Ottant’anni, ma non li dimostra. Capitan America festeggia quest’anno ufficialmente i suoi primi ottant’anni di vita editoriale. Non facile scegliere 11 storie, su un arco narrativo lunghissimo, arrivato negli States alla nona serie, più innumerevoli comparse su altre testate, e una discreta produzione televisiva e cinematografica. Non facile anche perché il Capitano per antonomasia, prototipo dell’eroe nazionalista, oltre a indossare la bandiera statunitense e a fregiarsi del suo nome, ne incarna i valori e la “mission”. Sfida complessa, a cui gli sceneggiatori hanno dato risposte assai diverse nel corso degli anni, sia in funzione della propria sensibilità che del momento storico, per cui – non ce ne vogliano i romanisti – non c’è solo “un” Capitano, ma ce ne sono diversi, anche in contrasto tra loro. Proviamoci comunque, in una rassegna che sarà giocoforza parziale e soggettiva.
Captain America Vol. 1 #1, marzo 1940
Imprescindibile l’incipit di Joe Simon e Jack Kirby, datato 1 marzo 1941 ma pubblicato in realtà dalla Timely Comics (antesignana della Marvel) il 20 dicembre 1940. Il sonoro sganassone che Cap assesta a Adolf Hitler è segno della vocazione interventista e schierata del nuovo eroe, in netta controtendenza rispetto al neutralismo professato dai supereroi DC Superman e Batman. All’epoca gli USA erano ancora neutrali, in linea con i sentimenti isolazionisti di una larga parte della popolazione, ma Simon e Kirby non ci stanno e anticipano di quasi un anno l’inizio del conflitto tra la Germania nazista e gli USA. Di fatto nelle storie i nazisti vengono presentati come spie infiltrate, per cui il cazzotto di Cap può essere giustificato come atto di autodifesa. Il numero ebbe un successo pazzesco, vendendo un milione di copie, ma procurò anche minacce agli autori, tanto che il sindaco Fiorello La Guardia dovette affidare loro una scorta. Già allora Cap non faceva l’unanimità… Una curiosità finale: le prime storie di Capitan America saranno pubblicate in Italia nel 1945 sulla rivista Il pupazzetto, in coincidenza con la liberazione di Roma da parte degli alleati.
Captain America Vol. 1 #76, maggio 1954
Con la fine della seconda guerra mondiale i supereroi perdono di appeal e le loro testate chiudono poco alla volta. Nel 1954 la Atlas (succeduta alla Timely) prova a rilanciare i propri personaggi, tra cui Cap, avvalendosi soprattutto del tandem Don Rico e John Romita Sr. Il periodo però è cambiato, sull’Europa orientale è scesa una cortina di ferro e il nemico è adesso il blocco sovietico. Ecco quindi Captain America commie smasher (spacca comunisti) che questa volta combatte contro i rossi e contro i loro tentativi di infiltrarsi in America. Un Capitano maccartista, che al pari del Senatore del Wisconsin vedrà rapidamente scemare le proprie fortune editoriali (la testata chiuderà dopo appena tre numeri).
Captain America Vol. 1 #113, maggio 1969 (The Strange Death of Captain America)
Stan Lee – con l’ausilio ai pennelli del Re Jack Kirby – decide di risuscitare Capitan America come nuovo membro degli Avengers (Avengers Vol. 1 # 4, marzo 1964 / Captain America lives again). Abile lo stratagemma dello scrittore newyorchese che lo immagina congelato nell’Artico a seguito di uno scontro con un altro nemico nazista (il Barone Zemo), e recuperato dal gruppo di supereroi dopo quasi vent’anni di vita sospesa. Un’idea che porterà con sé il tema del confronto tra la generazione di Cap, in fondo un uomo degli anni Venti (anzi del 1918, recita la biografia ufficiale) e quella dei boomers. Un tema, quello dell’anacronismo del Capitano e dei suoi valori, ma anche di nostalgia verso un passato più lineare (e probabilmente mitizzato), che verrà sviluppato nella nuova serie che gli verrà consacrata e che lo accompagnerà per tutta la vita (in Captain America Vol 1 # 153 del settembre 1972, scontrandosi con Nick Fury gli dirà: “Guarda che io 20 anni non li ho guadagnati, li ho persi!”). Ma lo stratagemma del ritrovamento permette anche a Lee di scrivere una nuova personalità per il Capitano, non più orientata a obiettivi militari (di fatto non andrà mai in Vietnam – se non per salvare un medico non schierato che opera a favore di entrambi i fronti) ma ad una più generale fedeltà ad un ideale lincolniano, per certi versi fuori dal tempo.
