I capelli di Nathan Never
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I capelli di Nathan Never

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Nathan Never visto da Nicola Mari (numero 18)

Uff, gli anniversari. Ti fanno sentire vecchio e sono così pieni di retorica, no? Quest’anno abbiamo già avuto l’anniversario di Pazienza che, vi giuro, mi ha fatto venire voglia di incendiare il mio Pentothal.

(In realtà è del mio compagno. L’avessi incendiato poi lui avrebbe incendiato me.)

Ora c’è quest’altro anniversario, 25 anni di Nathan Never, e la prima cosa che ho pensato è stata: no, devo andare in vacanza.

Poi ho letto il bel pezzo di Marco D’Angelo, un pezzo che ha avuto due effetti: mi ha fatto venire voglia di andare in edicola e mi ha fatto venire voglia di scrivere un pensierino su Nathan Never tutto mio. Qua, dalle retrovie.

Dovete sapere che Nathan Never è stato il primo fumetto “adulto” che io abbia mai letto. Da bambina leggevo Topolino, ed essendo bambina ne vedevo solo la parte bambina – tautologico, lo so. Questo era per dire che Topolino tante volte è un fumetto molto adulto, ma ha il pregio che se sei un bambino non te ne accorgi. Da pre-adolescente, diciamo alle medie, leggevo Dylan Dog. Dylan Dog all’epoca era un fumetto molto pre-adolescenziale, pieno di tematiche tipo La Morte, L’Amore e Oddio Sono Diverso. Che andava tutto benissimo finché sono stata alle medie, ma poi ho iniziato a stancarmi.

(Occhio, questo è il punto in cui i fan di Dylan Dog mi spellano viva, anche se sono passati più di vent’anni anni, la serie è cambiata mille volte e in fondo chi se ne frega. Va be’.)

Dicevo, dopo ho iniziato a leggere Nathan Never, segno che comunque il marketing Bonelli un po’ elementare dell’epoca funzionava.

Ho letto Nathan Never per un numero sorprendente di anni. Non saprei nemmeno dire per quanto tempo. Ho letto pure lo spin-off con Legs Weaver, per farvi capire.

Credo di aver iniziato a leggerlo proprio nel momento giusto, per inciso. A volte è anche questione di caso. Ho iniziato a leggerlo dalle parti di “Vampyrus”, che era esattamente quello di cui avevo bisogno per essere conquistata.

(Qua serve un’altra parentesi. Sto scrivendo questo pezzo senza Wikipedia. Senza internet. Credo di non averne bisogno – e credo che voglia dire qualcosa – ma se faccio un errore abbiate pietà.)

Nathan Never aveva qualcosa che mi teneva legata, il che per me è un po’ strano. Mi fidelizzo facilmente, ma tradisco con altrettanta facilità. In questo momento non seguo alcuna serie a fumetti, mentre purtroppo ho il problema che continuo a comprarmi tutti i libri con Pendergast.

Che cosa mi teneva legata, quindi?

Be’, la fantascienza era una. Sono sempre stata un’amante del genere, in particolare di quelle storie con complessi risvolti sociali, politici, umani.

Nathan Never era un grande contenitore di fantascienze, lungo tutto un arco che per me aveva moltissimo senso: da Asimov a Gibson, passando da Bradbury e Dick.

Come quelle fantascienze lì, Nathan Never era “adulto”. Cioè, c’erano le navicelle spaziali, ma con moderazione. C’erano anche le periferie-ghetto, i mutanti-extracomunitari, la criminalità, la politica miope o illuminata (poca), le megalopoli e le scorie radioattive nel deserto. Che non creavano supereroi, ma cancro.

C’era un capo “marcio”. E scusate, non è poco. Voi immaginate se venisse fuori che l’ispettore Gordon ha preso una mazzetta. Il capo di Nathan Never le mazzette le prendeva di sicuro, ma nonostante questo aveva anche degli aspetti positivi.

Intendiamoci, c’erano tematiche tipo La Morte, L’Amore e Oddio Che Mondo Di Merda.

Mi stavano benissimo.

