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    Due samurai del fumetto: Cristina Mormile e Jean-François Di Giorgio

    Il sodalizio artistico tra Jean-François Di Giorgio e Cristina Mormile va avanti da diversi anni, negli ultimi sulla serie Samurai. Con loro parliamo dell'opera e della loro collaborazione.

    La saga di Samurai, serie francese ideata da Jean-François Di Giorgio ormai al quattordicesimo volume più serie parallele, per noi italiani è un piccolo motivo di vanto per la presenza fissa da diversi anni di Cristina Mormile ai disegni. Li abbiamo raggiunti per parlare della longeva serie, ambientata nel Giappone medievale, e del segreto di una collaborazione così stretta e assidua.

    Bentornata Cristina, benvenuto Jean-François.
    Cristina e Jean-François: Ciao a tutti!

    Parliamo di Samurai: la serie principale è giunta al tredicesimo volume e le Legends al sesto. Qual è il segreto per una serie così longeva, qual è la spinta a portarla avanti?
    Cristina: Io sono diventata la disegnatrice della serie principale a partire dal tomo 10. Penso quindi che questa domanda sia più per Jean-François che per me, considerando che è stato lui a scrivere la serie sin dal principio…
    Jean-François: All’inizio, la serie Samurai è stata creata con Fred (Frédéric Genet), che avevo incontrato durante gli stages creativi di fumetto, presso il CBBD (Museo del fumetto di Bruxelles). Ma Fred voleva passare ad altro. Ed è stata Cristina a subentrare nella serie. Fortunatamente, direi.
    Oggi Samurai è composto da tre serie: Samurai, Samurai Legendes e Samurai Origines. Non mi stanco mai, perché ognuna di esse affronta periodi storici e temi diversi, che si arricchiscono a vicenda. Al momento della stesura di quest’intervista, con gli album che ho scritto in anticipo, la serie è vicina a un totale di 30 album. La sfida è trovare un nuovo tema ogni volta, senza mai ripetersi. Non è per niente facile. E poi scrivere una storia per tanti anni, significa anche che ci saranno sicuramente degli alti e bassi. Per esempio, quando Fred lasciò la serie e anche a causa di problemi personali, mi sentii molto giù. Ma oggi sono di nuovo felice. Ho le idee molto chiare. E il desiderio di andare avanti è di nuovo lì, presente.

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    Lavorare per tanti anni su una serie come questa può portare a momenti di stanca? C’è il rischio di non sentire più “propria” la storia?
    C: A volte mi sono stancata, sì, ma non della serie. Più che altro di me stessa e dei momenti in cui non facevo né un passo avanti né uno indietro. Mi sono persino odiata, quando mi sono resa conto di attraversare un momento di “stallo” personale. Ma essere una squadra vuol dire anche che quando tu ti butti giù, c’è sempre l’altro a darti una spinta.
    JF: Per me, lo ripeto, non c’è nessuna stanchezza. Innanzitutto perché è un piacere lavorare con Cristina. Lei è molto talentuosa. Abbiamo lavorato insieme per così tanti anni che ormai ci capiamo senza quasi parlare. Inoltre, abbiamo un piccolo studio insieme, che nel quotidiano semplifica notevolmente le cose. Ad esempio, quando rileggo le pagine, spesso riscrivo completamente i dialoghi, perché non li trovo abbastanza incisivi o perché trovo che le intenzioni non siano abbastanza chiare. Con Cristina e lo studio in comune, è facile sistemare questi dettagli… Sarebbe, credo, molto più difficile con la lontananza. Oltretutto, nella serie “Origines”, ho altri collaboratori. Trovare nuovi disegnatori, nuovi concetti, una base comune su cui lavorare e progetti da portare avanti, è sempre molto eccitante.
    Infine, lavorare su progetti “a lungo termine” è estremamente motivante. All’inizio, mi chiedevo se non mi sarei annoiato dopo un po’, lavorando su un progetto così lungo, dal momento che non l’avevo mai fatto. Alla fine, scopro che è esattamente il contrario! Mi offre molto tempo per documentarmi, cercare nuove trame, correggere eventuali errori, ecc. Mi permette di migliorarmi, insomma. Ed è fantastico!