E qui arriviamo a questo capolavoro realizzato in assolo da Jim Steranko, che chiude il ciclo avviato nel numero 110. Prima della apparente morte del Capitano, raggiunge livelli di drammaticità (grazie anche alle tipiche chine scure dell’autore) e di lirismo dei testi raramente toccati nella serie. In breve: Cap è stato ucciso dall’Hydra (almeno così pare) e anche i Vendicatori stanno per esserlo. Ma a questo punto lui riappare all’improvviso e rovescia il tavolo, salvando gli amici e sconfiggendo i nemici. E il coro commenta “Un uomo può essere distrutto. Una squadra o un esercito possono esserlo. Ma, come fai a distruggere un ideale… un sogno? Come puoi distruggere un simbolo vivente?”
Captain America Vol 1 #118, ottobre 1969 (The Falcon fights)
Se, riprendendo un brocardo abusato, “Dietro ogni grande uomo, c’è una grande donna”, di sicuro dietro ogni grande superhero c’è un grande supervillain: il Teschio Rosso, apparso già sul numero 1, con la storia “L’indovinello del Teschio Rosso”, e che continuerà a tormentare il nostro fino ai giorni nostri, in quanto avversario per eccellenza. Inizialmente personificazione del nemico geopolitico dell’epoca (la Germania nazista), vivrà anche lui un’evoluzione diventando la quintessenza del male, incarnazione dell’odio e del desiderio di sopraffazione dell’uomo sull’uomo. Tornando al Teschio Rosso, in questo ciclo di storie #115/119, Herr Johann Schmidt (questo il suo nome) riuscirà a scambiarsi fisicamente con Cap, grazie al potere del Cubo Cosmico. Un tema, quello dello scambio di personalità con il suo principale nemico, che verrà riproposto più volte, come nella miniserie del 2009-2010 Capitan America: Reborn di Ed Brubaker e Bryan Hitch. Ma ci piace ricordare questa saga – ottimamente scritta da Lee e disegnata in gran parte da Gene Colan – perché, ancorché intrappolato nel corpo del più debole Teschio, Steve Rogers riuscirà a combattere e a rovesciare nuovamente l’esito del confronto, con la forza della propria volontà più che dei muscoli rafforzati dal siero del super-soldato di cui si troverà momentaneamente privato. Come dirà appunto in questo numero, che anticipa il riscatto finale del nostro: “Ci vuole più di un costume per fare un combattente”. Una metafora dell’America, capace di vince grazie alla saldezza della sua motivazione e delle sue idee, più che con la mera forza. E se a metà anni Ottanta la bandiera americana sarà sfidata da Flag-Smasher (una nemesi anti-nazionalista che con modalità terroristiche lotta in nome di una visione astrattamente anarchica, apparsa anche nella recente serie TV Falcon and The Winter Soldier), nel nuovo millennio l’obiettivo della distruzione degli USA e della loro società sarà portato avanti dall’ex membro del KGB Alexander Lukin. Un antagonista post-sovietico, di cui il Teschio condividerà la mente, in una sorta di fusione dei due ex antagonisti storici degli Stati Uniti.
Captain America Vol. 1 #156, dicembre 1972 (Two Into One Won’t Go!)
