In questa puntata di Essential 11 ospitiamo Stefano Petruccioli, attivo in vari eventi legati alla filosofia e autore dei testi Gli X-Men e la filosofia (Mimesis, 2014) e X-Men. Per un'etica indagata in stile mutante (Mimesis, 2015).
Vista la sua conoscenza in ramo tanto filosofico quanto fumettistico, ci siamo rivolti a lui per chiedergli di elencare una serie di undici storie Marvel che contenessero in qualche misura alcune questioni filosofiche, emerse dalle situazioni descritte e dai rapporti tra i personaggi.
Leggere i fumetti non è meno complesso e difficile che leggere tout court, e non è solo auspicabile ma necessario per la filosofia confrontarsi anche con essi, lavorarci ed esporsi alla loro contaminazione. Ecco perché, rispondendo all'appello di certe idiosincrasie che mi abitano, di una curiosità ostinata e divergente, di un debito d'amore da pagare da oltre vent'anni, provo a raccogliere qui alcune storie a fumetti di casa Marvel che raccontano e indagano questioni assolutamente filosofiche.
1 – Psylocke, Derrida e il perdono
La ninja e telepate X-Men nota come Psylocke è la protagonista della miniserie Kill Matsùo. Se fin dal titolo l'avventura sembra una citazione del film del 2003 di Quentin Tarantino Kill Bill, questo omaggio citazionista è ulteriormente confermato e rafforzato all'interno della storia, che si presenta anch'essa come una furiosa ricerca di vendetta da parte di una donna armata di katana (Psylocke) nei confronti di un uomo per cui ha lavorato come assassina (Matsu'o Tsurayaba).
Fra Psylocke e Matsu'o, però, si frappone un inaspettato ostacolo: Wolverine. Anch'egli ha ottimi motivi per odiare e vendicarsi di Matsu'o, essendo il responsabile della morte di Mariko Yashida, donna che è stata uno dei più profondi amori del mutante, ma la sua maniera di fare i conti con il capo della Mano non ne prevede la morte, bensì la lenta, continua, cerimoniale mutilazione: Matsu'o non ha finito di pagare e quindi non deve morire, mai; ogni goccia del suo sangue ripaga Wolverine per ciò che gli ha portato via, e non sarà mai abbastanza. Psylocke più di chiunque altro, probabilmente, può comprendere la decisione di Wolverine, la volontà di ricambiare con mali terribili chi ci ha fatto del male, di ferire crudelmente chi ci ha danneggiato, ma gli si oppone, lo affronta: Matsu'o si è portato via la vita di Logan, capisce la sua rabbia, perché allora fermarlo? Cosa le importa di Matsu'o Tsurayaba? Cosa sta facendo? Non c'è anche in Psylocke la stessa volontà di vendetta e la stessa impossibilità di perdono presenti in Wolverine? No, c'è perdono nel suo cuore e non solo vendetta.
Psylocke riconosce – come il filosofo francese Jacques Derrida nel suo saggio Perdonare – che quella del perdono è un'esperienza estranea al regno del diritto, del castigo o della pena, dell'istituzione pubblica, del calcolo giudiziario ecc., rappresenta insomma una sfida alla logica penale che richiede una rottura di ogni possibile reciprocità o simmetria – quelle che, invece, inutilmente cerca Wolverine – e che esige che il perdono sia accordato, se può esserlo, perfino a qualcuno che non lo domanda, che non si pente né si confessa, né rende migliore se stesso o si riscatta: al di là, pertanto, di ogni economia, al di là perfino di ogni espiazione. Il perdono, se ce n'è, ha senso e possibilità solo laddove esso è chiamato a fare l'im-possibile, cioè a perdonare l'imperdonabile, l'inespiabile, per non correre il rischio di essere contaminato da un calcolo che lo corrompe, prima colpa di ogni perdono che voglia essere veramente tale. Il perdono, come il dono, non vuole gratitudine: «Non devi ringraziarmi», dice infatti Psylocke a Matsu'o quando lo salva da Wolverine, perché il (per)dono non deve apparire come tale, né al donatario né al donatore. Sempre secondo Derrida, nemmeno colui che dona deve vederlo o saperlo, altrimenti comincia, fin dall'inizio, fin dal momento in cui ha l'intenzione di donare, a ripagarsi di un riconoscimento simbolico, a felicitarsi, ad approvarsi, a gratificarsi, a congratularsi, a restituirsi simbolicamente il valore di ciò che ha appena donato, di ciò che crede di aver donato, di ciò che si appresta a donare.