Nathan Never più che un eroe era un professionista. Cioè, un professionista che in fondo era anche un eroe, però della cosa giustamente si vergognava un po’. Uno con una bella depressione e una vita personale incasinata in modo brutto, per niente stiloso. Uno a cui avevano ammazzato la moglie e rapito la figlia, sì, tutto molto tragico, solo che in quel momento lui era a sbattersi l’amante.

Poi torna a casa e, ops, la moglie è stata massacrata da uno a cui lui dava la caccia, tutto da copione. E i capelli gli diventano bianchi di colpo.

No, un attimo.

I capelli gli diventano tutti bianchi, ma solo la parte alta. La parte bassa resta nera, come se il suo shock avesse anche un certo occhio da hair-stylist.

(All’epoca i miei capelli erano in continuo mutamento: rossi, viola, verdi, blu e il mio amato platino. Creste, spikes, strane acconciature. Ovviamente sarei stata benissimo con i capelli mezzi bianchi e mezzi neri, ma per qualche motivo non l’ho mai fatto.)

Qualche mese fa, traducendo l’introduzione di Peter Milligan alla più recente edizione di Shade The Changing Man, venivo a conoscenza di un’importate verità:

“Chiunque abbia seguito attentamente Shade negli ultimi cinquanta episodi, o anche chi sia saltato allegramente a bordo a metà strada, avrà ormai capito la verità: che il vero tema di questo libro non è la follia, né l’amore, né l’odio, né la perdita… anche se tutte queste cose hanno la loro importanza. Il vero tema di Shade, l’uomo cangiante sono… i capelli.”

Ecco, legittimata da Milligan, a venticinque anni di distanza, mi permetto di intervenire sul mistero dei capelli di Nathan Never, un tema a cui non è stato dato lo spazio dovuto. Almeno, a mio avviso.

(E poi, dato che a un certo punto ho tradito anche Nathan Never, è possibile che ci sia stata una run di venti numeri interamente dedicata ai capelli del protagonista. In questo caso mi scuso per le basse insinuazioni.)

Insomma, la domanda che noi tutti ci poniamo da venticinque anni è: ma davvero a uno possono diventare bianchi i capelli da un minuto all’altro?

Dopo esaustive ricerche, la risposta è: nì.

Se i capelli gli si fossero imbiancati nell’arco di qualche settimana la risposta sarebbe stata un deciso sì, ma la transizione nel suo caso è troppo precipitosa e la scienza ha dei dubbi.

E la natura bicolor della sua chioma, chiederete voi, quella è credibile?

La risposta è di nuovo nì. 

Se fossero state delle ciocche bianche a casaccio già sarebbe stato più plausibile, ma una divisione così netta è improbabile.

In poche parole, i capelli di Nathan Never non sono possibili e io anche oggi ho fatto il mio dovere di cinica smitizzatrice.

Ma, seriamente, che cosa sarebbe la vita senza un tocco di teatro?

Nathan Never è un personaggio la cui influenza probabilmente non ho mai riconosciuto abbastanza. Ogni volta in cui qualcuno dice che il commissario Sensi (il mio personaggio, ma continuate pure a far finta di averlo sempre saputo) gli ricorda Dylan Dog il mio ditino scatta oltremanica e dico qualcosa come: “Ehm, hai mica mai letto Hellblazer?”.

Ma in realtà, ripensandoci, dovrei forse rispondere: “Buona intuizione, ma testata sbagliata”.

Perché Nathan Never mi ha influenzato sotto almeno tre aspetti:

La poetica. Quello sguardo oscuro, attratto dallo sporco, dal male, dalle cose nascoste, dal senso di colpa. Dal loro fascino, oltre che dalla loro realtà. C’è qualcosa in bilico tra Leonard Cohen e Jean Genet in certi episodi. Come se tutta la luce della ragione rendesse solo più bui gli angoli della follia.

La psicologia dei personaggi. Ovvero la loro umanità non scontata e il loro dualismo non-esibito. Per quanti traumi Medda, Serra e Vigna scarichino sulle spalle dei loro protagonisti questi non diventano mai delle maschere di dolore o di qualsiasi altro sentimento.

Infine, le contaminazioni. La fantascienza è contaminazione per antonomasia (in fondo il termine descrive solo l’universo narrativo, mai il genere), ma in Nathan Never gli spunti sono svariati e spaziano dai piani alti a quelli bassi della letteratura.