Epica conclusione del ciclo avviato nel n. 153 dal duo Steve Englehart / Sal Buscema, risolve l’arcano dell’”altro” Capitan America, che in compagnia di un redivivo Bucky era stato protagonista di una serie di inspiegabili aggressioni, spesso razziste. Si tratta in realtà del Cap degli anni Cinquanta, presentato da Englehart come un imitatore impazzito del Capitan America “originale”, ossessionato non solo dai nazisti ma anche dai comunisti (categoria molto ampia in cui aveva finito per ricomprendere di fatto anche le persone di colore e tutte le minoranze etniche). A lui il ”vero” Capitan America somministrerà una lezione di autentico spirito civico: “I tempi sono cambiati. Il pericolo, nell’America, viene tanto dall’interno quanto dall’esterno! C’è il crimine organizzato, c’è l’ingiustizia e il fascismo…”. Una lezione che condurrà il Capitan America degli anni Cinquanta alla pazzia, avendo compreso che quello che egli sta combattendo è in realtà il suo vero modello, e che quindi la sua azione, lungi dall’essere in continuità con quella del Cap originale e con i suoi ideali, ne rappresenta invece una mistificazione. Uno specchio deformato, insomma, che verrà ripescato alcuni anni dopo come capo di un gruppo di suprematisti bianchi (vedi Captain America Vol. 1 #232-236, aprile-agosto 1979) e ancora nel ciclo “The death of Captain America” (Captain America Vol. 5 #25-42 aprile-novembre 2007-08), in cui si candiderà come successore del defunto Steve Rogers, ponendosi in antitesi con l’altro candidato Bucky Barnes, a cui rivolgerà le sprezzanti parole “Tu sei il prodotto della speranza dell’America. Io la somma delle paure”.
Captain America Vol. 1 #175, luglio 1974 (Before the Dawn!)
Nel pieno degli anni Settanta, anche Cap non saprà sottrarsi all’onda lunga della contestazione e all’inquietudine che serpeggia nella società americana nei confronti delle stesse istituzioni. In questa drammatica storia scritta da Steve Englehart per i pennelli di Sal Buscema, il nostro assiste al suicidio nello studio ovale del responsabile di un tentativo di sovvertimento dell’ordine costituzionale (sono gli anni del Watergate). Profondamente ferito, il patriota per eccellenza deciderà nel numero successivo di abbandonare il costume a stelle e strisce e in seguito (numero 180) di indossare quello di Nomad (un nome che sottolinea una vocazione quasi apolide). Così facendo, tuttavia, Steve Rogers dimostra di credere ancora essenzialmente nel sogno americano, pur dissociandosi dal governo di Washington. La sua, invece di essere una fuga nell’antipolitica, assumerà pertanto i toni di una protesta politica e etica, in linea con la disobbedienza civile di Henry David Trudeau. Insomma, un difensore degli autentici ideali dell’America, al di là dei governanti di turno.
The Ultimates Vol. 1 #12, gennaio 2004
Saltiamo un po’ di anni e di interpretazioni di Cap (tra cui il Capitan America liberal di Ann Nocenti, che nel n. 283 di Daredevil dell’agosto 1990 condannerà l’invasione americana di Panama perché compiuta in “violazione del diritto internazionale”) e arriviamo all’11 settembre. Un trauma che non può mancare di riverberarsi anche sui supereroi, favorendo un recupero del vecchio prototipo bellicista e propagandistico, in linea con il mood di mobilitazione prevalente nella politica e nella società americana. La reazione più profilata all’attacco terroristica la troviamo nella serie Ultimates, versione attualizzata dei Vendicatori lanciata nel marzo 2002 nell’ambito di un sub-imprint avviato nel 2000 che si proponeva di presentare una versione “definitiva” e ambientata ai giorni nostri degli eroi Marvel. Lo scrittore scozzese della serie, Mark Millar, ben assistito dai disegni realistici di Bryan Hitch, non si limiterà ad un semplice restyling, ma rivisiterà in modo più profondo i personaggi. Capitan America tornerà così al modello John Wayne, più nazionalista che mai: in una pagina ricca di pathos di questo episodio, lottando contro un extraterrestre nazista gli dice, indicando la “A” che ha sulla maschera: “Credi che questa lettera significhi Francia?” (sottinteso: l’America non si arrende mai, mentre Parigi è pronta a cedere… ieri ai nazisti, oggi al terrorismo – il Governo francese scelse di non partecipare alla seconda guerra del Golfo). Archiviati gli sbandamenti degli anni Settanta, il Capitano non ha adesso nessun dubbio rispetto agli ordini della catena gerarchica. E se continua a usare lo scudo, stavolta non disdegnerà neppure pistole e bombe a mano. Un perfetto eroe neo-con, insomma, senza “se” e senza “ma”, che tracima quasi in una parodia, tanto è caratterizzato in maniera estrema. E che non crollerà nemmeno di fronte al tentativo di illuminarlo sui “crimini” del Governo Federale portato avanti da Frank Simpson, sua incarnazione durante la guerra del Vietnam, che aveva disertato scosso dai “tradimenti” dell’America (Ultimate Capitan America Vol. 1 #1/4, gennaio / aprile 2011 di Jason Aaron e Ron Garney). Crimini di cui Rogers si dirà consapevole ma che non cambiano la sua visione complessiva: al netto dei possibili errori “facciamo quello che possiamo per un bene più grande”, perché “è sempre degno combattere per l’America in cui credo. E anche morire per questa. E a volte uccidere per lei”.