    Dopo tanti anni sulla serie, c’è ancora lavoro di ricerca di riferimenti su personaggi, costumi, ambientazioni, usanze?
    C: Sempre. A volte persino più che nei primi anni. La documentazione non può mai mancare. Un’ambientazione storica è sempre uno sprone alla scoperta di un mondo lontano. Va da sé che passo ore a cercare references per l’architettura, per i kimono, per le katane, per le texture, praticamente per tutto. Ho almeno una ventina di libri sul Giappone che mi occupano la libreria e la vita.
    JF: Personalmente è la ragione per cui sono sempre perso col naso sui libri…

    La storia reale e la storia immaginaria, quanto è difficile e soddisfacente intrecciarle assieme?
    C: Per me che le disegno, è un gran divertimento. Tranne quando devo rendere più “giapponese” un luogo che di giapponese ha molto poco (come una grotta, per esempio). Lì soffro, lo ammetto, ma per poco.
    JF: Non è difficile! È esattamente il contrario! È giustamente quest’intreccio che ci consente di divertirci davvero, di diversificare al meglio l’universo di Samurai. Se nella serie principale c’è pochissimo fantasy, nella serie Origines, mi ci tuffo letteralmente. E mi piace! E a quanto pare, piace anche ai lettori!

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    Quanto è importante offrire ai lettori uno sguardo appassionato su un paese e un tempo lontanto, magari come spunto per aprire la mente a diverse culture? C’è una responsabilità nel lavoro di voi artisti, la avvertite specialmente oggi, nella società globale in cui viviamo?
    C: Il disegno è evasione per me in primis. Infatti sono la prima che si perde nel sogno, in un altro tempo. A volte mi aiuta a vedere meno le cose che non mi piacciono del presente. E spero sia così anche per chi legge le nostre storie. Spero che sia per loro la stessa fonte di leggerezza che rappresenta per me.
    JF: Sto cercando di condividere con i lettori il mio amore per il Giappone. Ho sempre adorato questo paese, fin da quando ero bambino, non chiedermi perché. E anche avendo molti progetti altrove, se dessi ascolto al mio istinto, scriverei solo storie che si svolgono in Giappone…

    Oggi più che mai c’è grande attenzione ai messaggi di cui si fa veicolo l’industria dell’intrattenimento, specie nel campo della parità di genere e della lotta al razzismo e all’omofobia. Un’ambientazione storica giocoforza mette in scena eventi e modi di vivere oggi discutibili o inaccettabili: come si conciliano queste due situazioni?
    C: Discutibile e inaccettabile per me sono due parole che utilizziamo per ciò che non capiamo o che temiamo. Abbiamo l’insana tendenza a stigmatizzare tutto, comprese le culture lontane. Non ho nulla contro la parità e l’uguaglianza. E considero il rispetto dei costumi altrui come parte stessa dell’uguaglianza. Se un orientale dovesse guardare al mondo occidentale, magari storcerebbe il naso, e magari no. Dipende da quanto sia forte la volontà del singolo nell’integrarsi a qualcosa di più grande.
    Da parte mia, ogni volta che viaggio in paesi lontani e con una cultura diversa dalla mia, la volontà più grande è quella di rispettare le loro abitudini, e di arricchirmi di ogni diversità.
    JF: Personalmente, non penso che si possano leggere vecchi libri con occhiali del 2020. Sarebbe una cattiva idea!

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    Che ruolo hanno l’arte e l’intrattenimento nella società di oggi, che messaggio possono o devono portare, quanta libertà ha o dovrebbe avere un’artista?
    C: L’arte è quel qualcosa di cui tutti usufruiscono senza neanche rendersene più conto. Certamente è sottovalutata, a volte relegata a un ruolo minore rispetto al cinema o alla musica. Ma la verità è che senza l’arte vivremmo in un mondo bianco e nero. E almeno in questo frangente, posso dire che preferisco i colori.
    JF: La mia ambizione è quella d’intrattenere il lettore. Non faccio documentari, ma fiction. Se qualcuno torna a casa dopo una dura giornata di lavoro e si rilassa leggendo una delle mie storie, la mia missione è compiuta.

    immagini per l'intervista - lo spazio bianco (5)Eden Killer, Wester Walley, Samurai: lavorate ormai da diversi anni assieme, cambiando nel tempo ambientazioni e generi: qual è il segreto di questo sodalizio, cosa trovare l’uno nell’altra che riesce a integrarsi così bene?
    C: Il segreto, dici? Per me una fortissima stima reciproca. E la capacità di aiutarci l’un l’altra.
    JF: Sì, è così anche per me. Penso che la complicità che c’è tra di noi sia la base di tutto.