2 – Devil, Pascal e la fede in Dio
La fede religiosa di Devil sembra provenire dalla madre, come mostra la preghiera della donna nella storia di Frank Miller Born Again (Devil: Rinascita): «La febbre cresce in lui. Nessuna forza terrena può fermarla. Ha perso troppo sangue. Il suo corpo non può combattere. Morirà. Ma ha così tanto da fare, mio Signore. La sua anima è tormentata. Ma è l'anima di un uomo buono, mio Signore. Ha solo bisogna che gli venga mostrata la Tua via. Dopo si ergerà tuo e porterà luce a questa città avvelenata. Sarà una lancia di luce nelle tue mani, mio Signore».
La fede spirituale è la forza dietro ciò che nella storia è considerata la rinascita fisica di Matt Murdock . In The Devil's Distaff (La madre del diavolo) di Kevin Smith, è ancora la madre a raccontare a Matt una storia simile alla scommessa ideata dal filosofo francese Blaise Pascal sull'esistenza di Dio, suggerendo che, in base a ciò che guadagneremmo e perderemmo credendo o meno in Dio, sarebbe molto peggio vivere come se Dio non esistesse per poi scoprire di essersi sbagliati piuttosto che condurre un'esistenza di fede e speranza. Quando Matt comprende il ragionamento filosofico contenuto in questo semplice racconto della madre, è commosso e in qualche modo placato nel suo spirito precedentemente tormentato e dubbioso. Matt sembra riconoscere la grandezza e la miseria dell'uomo di cui scriveva Pascal, il suo essere un giunco pensante, spiritualmente grande come Dio e insieme fisicamente piccolo e deludente, incredibilmente fragile come una canna di palude. Gli estremi di bene e male che sono avviluppati nel comportamento umano sono incredibili. Devil sembra sentire che l'uomo è creato per essere qualcosa di più che una vittima o un carnefice che si aggira per il quartiere di Hell's Kitchen.
Facendo eco alle meditazioni di Pascal, nella storia – ancora di Kevin Smith – Guardian Devil (Diavolo custode), Matt parla nel suo cuore con Dio dicendo: «Ogni notte, metti su uno spettacolo immortale per me… mi mostri la disparità tra la magnificenza dell'uomo e le sue azioni, eoni di evoluzione, e noi ancora ricerchiamo gli angoli più bui per i nostri impulsi più bassi. Quanto deve essere deludente per Te vederci al nostro peggio… se anche esisti».
3 – Daken, Machiavelli e il principe artefice della propria fortuna
Figlio dell'artigliato mutante degli X-Men Wolverine e della sua sposa giapponese Itsu, Daken ha militato durante il Regno Oscuro (Dark Reign) di Norman Osborn negli Oscuri Vendicatori – versione più tenebrosa e violenta dell'originale supergruppo formata da eroi controversi quali Sentry e Ares e, soprattutto, da supercriminali sotto false spoglie (l'assassino Bullseye si fingeva Occhio di Falco, Venom era mascherato da Uomo Ragno, Moonstone aveva assunto il ruolo di Ms. Marvel) –, indossando il vecchio costume e recitando il ruolo del padre. La sua adesione era dovuta alla volontà di seguire un personale e machiavellico piano, e proprio al letterato fiorentino Niccolò Machiavelli e alla sua più celebre opera, Il Principe, rende omaggio il primo arco di storie di cui Daken è protagonista: The Prince, appunto, pubblicato su Dark Wolverine #75-77 (agosto-ottobre 2009, in Italia su Wolverine #244-246, maggio-luglio 2010).
Nel corso delle storie compaiono anche un paio di citazioni dal trattato politico di Machiavelli: «L'odio s'acquista così mediante le buone opere, come le tristi», a commentare proprio la figura e il carattere di Daken, capace di azioni atroci e di altruistici gesti che non possono non destare sospetti; e «La prima coniettura che si fa del cervello d'uno signore, è vedere li uomini che lui ha d'intorno», visto che Daken analizza e studia i propri compagni di gruppo, e in ciò mostra spiccate qualità da psicologo aiutate da sensi incredibilmente sviluppati (questo uno degli aspetti del suo potere mutante), per capire chi ha di fronte, cioè Norman Osborn che li ha reclutati e riuniti.