Captain America Vol. 4 #11, giugno 2003 (The Extremist part V)
Ma anche rispetto all’undici settembre i Capitan America sono due. Già nel ciclo realizzato da John Ney Rieber e John Cassaday, Enemy (Captain America Vol. 4 #1-6, giugno/novembre 2002), avevamo visto il patriota per eccellenza riflettere in relazione ai terroristi: “Dobbiamo essere più forti di quanto siamo mai stati. O loro vinceranno. Possiamo dare loro la caccia. Possiamo pulire ogni macchia di sangue lasciata dal loro terrore sulla Terra. […] Ma non servirà. Dobbiamo essere più forti di quanto siamo mai stati. Come popolo. Come nazione. Dobbiamo essere l’America. O loro avranno vinto”. Sconvolto dalla scoperta che i bambini mandati a combattere contro di lui hanno subito amputazioni causate dalle mine fabbricate nella cittadina di provincia occupata dai terroristi medio-orientali, il vecchio eroe finirà per interrogarsi sulle responsabilità dell’America. Nei testi scritti da Rieber sembra filtrare la speranza che dall’11 settembre non partisse una spirale di odio, ma venisse risvegliata la coscienza americana. Un approccio etico, che continuerà ad essere sviluppato nei successivi minicicli «Two Americas» (Captain America and the Falcon Vol. 1 #1-4, maggio-agosto 2004) e appunto Estremisti, scritto da Chuck Austen e disegnato da Jae Lee. In quest’ultimo episodio Capitan America riconoscerà che “i tempi sono cambiati. Le battaglie sono meno chiare, le guerre meno nobili… le cause meno giuste… anche all’ombra dell’11 settembre”, salvo poi concludere: “Questo Governo può avere torto. La nostra politica può essere sbagliata. Dopotutto siamo un sistema complesso amministrato da esseri umani. Ma il Paese è sano e anche se non è più così facile…ne sono ancora fiero. Lo amo ancora e combatterò fino alla morte per proteggerlo e renderlo un luogo sicuro… affinché altri, come so che faranno, possano farlo tornare giusto…il più delle volte”. Insomma, una visione meno manichea e non più “right or wrong, my country”, ma che vede il Capitano restare tutto sommato fiducioso sulle capacità di correzione del sistema democratico americano.
Captain America vol. 5 #25, marzo 2007 (The Death of the Dream: Part 1)
I dubbi più forti sull’efficacia e sull’opportunità dei mezzi adottati dal Governo di Washington sono stati poi manifestati a maggio 2006, con il crossover Civil War, scritto sempre da Millar per i disegni di Steve McNiven, che riprende il vecchio tema dell’accountability democratica degli eroi con superpoteri (ed identità mascherate). A seguito di una strage di innocenti provocata da supereroi inesperti, l’amministrazione USA decide di obbligare tutti i supereroi a rivelare le proprie identità segrete e a registrarsi. Capitan America ritiene che la legge vada contro le libertà individuali e guida il fronte di coloro che si oppongono alla misura. Al termine del ciclo in questo drammatico episodio del crossover collegato alla saga, scritto da Ed Brubaker e pennellato da Steve Epting, Steve Rogers subisce l’ennesima morte per mano della compagna Sharon Carton, ipnotizzata dal Doctor Faustus per conto dell’immancabile Teschio Rosso. È interessante notare che dieci anni dopo – nel frattempo Steve Rogers avrà avuto modo di rinascere nuovamente – in occasione dell’ennesima divisione in due campi dei Supereroi Marvel (Civil War II #0-8, giugno 2016 – febbraio 2017, scritta da Brian Michael Bendis e disegnata da David Marquez), l’eroe con lo scudo si schiererà con gli oppositori dei cambiamenti “preventivi” del futuro, in nome del principio della responsabilità individuale. Una visione libertaria, contraria ad ingerenze eccessive dello Stato, sia pure a fin di bene.
