnatori e si scopre (quelle surprise!) che ci sono comunque dei professionisti disposti a lavorare a quel prezzo.

Qua bisogna aprire una parentesi.

Di solito i professionisti disposti a lavorare a quel prezzo si trovano, ma non disposti a lavorare bene. I professionisti sottopagati tirano via per far prima e la casa editrice scopre che ci sono comunque dei lettori disposti a comprare quella roba[1].

Fine della parentesi.

Ogni qualvolta questo accade, quasi immediatamente si ergono due barricate contrapposte. Da un lato c’è chi, calcolatrice alla mano, spiega quante ore di lavoro servono a un disegnatore per completare una tavola (per i non addetti ai lavori: pagina disegnata) e fa dei paragoni con le tariffe orarie delle altre professioni.

Dunque, facciamo anche noi quei due calcoli. Un disegnatore veloce disegna e inchiostra una tavola al giorno. Uno lento ne fa una ogni due o tre giorni. Ovviamente dipende anche dallo stile, dalla cura per i dettagli, dallo sfondo e dalla sceneggiatura, perché una cosa è disegnare una scena nel deserto, un’altra disegnare una scena in una via affollata. E altrettanto ovviamente ci sono delle eccezioni.

Un disegnatore bravissimo di cui non farò il nome, quando lavorava per una casa editrice “media” di cui non farò il nome, pagato 50 euro a tavola, riusciva a farne due al giorno. Belle.

Ma comunque, in media, se a un disegnatore serve un giorno per finire una tavola – diciamo otto ore, okay? – quella tavola non può essere pagata meno di 100 Euro (netti). E già così, forse gli conviene di più andare a fare le pulizie in una ditta seria. Sui 150 inizia a essere una cosa decente.

Intendiamoci, ci sono disegnatori che prendono quasi dieci volte tanto. Intendiamoci, sono pochissimi.

E qua mettiamo uno Steve Ditko a caso, per tenere desta l’attenzione.

La vita dello sceneggiatore, in media, è molto diversa. Se ha un buon carico di lavoro non ha bisogno della calcolatrice per sapere di essere a posto. Perché? Presso molte case editrici lo sceneggiatore prende tra un terzo e un mezzo rispetto al disegnatore. Ma anche quando è un quarto… uno sceneggiatore scrive 10, 20, a volte anche 30 pagine al giorno. Quelli più lenti ne scrivono 5.

Quelli che stanno sulla barricata del “pagare moneta, vedere cammello” vi diranno che un fumettista mai e poi mai dovrebbe scendere sotto questi compensi minimi. Che farlo significa svendere il proprio lavoro e non avere rispetto per se stessi. Che facendolo si rovina il mercato per tutti gli altri. E che se un editore non può pagare questo prezzo minimo può anche chiudere.

Sulla barricata opposta ci stanno in primis i piccoli editori. Che ti diranno un’altra sacrosanta verità: alcuni bellissimi libri vendono troppo poco per ripagare tutte le spese.

D’altronde, allarghiamo un attimo il campo. Un qualsiasi romanzo, in Italia, se vende 5000 copie è “andato bene”. Se ne vende tremila è andato decentemente.

(Con questo, ingenui amici, si intende che ha superato il punto di pareggio di un tot, e quel tot è quello che si è messo in tasca l’editore).

Questa estate ho autoprodotto un libro di racconti in tiratura limitata (per questo sono scomparsa). Ho avuto spese vive per circa 1600 euro, ne ho ripresi circa 3500… per certi editori questo sarebbe considerato un pieno successo.

Ma fermiamoci un attimo a considerare una cosa: ho scritto gratis, ho impaginato gratis, ho fatto gratis il lavoro di segreteria (e quel santo del mio compagno mi ha disegnato gratis la copertina). Se avessi dovuto auto-pagarmi un anticipo di, poniamo, 2000 euro (un anticipo basso per molti editori)? E 500 euro per l’impaginazione? E altri 500 per la copertina? E almeno 200 euro per il lavoro di segreteria? Immaginate se avessi dovuto pagarmi l’editor! E il correttore di bozze! E un magazzino per tenere i libri!