E dopo questo arco narrativo, per Daken è l'ora della saga Godlike (su Dark Wolverine #82-84), in cui fanno la loro comparsa le Parche/Norne/Fato, che il disegnatore Giuseppe Camuncoli realizza graficamente attraverso un esplicita citazione e ri-creazione dell'opera pittorica di Klimt. E anche in questo caso, inoltre, sembra esserci un implicito rimando alla filosofia di Machiavelli e all'immagine dell'uomo moderno che traspare nel suo trattato politico, un uomo che si fa artefice del proprio destino, della propria stessa fortuna, non più ruota che gira e assegna una sorte ma occasione da acciuffare con costanza e virtù, come Daken afferra le Parche per il collo.
4 – Dottor Destino, Hobbes e la sovranità assoluta
Nel terzo capitolo della saga Doomwar (giugno 2010, in Italia su Fantastici Quattro #316, febbraio 2011) il Dottor Destino, forse la persona più corrotta del pianeta – almeno secondo Pantera Nera –, riesce a superare la prova che il Re del Wakanda aveva predisposto come misura di sicurezza per proteggere il deposito di prezioso vibranio: la volta della purezza, una sorta di macchina della verità psico-spirituale in grado di sondare le parti più recondite dell'inconscio senza possibilità di inganno, costringendo una persona a rivelare la sua vera natura, per impedire l'accesso a chi mostri anche la minima traccia di frode, il minimo accenno di doppiezza, il minimo intento malvagio.
Sguarnito, nudo, disarmato, Victor Von Doom si rimette al giudizio di Bast – dio felino dell'Egitto e dio pantera del Wakanda –, il quale scruta la sua anima per scoprire se il suo cuore è impuro, se le sue motivazioni sono macchiate dall'avidità e dall'odio. Il dio gatto vede le innumerevoli morti causate dai sogni di Destino, tutti i danni arrecati, ma cosa sono danni e morte per i re e per gli dei? I metodi di Destino sono il mezzo per il fine, «come falciare le erbacce per consentire a un'orchidea di fiorire»; egli rappresenta il cambiamento, eppure coloro che lo contrastano lo disprezzano e la loro bigotta arroganza non li ha mai portati a provare a vedere ciò che vede lui, a chiedersi il perché. E il perché delle azioni di Destino è l'amore. Destino ucciderebbe milioni di persone per salvarne miliardi, riscriverebbe la storia, distruggerebbe nazioni, si farebbe chiamare tiranno e assassino, eppure crede che questa sia l'unica via di salvezza per l'umanità.
Anche secondo Bast egli lo crede con tutto il cuore: tutto quello che ha fatto, le trame, i piani, gli eccessi perversi, erano al servizio di un unico scopo. E il dio felino deve agire secondo verità: per quanto i metodi di Destino siano ripugnanti e spregevoli, la sua intenzione è pura ed egli ha quindi superato il test, potendo fare del vibranio quello che vuole.
Così il dio felino sembra quasi riconoscere, con il filosofo inglese Thomas Hobbes – autore della classica opera di riflessione politica Il Leviatano e teorizzatore di una sovranità assoluta – che per gli uomini l'unica via per fondare un potere comune capace di difenderli dalle invasioni straniere e dalle ingiurie degli uni verso gli altri e di renderli sicuri in modo che essi, con la loro industria e con i frutti della terra, possano nutrirsi e vivere in pace, sia quella di conferire tutto il loro potere e la forza nelle mani di un singolo uomo che riduca le loro volontà, con la pluralità delle voci, ad un'unica volontà. Questa è l'origine del grande Leviatano o meglio di quel dio mortale al quale gli uomini debbono la propria pace, sicurezza e difesa.
5 – La Cosa, Derrida e l'illimitata responsabilità etica
«Ben… La vita è lunga. E strana. E piena di… Pensa a una lunga strada. A un'autostrada. Alla madre di tutte le autostrade. Una decina di corsie in entrambe le direzioni. E quella strada ha centinaia… migliaia… di vie che si immettono, uscite, sbocchi laterali. Tu dai un colpetto al freno. A sei corsie di distanza, un chilometro indietro, c'è un incidente. L'hai provocato tu?».