Captain America: Sam Wilson #1, ottobre 2015
Nel corso degli anni, saranno diversi gli eredi di Cap, pur se sempre temporanei. John Walker – che ne indosserà il costume
dopo essere stato Super Patriot, per poi divenire U.S. Agent – ne incarnerà una vocazione nazionalista estremizzata e violenta, non esitando ad uccidere i propri nemici, senza quel rispetto di fondo per la vita, anche degli avversari, a cui ha invece sempre tenuto Steve Rogers. Ma ci piace di più ricordare il tentativo, in piena presidenza Obama, di calare il costume a stelle e strisce su Sam Wilson, ovverosia Falcon, vecchio partner – anche editoriale – di Cap, e molto più di una semplice spalla. Il primo supereroe afroamericano della Marvel, a 46 anni dalla sua apparizione, avrà l’onore e l’onere di diventare l’icona nazionale in questa serie ben scritta da Nick Spencer e disegnata da Daniel Acuňa. L’interesse della storia non risiede tanto nella trama, quanto negli interrogativi che si porrà Sam sull’interpretazione da dare al suo ruolo. È possibile essere Cap – si chiederà – in una società polarizzata come quella attuale americana, atteso che lui – a differenza del suo predecessore -, che puntava a mantenersi sopra le parti – ha invece delle idee ben precise, e intende “schierarsi”? Di fatto, appena le manifesterà, partiranno la grancassa delle accuse (“Capitan America è diventato di parte!”) e gli inviti a dimettersi. Insomma, difficile fare il Capitano quando le istituzioni non sono con te e metà della popolazione è contro!
Captain America Vol. 9 #7, marzo 2019 (Captain of nothing part 1)
Nel ciclo Secret Empire (# 0-10, giugno-ottobre 2017, scritto da Nick Spencer e disegnato da Rod Reis, Daniel Acuña, Steve McNiven e Andrea Sorrentino) Steve Rogers si rivelerà essere una versione traviata e manipolata dal Teschio Rosso e dal Cubo Cosmico, che – alla guida dell’Hydra – assumerà il controllo degli Stati Uniti. Questa dittatura cadrà poi fortunatamente grazie al ritorno del Cap originario. Quest’ultimo, nella saga Winter in America realizzata dallo scrittore afroamericano Ta-Nehisi Coates, si troverà confrontato ad una nuova cospirazione ordita dall’Elite al Potere (composta da ex combattenti dell’Hydra, un pezzo di establishment americano e villains russi) per mantenere il controllo delle istituzioni, anche attraverso un’agenda portatrice di consenso sociale, riecheggiando sempre più il dibattito politico contemporaneo. L’Elite si renderà conto che per sconfiggere il “vero” Cap occorre sconfiggerne l’immagine, la reputazione. “Capitan America è una visione, un sogno, un bisogno della storia, nato da grandi guerre e alti ideali”, per cui “per uccidere Capitan America bisogna uccidere l’idea… uccidere la visione… uccidere il sogno” (Winter in America, part 6, febbraio 2019). Ma l’eterna fidanzata Sharon Carter controbatterà in questa storia, con cui inizia il ciclo successivo, sempre scritto da Coates: “Possono uccidere un sognatore. Ma non possono mai uccidere il sogno. Possono incarcerare il rivoluzionario, ma non possono incarcerare la rivoluzione”. Certo è che la responsabilità di vestire la bandiera espone il nostro eroe al rischio di essere un fusibile delle diverse sensibilità politiche, soprattutto in una fase di crescente polarizzazione dell’elettorato americano (non a caso due cicli apparsi nel 2004 e nel 2010 si chiameranno “due Americhe”). Le frange estreme proveranno infatti a tirarlo per la giacchetta (anzi, per lo scudo), facendo leva sul suo bipolarismo di fondo: un eroe in bilico, tra la vocazione di vigilante nazionalista, pedissequo esecutore degli ordini (e degli interessi) della gerarchia di Washington da un lato, e quella di rappresentante di una nazione americana idealizzata, incarnazione del sogno libertario e democratico di un’open society. E qui chiudiamo, con le parole di Ta-Nehisi Coates che descrivono Capitan America più come “un’interrogazione sul sogno americano”, che come “una risposta”.
Andrea Silvestri di professione è un diplomatico, ma è anche un appassionato di fumetti, autore di diverse pubblicazioni su questo tema per Limes e del libro Fumetti e potere – Eroi e supereroi come strumento geopolitico, edito da NPE nel 2020.