Sarebbe stato un immane disastro.

(E comunque devo ancora pagarci le tasse, LOL).

Quindi… mi sono potuta permettere di fare la ganza e stampare la tiratura super-mega-limitata di sole 221 copie come-l’indirizzo-di-Sherlock-Holmes solo… sottopagandomi in modo vergognoso!

(E facendo una seconda tiratura, okay.)

Ora, immaginate la vita di un editore che pubblica un graphic novel e sa, SA, che non supererà le 1000 copie vendute. Forse si fermerà a 500.

Non voglio farvi perdere tempo con tutti i numeri. Ci sono un sacco di articoli che ne parlano, se siete interessati li troverete facilmente. Ci basti sapere che alcune opere hanno un pubblico troppo piccolo per poter essere prodotte pagando delle tariffe “decenti” agli autori.

Non devono, quindi, vedere la luce?

Lascio questa domanda aperta, ma non diamo per scontato che tutto debba vedere la luce, per favore. Gli autori non hanno il diritto divino di essere pubblicati, i libri non devono per forza venire stampati, gli editori non sempre si meritano di sopravvivere.

Bene… fermiamoci un attimo e guardiamo le due barricate. I professionisti prezzolati e i sognatori sottopagati.

Ora immaginate di essere un giovane autore. Un esordiente.

Che cosa dovrebbe pensare un esordiente, magari appena uscito da una scuola di fumetto, magari dal tratto ancora un po’ incerto e che non ha mai disegnato 40, 80, 150 tavole di fila? Uno, in pratica, che non è un professionista?

Alcuni di questi ammirevoli giovanotti vanno da un editore e gridano: “pagare moneta, vedere cammello!”

L’editore gli risponde con una pernacchia in faccia. Se è un editore molto, molto distinto, gli risponde: torna quando avrai almeno una pubblicazione professionale all’attivo.

Perché, insomma, non bastano quattro paginette di prova a dirmi che sarai in grado di mantenere una certa qualità per 90 pagine, di consegnare in tempo, o anche solo di capire quel cavolo che c’è scritto in sceneggiatura.

Io, grosso editore in grado di pagarti il giusto, non lo so e non lo posso sapere, finché tu, giovane esordiente, un esordiente non lo sarai più.

Qua mi tocca fare un’altra parentesi. Un altro paragone, per cercare di abbracciare più punti di vista possibili.

Quando mi è stato pubblicato il primo romanzo, l’editore l’ha ricevuto tutto, è ovvio, non le prime quattro pagine. Quando ho pubblicato il primo fumetto, all’editore ho dato tutta la sceneggiatura. Con i disegni è diverso. Del disegnatore devi fidarti per forza, almeno un po’. E credetemi, alla maggior parte dei disegnatori non farei mai guidare la mia macchina, figuriamoci dargli dei soldi sulla fiducia, quindi mettetevi anche un secondo nei panni del grosso editore, okay?

Fine di quest’altra parentesi.

Facciamola breve. A un certo punto il disegnatore esordiente deve decidere se andare a lavorare per una ditta di pulizie un po’ seria o per un editore che lo pagherà una cifra in-decente.

Dovrà per forza scendere da una delle barricate su cui siete saliti voi, cari professionisti del settore, e trovare una mediazione.

Ma quale dovrebbe essere?

Ecco, di una cosa sono piuttosto sicura: un editore che accetta qualsiasi porcheria perché tanto paga poco e i lettori comprano lo stesso, a un giovane disegnatore è utile come a una giovane guida alpina servirebbe accompagnare una gita di ottuagenari sul K2. Se ne esce vivo, non avrà comunque imparato un cazzo del normale lavoro di un disegnatore.

Avrà imparato solo a rifare i suoi soliti errori di prospettiva, di anatomia o di layout. Anzi, avrà imparato che vanno bene, chi se ne frega? E avrà imparato a lavorare tanto, lavorare male, se ha un dubbio attaccarsi al tram, a darsi una mossa e – se non gli sta bene – a scansarsi, ché dietro c’è la fila e gli altri giovani disegnatori spingono.