Con queste parole, su Fantastic Four #9 (agosto 2013, in Italia su Fantastici Quattro #9, febbraio 2014) Reed Richards (Mr. Fantastic) cerca di convincere Ben Grimm (la Cosa) che non può sentirsi responsabile se forse, accidentalmente, una qualche sua azione ha favorito l'incidente che, sfigurando Victor Von Doom, generò nel giovane l'origine del Dottor Destino, tiranno di Latveria e arci-nemico dei Fantastici Quattro.
Ma l'intelligentissimo e illuminato Mr. Fantastic si sbaglia, ha filosoficamente torto. Il suo è un discorso legalista, di una morale calcolata e calcolabile, ma in etica la responsabilità o è illimitata o non è, direbbe il filosofo francese Jacques Derrida. Ha ragione, perciò, la Cosa a sentirsi responsabile per le proprie azioni, a sentirsi chiamato da una responsabilità infinita e incalcolabile, a sentirsi chiamato a rispondere a tale appello etico. Solo così egli è un eroe, partecipa di un eroismo etico filosoficamente superiore a ogni rassicurante calcolo morale.
6 – Nightcrawler, Benjamin e l'aura dell'opera d'arte
Sfogliando e leggendo le tavole del fumetto mutante X-Men: Divided We Stand #1 (giugno 2008, in Italia su Wolverine #231, aprile 2009) ci si può imbattere nel ragionamento del teleporta blu e dall'aspetto – ma solo quello – mefistofelico Nightcrawler intorno a quella categoria dell'estetica contemporanea elaborata dal filosofo Walter Benjamin che è la perdita dell'aura.
Nel suo saggio L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica Benjamin indaga la produzione di massa, come stampa e fotografia, e il modo in cui essa influenzi l'aura dell'arte: guardare una foto della Monna Lisa su una rivista è come vedere il dipinto vero al Louvre? Copiare l'arte ne cambia l'essenza artistica?
Si interroga Nightcrawler insieme a Benjamin. Quel che si atrofizza nell'epoca della riproduzione tecnica è l'aura dell'opera d'arte e si potrebbe dire, generalizzando, che la tecnica di riproduzione distacca l'oggetto riprodotto dal dominio della tradizione: creando riproduzioni, essa sostituisce una pluralità di copie a un'esistenza unica. Argomento affascinante, no?
7 – Spider Man, Kant e il potere e dovere
Nello sconvolgente finale della testata del Tessiragnatele, The Amazing Spider-Man #700 (febbraio 2013, in Italia su Amazing Spider-Man #600, agosto 2013), si assiste al filosofico dialogo tra il Dottor Octopus – nel corpo e con i ricordi di Spider-Man – e Peter Parker in quello morente dell'arci-nemico e criminale.
Peter rammenta al Dottor Octopus che se si desidera essere l'Uomo Ragno non ci sono solo i suoi poteri: ora egli sa, lo sta imparando grazie ai ricordi e ai pensieri di Peter, quanto sia preziosa la vita e quale tragedia rappresenti ogni volta che viene stroncata. Se il Dottor Octopus prega l'Uomo Ragno di smettere, perché per lui tutto ciò è troppo, è un'etica eccessiva che egli non può continuare a sopportare e sostenere, Peter insiste invece che può, che da ora in poi sarà sorpreso di quanto può fare, di quante cose sia giusto combattere. Tutto ciò che Octopus sta scorgendo nella mente dell'Uomo Ragno, che questi gli sta mostrando come eticamente necessario, è impossibile, lo sa anche Peter, ma egli sa anche che, paradossalmente, lo farà comunque.
Alla fine il Dottor Octopus lo vede e lo sente anche lui, comprende il peso e la responsabilità di essere l'Uomo Ragno. Comprende un'etica alla Immanuel Kant fondata sull'assunto che certi atti impossibili si possono comunque compiere perché si deve, perché da un grande potere derivano grandi responsabilità.
8. Cable, Sloterdijk e il rapporto tra fine e mezzi
«A volte il fine giustifica i mezzi. Non importa quale sia il prezzo per la tua anima. Difficile non trovare soddisfazione nel lavoro. Nonostante la posta in gioco, nonostante la missione ti occupi la mente, nonostante tutto questo, è sempre bello fare un'entrata spettacolare. State certi che Fener sogghigna in segreto, ogni volta che parte quella marcetta. Difficile non godersi il brivido. Fortunato colui che ama il proprio lavoro. Proprio fortunato».