Ritornando a “Vampyrus”, ricordo che nell’editoriale di quel numero l’autore (Medda) diceva di non aver riletto Dracula prima di scrivere la storia. Bene, io non ho riletto “Vampyrus” prima di scrivere questo pezzo. Ricordo che all’epoca avevo letto Dracula da pochi anni ed ero rimasta stupita da quanto la storia di “Vampyrus” fosse fedele nell’essenza al romanzo di Stoker, dell’abilità con cui giocava con l’originale per creare qualcosa di nuovo e di come la fantascienza fosse, chissà come, perfetta per un horror di quel tipo. E, ehi, mi ricordo i disegni di Mari, che affogavano nel nero tutti quei magnifici fremiti di thanatos.

Ora sono passati venticinque anni (che cazzo, però).

Dicevo, ora sono passati venticinque anni e forse non ricordo bene. Forse se rileggessi ora le storie di allora scoprirei che gli inspiegabili capelli bianchi di Nathan Never non erano l’unica magagna.

Ma sapete una cosa? Io mica le rileggo, quelle storie. Sono ormai parte di me e sono ingredienti del grande calderone (maleodorante) a cui attingo quando scrivo le mie cose, quando immagino e quando sogno. Non ho bisogno di rileggerle, così come Medda non aveva bisogno di rileggere Dracula per scrivere “Vampyrus”.

E c’è un’altra cosa, lo dicevo all’inizio. Io questa nuova run me la sparo. Cioè, scusate il lessico giovanilistico, io le storie del venticinquennale voglio leggerle.

Per questo sono andata in edicola. Per questo mi lascerò di nuovo fidelizzare per un po’. Già sapendo che poi tradirò di nuovo, perché è inevitabile.

Come diceva Genet: “La trahison est une aventure spirituelle”. È dolce, tradire.

9 thoughts on “I capelli di Nathan Never

  1. Bell’articolo, di cui condivido un pò tutto, compreso il pezzettino su Dylan Dog. Conosco tanti fanatici del vecchio Dylan, e quasi tutti sostengono che è finito con il numero 100 (se non finito, cmq esaurito, salvo qualche numero qua e là), e parecchi l’hanno abbandonato attorno a quei numeri. Considera che la mia compagna non ama nè la fantascienza, nè il fantasy, e non conosceva i fumetti, mentre ora mi strappa quasi dalle mani il Nathan appena lo porto a casa, e così anche Dragonero, che per molti aspetti può rappresentare nel fantasy quello che Nathan è nella fantascienza. Devo dire tra l’altro che tra alti e medi (non bassi, non ce la faccio proprio), negli ultimi tempi NN ha recuperato quell’introspezione psicologica e quel fascino dei vecchi tempi (opinione mia personalissima, ma condivisa da qualche amico fanatico più che di NN, di fumetti in generale, e che proprio con gli ultimi ha cominciato a riacquistarli). Sui capelli bianchi, che dire, nì 😀 Alla fine è un fumetto, e un pò di fantasia ci sta 😉 . Per quanto riguarda gli eventi che l’hanno causato, mi sto leggendo la mini serie di Bepi Vigna, e ci sta mettendo un pò di mistero rispetto a quello che conoscevamo noi. Tra l’altro bellissima la figura di Reiser, che è ambiguo più che mai!!

  2. Anche io ho letto Never dal primo numero e non ho mai smesso… ho perso due numeri dell’ultimo anno convinto di mandarlo a cagare… e poi sono corso in edicola a recuperare il recuperabile. Ho diversi numeri che aspettano di essere letti. Ho iniziato “il nuovo inizio” delle origini, con i disegni magici di De Angelis, che io adoravo anche quando disegnava le cover della serie. Che dire… una bella emozione. Leggendo quello che hai scritto mi hai acceso molte lampadine e fatto capire cose che avevo rimosso senza volerlo. Io amo di più il NN meno spaziale. Adoro il suo lato oscuro, noir… quando sprofonda negli abissi della città e lotta con il male più infido. Mi piace il suo essere musone e anche l’ambiguità di molti personaggi. Ho letto anche Legs, poi, odiandola per la sua deriva grafica – almeno per me – , ho regalato la collezione a un’amica.

