CAPITOLO 4, ovvero, Dove si confronta il graphic novel “The end of the f***ing world” di Charles Forsman con il suo adattamento televisivo
NOTA BENE: IL SEGUENTE TESTO PARLA IN DETTAGLIO DEL FUMETTO E DELLA SERIE TELEVISIVA THE END OF THE F***ING WORLD. SE VOLETE LEGGERE IL LIBRO E/O GUARDARE IL TELEFILM, TENETE PRESENTE CHE QUESTO ARTICOLO CONTIENE NUMEROSI SPOILER.
La distribuzione a livello mondiale della miniserie televisiva The end of the f***ing world da parte di Netflix, dopo il passaggio televisivo sulla britannica Channel 4 nell’ottobre dell’anno scorso, fornisce un’ottima occasione per ragionare sul tipo di approccio e sulle modalità di adattamento di un’opera da un medium a un altro.
The end of the f***ing word, o TEOTFW, come era stato originariamente intitolato, è un fumetto di Charles Forsman, uscito originariamente come una serie di albi fotocopiati di 8 pagine spediti ai sostenitori del Patreon dell’autore. Nel 2013 la storia è stata raccolta in volume da Fantagraphics Books, l’editore statunitense che di questo stesso autore aveva pubblicato in precedenza Celebrated summer e che, più recentemente, con un’operazione analoga a quella di TEOTFW, ha fatto uscire il libro I am not ok with this. Lo scorso anno questo graphic novel è arrivato anche in Italia grazie a 001 Edizioni, mantenendo inalterato il titolo originale. La storia ha riscosso l’interesse di Channel 4 e Netflix che l’hanno adattato in una miniserie televisiva, spostando però l’ambientazione dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna.
A parte “Revenger”, una serie dedicata a una donna che gira gli Stati Uniti vendicando con estrema violenza chiunque sia perseguitato, e “Slasher“, le opere di questo autore trentenne parlano di adolescenti e della loro difficoltà a rapportarsi con l’ambiente in cui si trovano inseriti. Questo libro non si discosta dalla tematica a lui cara: TEOTFW racconta infatti la storia di James e Alyssa, due adolescenti che provano una forte inquietudine nei confronti della società che li circonda, si conoscono e decidono impulsivamente di scappare di casa. Questa storia on the road, prima dell’inevitabile finale, è costellata da vari episodi (come l’omicidio di un serial killer, incontri con personaggi bizzarri e la ricerca del padre della ragazza) e il territorio, piuttosto classico, è quello analogo a film come Sugarland Express di Steven Spielberg e La rabbia giovane di Terence Malick, per l’ingenuità e il candore che traspare dalla coppia protagonista, più che a opere come Natural born killers – Assassini nati di Oliver Stone. C’è una incomunicabilità che crea un apparente torpore emotivo nei personaggi, che non viene scosso apparentemente nemmeno dalla violenza psicologica e fisica a cui vengono sottoposti o a cui assistono. La storia, raccontata con un apparente distacco e una freddezza che può far venire in mente la glacialità delle opere autobiografiche di Chester Brown Non mi sei mai piaciuto e Il playboy, grazie a una struttura costruita su brevi situazioni, vibra in realtà del muto grido di dolore lanciato dai protagonisti. Prima di arrivare alla conclusione, il lettore condividerà la disperazione dell’odissea dei due giovani, soprattutto nel climax degli ultimi due capitoli. Tutto questo è realizzato in una forma “fumetto” che, apparentemente, sembra non potersi adattare a un altro medium. Però, come la traduzione deve “tradire” il testo originale per rendere in maniera coerente la storia e rimanere fedele al suo spirito, questo adattamento convince e soddisfa grazie all’adattamento che viene effettuato, che riesce ad adattarsi alle caratteristiche intrinseche della serialità televisiva. Gli otto episodi di una ventina di minuti ciascuno ricreano in maniera fedele la vicenda, prendendosi poche libertà. Avendo a disposizione un tempo piuttosto lungo, l’approccio generale prescelto è quello di allontanarsi dal taglio secco e sincopato del fumetto per allargare, mescolare e modificare alcuni elementi della storia, privilegiare uno sviluppo più approfondito e tridimensionale dei personaggi e delle situazioni in cui si trovano coinvolti, e avere causa ed effetto esplicitati e diretti per ogni evento rappresentato. Inoltre le parti aggiunte, rispetto al testo originale, sono decisamente poche. La variazione più macroscopica è l’inserimento di una coppia di poliziotte che permette di aggiungere una maggiore tensione generata da un’indagine per omicidio e dal conseguente inseguimento dei due ragazzi, una situazione praticamente inesistente nella fonte originale.