Così dice Cable, il nuovo leader dell'almeno quinta incarnazione del gruppo mutante X-Force, il più cupo team di X-Men, su X-Force #2 (maggio 2014, in Italia su Gli Incredibili X-Men #15, novembre 2014). A conferma di come temi centrali nei comics siano le questioni morali.
Questo ciclo narrativo mette alla prova la disponibilità a commettere il male in funzione del bene dei membri di questo gruppo mutante – composto tra gli altri, oltre che dal viaggiatore temporale Cable, da Psylocke e Fantomex –, mette in scena la possibilità che il rifiuto radicale del mondo come è possa rovesciarsi repentinamente nella ricerca di una sua definitiva e finale trasformazione dagli esiti distopici, il rischio che una certa etica possa sfociare in un'etica del fine ultimo, in cui al rigido cinismo dei mezzi si intrecci il non meno duro moralismo dei fini (come sostiene Peter Sloterdijk in Critica della ragion cinica).
9. Lettori di Nietzsche
Quali personaggi dei fumetti Marvel sono dei gran lettori del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche?
Sicuramente Victor von Doom, ovvero il Dottor Destino, che nello scontro con il vendicatore Iron Man in Fatal Frontier lo cita per ben due volte. Una prima volta, esplicitando la fonte, il sovrano di Latveria accusa Testa di Ferro di essere uno di quelli di cui scrisse Nietzsche chiamandoli «storpi a rovescio, quegli uomini che non sono altro che un grande occhio, o una gran bocca, o un grande ventre». Tony Stark è così, è solo una grande armatura, è solo scienza e tecnologia, è il migliore in quello che fa, ma è tutto quello che fa ed è, un individuo unidimensionale, specialistico, non integro.
Una seconda volta, lasciando invece implicito il riferimento, Destino ironizza sulla posizione morale che Iron Man riserva per se stesso con arroganza, sostenendo che il vendicatore dorato si atteggia a drago immane “Tu Devi” (immagine tratta da Così parlò Zarathustra), dicendo agli altri cosa è giusto e cosa è sbagliato.
Ma lo stesso Tony Stark è un conoscitore del pensiero filosofico nietzschiano. Quando infatti, su Iron Man #6 (aprile 2013, in Italia su Iron Man #4, agosto 2013) una razza aliena lo accusa di essere l'uccisore di dei, con una battuta tenta di liquidare i propri accusatori sostenendo che hanno preso il tipo sbagliato, che crede stiano cercando, avendolo però mancato di un secolo e passa, Nietzsche – lui sì accusabile della morte di Dio – e che capisce la confusione, visti i baffi.
Infine, Mike Carey si è sempre dimostrato un ottimo scrittore di storie degli X-Men. In due numeri consecutivi della testata X-Men Legacy inserisce nella sua trama una coppia di citazioni davvero belle, che fanno salire il livello della lettura in corso. Nel #214 (settembre 2008, in Italia su Gli incredibili X-Men #227, maggio 2009), citando Little Gidding – ultimo dei Quattro quartetti – di T.S. Eliot, afferma: «Non dobbiamo desistere dal viaggiare. E la fine di tutti i nostri viaggi dovrà arrivare là dove avevamo iniziato e conosceremo il posto per la prima volta». Splendido invito al viaggio. E passando dalla poesia alla filosofia, nel #215 (ottobre 2008, in Italia su Gli Incredibili X-Men #228, giugno 2009) fa gridare a Charles Xavier – il Professor X fondatore del gruppo di supereroi mutanti –, mentre affronta Sinistro sul piano astrale: «Come diceva Nietzsche, il destino è il termine con cui i vigliacchi descrivono ciò che non hanno la forza di cambiare».
10. Gli Illuminati e ciò che è facile, sbagliato, giusto e necessario
È lecito che un ristretto gruppo di supereroi “illuminati” scelga di assumersi la responsabilità di prendere decisioni globali? È lecito distruggere un altro mondo per salvare il proprio? È la questione che emerge nelle tavole di New Avengers #3 (aprile 2013, in Italia su Iron Man #4, agosto 2013).
