Il progetto del Cavaliere Oscuro di Frank Miller si arricchisce di un nuovo capitolo, il terzo, nella lunga saga iniziata con Il ritorno del Cavaliere Oscuro (1986, DK1), uno dei fumetti più influenti nel decennio successivo, almeno per quel che riguarda il genere supereroistico.
Dopo gli attriti con la dirigenza DC Comics a causa di Holy terror, in origine pensata come una storia su Batman, The master race (DK3) sancisce la ricucitura di quei rapporti, sebbene la decisione di affiancare a Miller lo sceneggiatore Brian Azzarello e il disegnatore Andy Kubert possa essere non solo dettata dall’esigenza di aiutare un Miller sempre più fisicamente prostrato1, ma anche dall’intenzione da parte dell’editore di garantirsi una storia il meno radicale possibile. Il progetto vede poi il riavvicinamento di Miller al suo storico collaboratore Klaus Janson, che inchiostra sia la storia principale, sia quella d’appendice, disegnata dallo stesso Miller, che nella versione cartacea dovrebbe essere un vero e proprio albo separato2.
La poetica del supereroe
Nonostante sia la prosecuzione di Batman: Il Cavaliere Oscuro colpisce ancora (DK2), DK3 mostra delle differenze abbastanza evidenti rispetto al secondo capitolo della saga, in un tentativo di ripercorrere la strada tracciata in DK1.
A livello di struttura estetica, il primo numero di The master race propone una griglia ordinata, dalla facile leggibilità, molto meno densa rispetto al Ritorno, ma molto più classica rispetto al Cavaliere Oscuro colpisce ancora, senza rinunciare alle illustrazioni d’effetto a tutta pagina. Lo stile di Kubert, molto più elegante e dinamico rispetto a quello dell’ultimo Miller, che si poggia soprattutto sull’effetto delle inquadrature, si fonde bene con l’inchiostrazione di Janson, il cui stile emerge in alcuni dettagli marginali, in particolare su volti e mani dei personaggi di contorno o, con grande efficacia, in alcuni primi piani del commissario Yindel.
La differenza grafica più importante rispetto a DK2 è, però, soprattutto nella colorazione di Brad Anderson, molto più realistica rispetto a quella di DK2. L’aggiunta di studiati effetti di luce permette, poi, di esaltare l’effetto narrativo delle scene chiave, mentre l’ambientazione proposta da Kubert, in una sorta di chiusura del cerchio, richiama alla memoria la Gotham di Tim Burton, che a sua volta aveva tratto ispirazione per il suo Batman proprio da quello tratteggiato da Miller con Il ritorno del Cavaliere Oscuro e Batman: Anno Uno.
La stessa storia proposta da Miller e Azzarello si discosta dall’ambientazione futuristica e supereroistica di DK2 per una più urbana3, cui affiancare quella selvaggia dell’Isola Paradiso di Wonder Woman o quella desolata della Fortezza della Solitudine di Superman. A parte questo lodevole tentativo di riprendere i punti di forza di DK1, The master race ripropone di fatto gli stessi schemi e le stesse idee che hanno reso famoso Frank Miller: la cacofonia dei media, la fuga del vigilante dalla legge, la poetica del supereroe come unico baluardo possibile contro il male, il tutto raccontato con uno stile asciutto e veloce.
A questo si aggiungono poi le frecciate a politica e polizia, in un tentativo di recuperare la credibilità perduta con le critiche al movimento di protesta pacifica di Occupy Wall Street grazie alla scena iniziale in cui Batman salva un ragazzo afroamericano dai poliziotti che, pistole spianate, si apprestano a sparagli addosso.
Piccolo è meglio
Con la medesima impostazione grafica si propone la storia d’appendice che si occupa di Ray Palmer, Atomo. I disegni sono accreditati a Frank Miller, inchiostrato strato dal fido Klaus Janson, sebbene in questo caso, rispetto alla storia principale, lo stile di quest’ultimo emerge in quasi tutte le vignette a parte alcuni primi piani di Atomo: probabilmente le non perfette condizioni di salute di Miller hanno consigliato a quest’ultimo di affidarsi quasi completamente alle abilità grafiche del fumettista tedesco. In questo modo, sebbene il laboratorio di quest’ultimo venga mostrato spoglio e asettico, la storia guadagna un maggiore dettaglio nel disegno dei personaggi rispetto al chiaroscuro tipico di Miller.
L’inserimento del racconto breve (12 pagine) in appendice alla storia principale risponde all’esigenza, comune all’autore e all’editore, di esplorare quanto più possibile l’universo narrativo del Dark Knight. Anche in questo caso l’obiettivo viene centrato solo superficialmente: nonostante la storia con Atomo e Lana El recuperi una delle sottotrame di The master race, quella dedicata alla città in bottiglia di Kandor, il suo scopo principale è quello di descrivere per l’ennesima volta la condizione che secondo Miller è congeniale a Batman, citato ma non mostrato in questa seconda storia: un eroe non solo solitario, ma isolato e incompreso.
Nel complesso The master race è un’opera che, per quanto ben scritta e, almeno per la trama principale, ben disegnata, mostra i limiti di un’interpretazione del ruolo del supereroe che molti autori stanno cercando di abbandonare a causa delle implicazioni autarchiche. Di fatto il nuovo fumetto batmaniano di Frank Miller è rivolto ai suoi fedeli lettori e a coloro che, per desiderio di completezza, vogliono leggere il progetto Dark Knight concluso.
Abbiamo parlato di:
Dark Knight III – The Master Race #1
Frank Miller, Brian Azzarello, Andy Kubert, Klaus Janson
DC Comics, novembre 2015
54 pagine, colore, $ 5.99
Edizione digitale su comiXology
Molti lettori, confrontando le foto di Frank Miller dal 2012 in poi, suppongono che il fumettista sia affetto da una qualche grave malattia, che però non è mai stata confermata dall’autore ↩
Questo articolo si basa sull’edizione digitale del primo numero di DK3, dove le due storie sono abbinate in un unico file ↩
Come lo stesso Miller afferma in un’intervista a Newsarama la scelta dell’ambientazione nasce da una proposta di Azzarello, comunque approvata da Miller che pensava a DK2 come a una storia globale, vedendo il mondo all’epoca sulla soglia di una nuova guerra fredda ↩