    Quanto è cambiato il vostro rapporto, il modo di confrontarvi e di lavorare, nel tempo?
    C: Moltissimo. All’inizio non parlavo una sola parola di francese, il che limitava il nostro capirci già come persone prima ancora che come professionisti. Ricordo che all’inizio Jean-François cercava di mettermi a mio agio facendomi ridere con un sacco di battute, che io non capivo e prendevo malissimo (sì, sono molto suscettibile). Poi col tempo, con gli anni di lavoro insieme, è nata dapprima la stima, poi l’amicizia, e infine una sorta di fratellanza, per cui mi è impossibile disegnare senza i suoi consigli. Jean-Francois è un grande professionista, con molti più anni di esperienza di me: ha un occhio di falco per gli errori di disegno, e lavorare con lui è come trovarsi continuamente sui banchi di scuola.
    JF: Non so se sia stato il lavorare con Cristina per così tanto tempo, ma è vero che negli anni ho cambiato il modo in cui scrivo. Quando ero più giovane, quando iniziavo una storia, non sapevo sempre dove stavo andando a parare. Mi piaceva lasciare spazio all’immaginazione, all’improvvisazione …
    Oggi lascio sempre molto spazio all’immaginazione, certo, ma lavoro scrivendo un album mesi prima di darlo al disegnatore, per avere il tempo di rileggere, modificare, cercare un nuovo aneddoto, un punto di partenza. Una volta trovato questo punto, ci ricamo tutt’attorno, costruisco la mia storia in pace, senza essere costretto a perdere tempo. Avrò quindi lasciato alla storia il tempo di “riposare”, prima di rimettermi al lavoro per rielaborarla un’ultima volta… E per fornire una sceneggiatura completa di 46 pagine “chiavi in mano”. Ormai non potrei più tornare al mio vecchio metodo di scrittura.

    Cristina, hai mai avvertito come un limite lavorare tanto con lo stesso autore? Non credi che potrebbe essere arricchente il confronto con altri sceneggiatori?
    C: No. Non lo trovo affatto limitante. Me l’hanno chiesto e ancora me lo chiedono spesso.
    Per me il limite non è rappresentato dal numero di persone con cui si collabora, ma piuttosto dalla loro mentalità. Avendo la fortuna di lavorare con qualcuno che ha lo stesso obiettivo, la stessa testardaggine, e lo stesso desiderio di migliorarsi nel tempo, no, non mi sento in nessun modo defraudata di alcuna ricchezza. Semmai il contrario. Jean-Francois è quel tipo di sceneggiatore che si rimette in gioco, sempre. Non impone mai la sua sceneggiatura come qualcosa di definitivo, bensì come un processo in piena evoluzione. Posso sempre esprimere un parere, a volte valutare modifiche insieme, così come lui può guardare una tavola disegnata, dirmi tranquillamente che non funziona per poi rielaborare insieme anche un’intera sequenza. Siamo una squadra affiatata, se non si è capito.
    In ogni caso ho potuto collaborare anche con altri sceneggiatori. Certamente l’esperienza mi ha arricchito dal punto di vista professionale, ma dal punto di vista personale mi è sempre mancata quell’intesa costruita negli anni con Jean-François.

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    Per Cristina: credo che ogni artista abbia in sé una voglia di ricerca artistica, di evoluzione: come coniughi questo con la necessità di restare fedele allo stile e all’atmosfera della serie?
    C: Devo dire che l’ambientazione storica e lo stile della serie non mi impediscono in alcun modo di dedicarmi allo studio delle inquadrature, dell’impaginazione, del tratto, della stilizzazione. Certo è che l’universo giapponese (per cui nutro un’immensa ammirazione) ha influito in maniera enorme sulla ricerca della fluidità del tratto. Inizialmente avevo tentato di lavorare a pennino, ma era un po’ come dipingere una geisha con un taglierino. Il mio tratto stonava. Da qui la scelta del pennello, che per me è forse il maggior simbolo di eleganza.
    La ricerca quindi continua in modo costante, senza nessuna limitazione.

    immagini per l'intervista - lo spazio bianco (6)Cristina, hai mai pensato di realizzare un’opera interamente tua, testi e disegni?
    C: Esiste qualcuno che non l’abbia mai pensato? Personalmente sì, io ci ho pensato, ma non me ne sento all’altezza. La mia testa è un’accozzaglia di idee sparse e piuttosto caotiche, che difficilmente riuscirei a riunire in una sola storia. E poi amo troppo disegnare, non me ne stanco mai. E l’idea di non farlo per due o tre giorni, anche solo il tempo di buttare giù un’idea scritta, mi angoscia oltremodo. Va da sé che per ora proprio non considero la cosa.
    Peraltro sono un’appassionata lettrice, e leggere le sceneggiature di chi sa scrivere molto meglio di me, è sempre come divorare un buon thriller in qualche ora. Non ha prezzo.