Capitan America sa di essere fermo a vedere le cose in bianco e nero, è ciò che è; ma da come si stanno mettendo le cose, da dove sta andando la discussione tra gli Illuminati – la necessità di esplorare tutte le strade, di tenere aperta ogni opzione – sa anche che gli altri alla fine lo faranno: si convinceranno a rinunciare a ciò in cui dovrebbero credere per convenienza, solo perché sono disperati e solo perché è facile. È sbagliato e lui non se ne starà fermo mentre succede, non può, non bisogna sacrificare ciò che dovrebbero essere ma fare le cose nel modo giusto.
Ma il Dr. Strange non intende solo “sperare” che mezzi eticamente giusti siano efficaci; Pantera Nera è pronto a fare ciò che è necessario per la sua gente e la sua nazione; Namor è pronto a sacrificare la propria anima per tutto ciò che ha di caro; il mutante Bestia è pronto a fare qualunque cosa per evitare l'estinzione; Mr. Fantastic, pronto a sacrificare qualunque cosa per la propria famiglia, è offeso dal comportamento di Steve Rogers, che parla come se le decisioni da prendere non fossero difficili anche per tutti gli altri.
Capitan America insiste che non lo permetterà: li conosce, costruiranno una macchina o una qualche arma senza pensarci, solo perché credono di averne bisogno, e poi la domanda passerà da “dobbiamo costruirla?” a “in quali circostanze si può usare questa macchina dell'apocalisse?”; e poi, lentamente, si convinceranno che lo stanno facendo per i giusti motivi, che non c'è altra scelta, che è il minore di due mali. Iron Man, allora, davanti all'ostinazione etica di Steve Rogers, non può che chiedere al Dr. Strange di usare la sua magia per portare via di lì Capitan America e non fargli ricordare niente di tutto ciò.
11. Rogue, Cartesio e il fantasma nella macchina
E ancora Mike Carey e il suo ciclo narrativo sulla testata X-Men Legacy.
Rockslide, uno dei più giovani X-Men, ha il corpo composto interamente di roccia, il che gli dona una forza e una resistenza sovrumane; inoltre ha la capacità di frantumarsi o di esplodere violentemente, per poi sapersi ricomporre con il materiale che lo circonda, da qui l'ipotesi che Santo – questo il suo vero nome – sia in realtà un'entità psionica con la capacità di rivestirsi di materiale roccioso, cioè in grado di controllare un golem di materiale roccioso come proprio corpo.
L'aspetto di Rockslide si è evoluto nel corso delle narrazioni: in seguito a un duro danneggiamento, tanto da non riuscire a riformarsi, il compagno di squadra Satiro usò il suo potere telecinetico per rimettere insieme il corpo roccioso dell'amico, che da allora assunse un aspetto molto più spigoloso e massiccio.
In un dialogo con la compagna di squadra Rogue sul #234 (maggio 2010, in Italia su Gli Incredibili X-Men #248, febbraio 2011) emerge una riflessione sul classico problema filosofico del dualismo cartesiano, che Rockslide in maniera peculiare incarna.
Rockslide si è abituato a pensarsi con un aspetto grosso, pesante, solido, però continua a trovarlo strano, è come se fosse una specie di spettro. Il fantasma nella macchina, spiega allora Rogue: la mente, o l'anima, dentro il corpo, che è come Cartesio ci descriveva.
L'espressione the ghost in the machine – lo spirito, ma anche il fantasma, nella macchina –, che è quella utilizzata da Rogue, è del filosofo del linguaggio e della mente Gilbert Ryle, formula con cui egli sintetizza la dottrina cartesiana sulla res cogitans (la sostanza pensante, cioè l'anima, la mente) e la res extensa (la sostanza estesa, cioè il corpo) per portare avanti la sua critica ad essa, che consiste nell'osservare che si tratta di un equivoco dovuto ad analogie grammaticali.
L'idea di una mente come entità indipendente, che abita e controlla il corpo, va rifiutata come un rimasuglio superfluo di un periodo antecedente lo sviluppo della biologia moderna e che non può più essere preso alla lettera. Parlare di una mente e un corpo come entità separate può avere solo la funzione di descrivere metaforicamente le abilità di organismi complessi in relazione al loro comportamento. Ryle asserisce che le operazioni della mente non sono distinte da quelle del corpo. Il vocabolario mentale è semplicemente una maniera differente di descrivere un'azione, e il dualismo cartesiano è solo un errore categoriale.