Pantera Nera ha 35 anni

Ho sempre avuto un rapporto complicato con i supereroi.

Non perché non li ami, non perché mi senta immune al fascino del mirabolante, no. I fumetti di supereroi li ho sempre trovati mostruosamente difficili, questa è la verità.

Ero un bambino, e frequentavo l’edicola con una cadenza troppo personale perché potesse essere sincronizzata con quella editoriale: semplicemente, compravo fumetti quando avevo i soldi. Stringevo nel pugno un paio di banconote arrotolate, mi recavo spedito verso quella casupola di carta e vetro, e sceglievo. Mi prendevo pochi istanti, perché avevo sempre l’impressione che l’edicolante mi guardasse con sospetto, ma erano sufficienti perché sbocciasse un feeling con le copertine di casa Marvel. Spider-Man, Wolverine, soprattutto Fantastici Quattro. Compravo praticamente a caso.

Già nel tragitto verso casa – camminatore per vocazione – cominciavo a leggere, ma facevo quasi sempre una fatica tremenda. Capitavo perlopiù nel mezzo di saghe già iniziate da qualche uscita, piene di note, di crossover, riferimenti che per ovvie ragioni non potevo comprendere. Avevo la chiara impressione di essere davanti a un mondo sconfinato e bellissimo, accompagnata all’amara consapevolezza che quanto di misterioso avevo dinanzi era in qualche modo destinato a restare irrisolto.

È facile comprendere come mai abbia desistito tanto in fretta con certa narrazione a fumetti, e abbia optato rapidamente per le appaganti storie autoconclusive che incontravo in casa Bonelli.

I più romantici tra quanti leggono queste righe però, hanno già intuito cosa sto per raccontare: un salto di oltre venticinque anni.

Leggere il Black Panther di Don McGregor oggi, a un paio di giorni dal mio trentacinquesimo compleanno, è molto più di una fortuna. Ritengo che La Rabbia della Pantera Nera  – il prezioso volume pubblicato da Panini Comics nella collana Marvel History – abbia rappresentato per me il principio di un lungo percorso di recupero, un risarcimento doveroso nei confronti del mio immaginario di lettore, un tuffo avido e istintivo in mondi troppo ricchi perché poche chiacchiere riescano ad esaurirne la suggestione.

Il percorso che mi porta a parlare di questo volume è evidentemente molto meno repentino di quel che possa sembrare dalla sintesi di cui sopra. Si potrebbe dire che Pantera Nera sia piuttosto il punto di approdo legato ad una complessa serie di motivazioni e necessità che per non annoiare nessuno eviterò di raccontare. Con buona sintesi sento però di poter già affermare qualcosa di importante. Questa lettura rappresenta un punto fermo nel mio percorso di lettore, probabilmente perfino un punto di non ritorno nella formazione di un gusto che – ogni lettore lo sa – non smette mai di evolvere.

Il primo punto di contatto tra me e l’eroe di McGregor è stato certamente la fama che precede le sue storie. Il Pantera Nera raccontato qui non è un eroe qualsiasi. T’Challa – l’uomo sotto le sembianze del felino – incarna un carattere innovativo, pioneristico e rivoluzionario che dagli Anni Settanta a oggi non ha ancora esaurito il suo fascino.

Lo sceneggiatore di Providence – la cittadina del Rhode Island che diede i natali a H.P. Lovecraft, altro gigante della narrazione fantastica – non ha mai nascosto di avere avuto sin dal principio intenzioni più che ambiziose sulle saghe del Re del Wakanda. Un eroe di colore, il leader politico di un popolo, soprattutto un uomo solo nell’arduo compito di fronteggiare le proprie responsabilità di sovrano.

Ne La Rabbia della Pantera, prima delle due saghe sviluppate sotto la direzione di quest’autore, T’Challa fa il suo ritorno dall’America per riabbracciare la sua terra, il Wakanda, nazione immaginaria del Nord Africa partorita dalla fantasia straripante di Stan Lee e Jack Kirby. Una terra isolata, in cui i caratteri dell’Africa più selvaggia si fondono con trovate fantascientifiche mirabolanti: un giacimento segreto di vibranio, metallo immaginario dal potenziale straordinario, rende la Nazione di Pantera Nera tra le più avanzate del Globo da un punto di vista tecnologico.