Paradossalmente, per il giovane disegnatore è meglio trovare un editore che lo paga poco o nulla e gli trita anche i maroni. Con un editor professionista che gli fa correggere tutti gli errori. Una, due, tre volte. Dove nessuno gli corre dietro, ma dove le deadline si rispettano. Dove può lavorare su una sceneggiatura di qualità e non su una porcheria. Anche perché poi, di porcherie, gliene capiteranno tante.

E se il giovane disegnatore è un autore completo, o ha un amico giovane sceneggiatore, o se in qualche modo i due si incontrano e scoprono di essere fatti l’uno per l’altro… bene, possono andare da un editore piccolo, che li pagherà in modo indecente e gli insegnerà un po’ di cose. Se non gli insegna niente, se non dà loro qualcosa che li faccia crescere come professionisti… non ne vale la pena, sul serio.

E ora torniamo su quelle due barricate.

Amici autori… guardiamoci un attimo in faccia. Che cosa facciamo, noi, gli intermediatori finanziari? Molti di noi hanno le rate del mutuo da pagare, le bollette, l’assicurazione della macchina e un sacco di tasse, ma comunque non siamo intermediatori finanziari.

(Sai come sarebbe contenta ora la nostra mamma, se lo fossimo?)

Quello che facciamo lo facciamo perché ci serve, perché abbiamo bisogno di esprimere certe cose, di raccontare, di incantare, di filare una tela in cui qualcun altro resterà intrappolato. Abbiamo i nostri gusti, ognuno di noi. Ognuno di noi sa, nel profondo sa, che ci sono delle cose che farebbe anche gratis. Per esplorare strade nuove, per il gusto di farlo, per l’avventura!

Per alcuni autori lavorare con piccole case editrici che pagano in modo indecente è il prezzo della libertà.

Per sviluppare e vedere pubblicati libri di nicchia, che – per la tematica trattata o per il tipo di disegni – si configurano come alternativi, indipendenti, poco commerciali. E qua vorrei fare un appunto agli oltranzisti del “pagare moneta”: non-commerciale non significa brutto. Che qualcosa non sia fatto per il grande pubblico non equivale automaticamente a un prodotto di scarsa qualità (ma neppure automaticamente il contrario, diciamolo).

Io sono ligure, e comunque ho la fama di essere un po’ attaccata ai soldi. Amici anche cari, nel corso degli anni, non hanno osato chiedermi di lavorare per poche palanche o di lavorare gratis a un progetto, perché avevano paura di venire insolentiti. Cosa che, in alcuni momenti, sarebbe potuta succedere, non dico di no.

Di norma non lavoro gratis. Non potrei permettermelo e, cosa più importante, non ne avrei il tempo.

Ma altri miei amici più avventurosi sanno che se mi chiedono qualche pagina per sé o se mi chiedono di lavorare gratis a un progetto di dimensioni umane (piccolo, quindi), e se il progetto mi piace, lo farò con vero piacere. E mettendoci tutta la professionalità di cui sono capace.

Ho scritto racconti gratis per delle buone cause, ho sceneggiato storie gratis per dei progetti interessanti… farò ancora entrambe le cose.

Come me, se ci fate caso, anche molti professionisti immensi, al cui confronto impallidiamo tutti. Credo che sia umano. Non siamo intermediatori finanziari. La calcolatrice a volte la posiamo.

E i piccoli editori che pagano cifre indecenti… non tutti meritano di sopravvivere, questo è vero. Ma molti svolgono un lavoro inestimabile – un lavoro che le grandi case editrici non fanno. Sviluppano professionalità. Creano nuovi autori. E, specialmente, pubblicano piccole storie bellissime che forse interessano solo a mille o persino a cinquecento persone, ma senza le quali il mondo sarebbe un po’ più povero.

[1] Questi editori, per quanto mi riguarda, potrebbero anche riconvertirsi in ditte di pulizie. Imparerebbero che non tutti i clienti sono disposti a pagare per trovarsi le scale sporche.