    Per Cristina: che effetto fa essere una “matita in fuga”, più conosciuta all’estero che in Italia?
    C: Beh, è strano. Da piccola mi sarebbe piaciuto essere conosciuta anche in Italia, più che altro perché i miei genitori potessero sentirsi fieri di me. Poi mi sono accorta che non ce n’era nessun bisogno. Che anche se ero uscita dall’Italia, i miei affetti non venivano meno. Quindi ho tirato un bel sospiro di sollievo e mi sono dedicata con molto piacere al mercato francese. In dedica ho sempre trovato lettori appassionati e rispettosi del mio lavoro.
    E questo è tutto quello che mi serve per lavorare di buona lena.

    I social network, croce e delizia: come gestite il rapporto con i lettori in rete, quanto tempo vi occupa e quanto lo ritenete necessario?
    C e JF: Siamo degli orsi in letargo, da questo punto di vista. Lo zenit del marketing. E si vede…
    A volte vorremmo fare di più, rispondere a più interviste, avere lo slancio per pubblicare più work in progress. Ci proviamo pure, qualche volta. Da questo punto di vista sì, penso che dovremmo darci più da fare, ma tanto siamo precisi sui planning di lavoro, tanto siamo caotici nella gestione dei social.
    Sappiamo che sarebbe utile, certo. Al giorno d’oggi avere un buon seguito sui social è importante.
    Cercheremo quindi di migliorare, da questo punto di vista! Promesso!

    Intervista realizzata via mail a giugno 2020.
    Ringraziamo Cristina Mormile per la traduzione.

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    JEAN-FRANCOIS DI GIORGIO

    foto JF per la biografiaNato nel 1961 a Besançon, e con un’infanzia senza storia. Di lui possiamo dire che va al liceo, per iniziare lunghi studi… di 6 mesi, e che crea una fanzine di un’eccezionale longevità (2 numeri)!
    Armato di questi due prestigiosi riconoscimenti giornalistici, Jean-François Di Giorgio tenta una timida svolta entrando nel mondo del fumetto. Purtroppo nessuno lo sta aspettando, e per vivere è costretto a fare diversi lavori. Nel 1985 le edizioni Michel Deligne pubblicano il suo primo album Les soleils de Faience. Un anno dopo, Jean-François fa un incontro decisivo, quello di Griffo. Insieme, creano la serie Munro  per le Edizioni Dupuis.
    Jean-François decide quindi di “salire” a Bruxelles. Da quel momento in poi, inizia la sua vera carriera di sceneggiatore. Successivamente, per le Lombard, scrive Les pays perdus, Les fous de Monk e la serie Shane. Per Casterman, la serie Bouchon le petit cochon. Per Alpen, la serie Sam Griffith. Per Nucléa, la serie Mygala (per i disegni di Prédéric Genet) e Altuna la Sanglante. Jean-François continua la serie di Mygala presso Soleil e crea una nuova grande serie, Samurai.

    CRISTINA MORMILE

    foto Cris per la biografiaNata in Italia, a Lodi, il 9 maggio 1983. Il disegno l’ha accompagnata fin da piccola, diventando presto il suo modo principale per esprimere sentimenti. Questa passione è cresciuta guardando cartoni animati alla TV e leggendo fumetti. Ma non per questo ha mai creduto di poter diventare un fumettista… Ha studiato al Liceo artistico di Lodi e ha scoperto solo a 17 anni l’esistenza della Scuola del Fumetto di Milano: a quel punto, il suo semplice amore per i fumetti è diventato una scelta di vita.
    Nel 2006, ha firmato con Soleil il suo primo contratto per Eden Killer, scritto da Jean-François Di Giorgio.
    E da quel giorno Cristina ha realizzato con Jean-François Journal d’Ambre, Western Valley, Samurai (a partire dal volume 10) e Samurai Legendes. L’universo Samurai occupa ogni sua giornata.
    Parallelamente, Cristina ha anche disegnato per il mercato italiano, con una partecipazione a un Dylan Dog Color Fest, una collaborazione con Disney e alcuni lavori per studi pubblicitari vari. Da qualche anno ha creato con Jean-François un piccolo studio in Spagna, nell’arcipelago delle Isole Canarie, a Tenerife, e continuano a lavorare come matti!

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    Potete seguire il lavoro della serie principale sulla pagina ufficiale di Samurai www.facebook.com/Samurai-la-BD-287795517916393 e sul profilo di Cristina Mormile: www.facebook.com/profile.php?id=100012805174706, e ancora su Instagram sia sulla pagina di Samurai www.instagram.com/samurai_la_bd che sul profilo di Cristina www.instagram.com/mormile_cristina/?hl=fr.

    Cristina Mormile: samurai e demoni

    Cristina Mormile immagina “Lo Spazio Bianco”

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