La forza narrativa sprigionata dalla fusione dell’elemento avventuroso con i contributi più vicini alla science fiction, è facilmente intuibile. Immaginate poi cosa possa accadere nel momento in cui il bacino di idee appena descritto dovesse terminare nelle mani di un narratore la cui visionarietà si declina in modo straordinariamente disinvolto in temi di natura più spiccatamente politica e sociale. Ne La rabbia della Pantera T’Challa dovrà sedare il Colpo di Stato tentato da Erik Killmonger, irriducibile attentatore alla stabilità del Regno.

Questa serie di episodi ha semplicemente dell’incredibile: non solo per la quantità di temi che riesce  a tessere insieme in una narrazione di complessità stupefacente ancora oggi, ma anche per l’incontenibile varietà di luoghi tipici della letteratura fantastica. Non riesco nemmeno ad elencare con ordine l’insieme di suggestioni e ricordi da cui sono stato investito mentre leggevo: dalle storie di esplorazione fino ai classici dell’horror, con un accento indimenticabile per il riferimento – lovecraftiano, appunto – alle misteriose divinità sepolte nel patrimonio mitologico del popolo del Wakanda.

Il secondo ciclo raccolto nel volume Panini è La Pantera contro il Klan, ambientata nel Sud degli Stati Uniti segnati dalla piaga del razzismo. Qui McGregor presenta Pantera Nera alle prese con uno scenario incredibilmente differente, inserendolo addirittura nell’intimo contesto della famiglia di Monica, la donna di cui è innamorato e straordinario personaggio femminile anche nel Wakanda, alle prese col tentativo di essere accettata dal popolo di T’Challa come compagna del suo leader. Purtroppo questa seconda serie di episodi non sarà conclusa da McGregor, che dovrà cedere il timone al grande Jack Kirby.

A guardarla oggi, questa Pantera contro il Ku Klux Klan, è facile intuire quale contributo straordinario abbia fornito per sdoganare nel mondo dei supereroi temi fino ad allora appannaggio del solo fumetto underground.

Lo scopo di queste poche righe non è però quello di sezionare nel dettaglio l’intricato dedalo di spunti, trovate, sprazzi di puro genio personale raccolti nelle storie di Don McGregor. Spero piuttosto di essere riuscito a fornire un’idea pure vaga di cosa queste storie sappiano schiudere all’occhio interiore del lettore.

La verità è che Pantera Nera è un personaggio grandioso anche e soprattutto nelle sue fragilità, solitudini, incertezze. Pantera Nera come ogni eroe sa soffrire, sopportare e infine capovolgere. Ma la voragine di sofferenza presentata dall’autore nei momenti di più atroce difficoltà per T’Challa, è uno specchio in cui il lettore ventenne, trentenne o quarantenne di oggi, può scorgere in modo vivido ed efficace l’ansia del nostro tempo: decidere, e farlo in fretta.

Perché consiglio a chiunque ami il fumetto di leggere questo Pantera Nera?

Per i suoi temi? Certamente. Per il valore artistico delle tavole di Graham? Sicuro. Ma è solo la punta dell’iceberg.

Ciò in cui davvero giganteggia quest’opera è che in ogni livello di lettura, in ogni dettaglio, in ogni piccola sotto-trama la fantasia irrompe nella realtà trasfigurandola senza snaturarla. Un fumetto capace di disintegrare qualsiasi pregiudizio sul presunto infantilismo dei supereroi, una narrazione labirintica eppure coerente, uno sforzo eccezionale di sintesi tra i temi più complessi ma soprattutto la capacità di mostrare tutto ciò senza alcuna ansia da prestazione, con il primato più importante per ogni lettore: il gusto per le belle storie.

Per questo, oggi più che mai, Pantera Nera ha 35 anni. E io con lui.