    1. Neppure a me piacque il segno “giovane” (per non dire un po’ mangoso) di Legs, né il tono comedy. C’erano esigenze diverse e ha almeno avuto il pregio di essere la prima serie italiana con protagonista una persona gay. Almeno, credo sia stata la prima.

  3. Ci sono almeno due casi clinici che dimostrano scientificamente la possibilità di un incanutimento improvviso: la protagonista di “Poltergeist” e Ash di “Evil Dead 2”. Ognuno secondo i gusti del proprio hair terrorist di fiducia.

  4. Non so se faccio bene a spagare il marchingegno – come direbbe Aldo Maccione – ma l’esca del mio amico ed ex allievo Pete Milligan – ricordo ancora quando lessi il suo commento sulla chioma del “suo ” Rac Shade in un albetto Vertigo – è tale che trascende ogni mio controllo – come direbbe il Valmont di Laclos e quindi – okkio allo spoiler – rivelo al mondo ignaro che Nat Never ha la coccia lustra come Yellow Kid e porta una parrucca bicolore vagamente andywarholica. La Banda dei Sardi è composta da sagomacce , a dispetto del fatto che il loro figlio + famoso sia Musone Never. Il personaggio doveva chiamarsi Nathan Nemo e la leggenda vuole che si sia optato per Never perchè Nemo era nome collegato a precedente e sfigata impresa SBEllica. In realtà Nemo era un inside joke che si riferiva al piccolo sognatore a zonzo x Slumberland poco dopo il monello dalla coccia nuda di Outcault. Una burla lunga 25 anni che avrebbe dovuto terminare con ll numero trecento, ma pare che finirà con un numero speciale in uscita alla fine dell’anno in cui Nat incontrerà altri personaggi della SBE che hanno la zucca esposta come Bloch e quel pulotto di Julia che sembra Malkovich ai tempi in cui era Valmont.
    La mia talpa nel mondo della Nona Arte mi dice che anche il simpatico Ford della premiata ditta Raule/Rossi tornerà in una versione rivoluzionaria in cui sarà il suo riportino a suicidarsi. Vedremo.

  5. Sono commosso e posso solo dire che mi sei mancata anche tu, ma sono stato lontano e non posso dire , con il Bob De Niro di Sergio Leone, che sono andato a letto presto tutte le sere perchè in realtà ho lavorato ben oltre le ore dolci del crepuscolo al fumetto nome di lavorazione Opel Crowbond che, in sintesi, è la storia di un ex sindacalista agnostico che ha sorpreso un suo omologo e mentore nell’atto di fare accordi sottobanco con la controparte per cui reagisce, dopo una notte da Innominato , con il vagabondaggio da hobo a la Jim Thompson ( la vita dello scrittore + delle opere ndr ). Ne esce come predicatore – nasconde il suo agnosticismo dietro un talento istrionico – riciclando il concetto della famosa scommessa di Pascal. Paradossalmente, mentre Opel scivola verso un irriducibile ateismo, spinge le persone che incontra – un bestiario umano del peggior Barnum filtrato dalla sensibilità di un Lansdale o del suo discepolo Ennis – a volgere il volto screziato e dalle rughe + feroci sugli zigomi, come direbbero Dalla e Morandi, verso la luce che mai si spegne. L’ho disegnato con un tratto che omaggia il mio amico ed ex allievo Teddy Kristiansen. Non so se lo sai, ma altri cartoonists italiani sono fans del tratto spigoloso e mistico del Kristian. Chedi in giro. Penso di proporre il reverendo Crowbond a qualche editore indie nostrano. I tempi sono maturi. Forse lo pubblicherebbe persino Il Giornalino. Magari quando Opel si sarà creato il suo pubblico, possiamo discutere di un team up con il vostro Fred Astaire biondo e puntuto. La mia Gola Profonda in the Sky mi ha detto che Ford potrebbe essere il prossimo progetto di serial dopo quello con Diabolik. Ti so esterofila ed immagino che premerai x avere un tipo Hank Azaria o Adrian Brody, ma mi permetto di suggerirti un nostrano Dan Luttazzi. Ciao ciao.

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