Il primo episodio è interessante perché, utilizzando un approccio simile a quello dei capitoli iniziali del fumetto, introduce i personaggi, delinea il loro rifiuto del mondo e li fa incontrare, utilizzando i loro due punti di vista. Si parte da James, in maniera analoga al fumetto (viene anche riproposto graficamente lo stesso elenco di animali che ha ucciso), sebbene con qualche differenza, per rendere certe situazioni meno “pesanti” (uccide un gatto con un coltello, anziché con una pietra, e infila la mano in una friggitrice invece di mutilarsela parzialmente con il lavandino tritarifiuti). In modo un po’ “facile”, probabilmente per creare una tensione maggiore nella storia, viene ritratto come uno psicopatico con tendenze omicide, sebbene le sue pulsioni di morte siano espresse in modo ingenuo. Questo cambiamento rende più evidente l’evoluzione che subisce il personaggio, ma rappresenta una situazione eccessiva e superflua che produce un’equazione scontata: il ragazzo è un disadattato, per cui sente il bisogno di uccidere. Lo sviluppo di questo approccio da parte di Jonathan Entwhistle e Charlie Covell (rispettivamente, il creatore della serie e lo sceneggiatore) probabilmente proviene dal testo di qualche didascalia, ma la situazione originale risulta più efficace nella sua essenzialità: «Qualche settimana dopo, mi venne l’idea di strangolare Alyssa. Una notte ero pronto a farlo. Invece, feci un respiro e provai di nuovo a lasciarla avvicinare». Con una sintesi perfetta, il fumetto trasmette il malessere del protagonista che potrebbe scegliere di intraprendere questa deriva distruttiva, ma invece non indulge su questo punto e usa il tentativo di entrare in contatto con qualcuno come un “rimedio” per risolvere quel suo lato oscuro. Nel telefilm questa irrazionalità viene utilizzata per qualche episodio, per trasmettere l’idea dell’incombente pericolo della ragazzina nello stare con lui, fino a quando James non ucciderà realmente qualcuno, salvandola da uno psicopatico torturatore ed esaurendo, in questo modo, la sua tendenza assassina. A fare da leit motiv di questo lungo processo è il coltello, utilizzato prima con le uccisioni degli animali, poi con le minacce ad Alyssa, infine con l’esecuzione vera e propria di un assassino.
Ad Alyssa viene dato maggiore spazio di quanto fosse presente nella storia originale, e le viene fornito un “passato” che spiega meglio il suo distacco dalla madre (risposata con un nuovo marito, che vuole molestare la figlia acquisita) e da tutto il mondo che la circonda. Geniale è la scena dove rompe il proprio cellulare perché l’amica, che si trova di fronte a lei, invece di chiederle direttamente una cosa, le manda un messaggio. È la mancanza di rapporti e comunicazione il problema maggiore, per cui il riconoscimento dell’apparente diversità di James e la conseguente attrazione che prova per lui, sono una scommessa inconscia che la ragazza fa con se stessa.
L’inizio della loro relazione ha tempi e modalità goffe. Nel desiderio (in)conscio di differenziarsi, cercano di comportarsi con “adulto distacco”, con una casualità che nasconde invece il desiderio disperato di potersi avvicinare a qualcuno, verso cui provare quel sentimento di affetto e amore che i genitori sembrano essere incapaci di fornire. Il rapporto non è semplice, e spesso i loro ruoli sono intercambiali: a volte è lei ad apparire la più matura tra i due, a volte è James. Superano tutti i passaggi di una relazione, compresa una breve separazione, in cui rischiano di perdersi definitivamente, ma la forza che trovano in loro due, quasi senza rendersene conto, è l’elemento che li aiuta a risolvere le loro eventuali differenze. Alyssa rappresenta apparentemente la forza e la decisione tra i due, ma solo perché esprime esplicitamente quello che desidera e quello che pensa. In questo, diventa una presenza più “ingombrante” rispetto al fumetto, dove il peso è più “sbilanciato” sull’apporto del ragazzo, sebbene nei momenti clou del telefilm probabilmente è James il personaggio decisivo e risolutore delle situazioni.
I genitori sono presentati in maniera completamente diversa rispetto alla versione originale: la madre di Alyssa non è praticamente presente, mentre qui subisce un doppio fallimento familiare, facendo finta di non vedere che il secondo marito desidera tradirla con la figlia minorenne; il padre di James, invece, a differenza del telefilm, dove è remissivo e scusa tutte le stranezze del figlio a causa del suicidio della moglie, è un violento a cui viene dato decisamente poco spazio. A dire il vero, entrambe le figure genitoriali vengono caratterizzate maggiormente nel telefilm perché rappresentano la mancanza di centro emotivo e affettivo e lo spazio che i due giovani cercano di (ri)creare tra loro due. I vari elementi che li riguardano, presenti in queste prime pagine del libro – a volte, anche slegati l’uno con l’altro – vengono riuniti nel telefilm per accendere, in modo deflagrante, la scintilla che porta alla fuga dei due ragazzi, mentre nel fumetto a questo evento non viene attribuito un peso particolare, ma è una delle tante cose che capitano.
Da questo momento, gli avvenimenti sono fondamentalmente gli stessi, ma quello che risulta interessante è la loro resa e la percezione temporale che ne ha lo spettatore, rispetto al lettore. Per esempio, il viaggio nella serie televisiva è molto più breve e compatto di quello che avviene nel fumetto, in cui la natura frammentaria della narrazione permette di farlo sembrare lungo, sebbene occupi poche pagine. Se nel telefilm non ci sono particolari stacchi e avviene tutto tendenzialmente in “tempo reale”, nel fumetto i continui cambi di scena e le didascalie “dettano” la lunghezza del tempo, al di là di quello che percepisce il lettore. Infatti, quando si introducono nella casa “abbandonata”, nella versione disegnata si stabiliscono lì dentro per una settimana, mentre nel telefilm ci stanno molto meno. Nel fumetto i due hanno paura ad avvicinarsi l’uno all’altra, e possiamo leggere i “passi falsi” commessi che danno la corretta idea delle difficoltà ad aprirsi l’uno con l’altra e di come questo processo abbia bisogno di un certo tempo. Nel telefilm, invece, nonostante siano presenti tentennamenti simili, è tutto più fluido e sembra scorrere in maniera costante e veloce.
Altro elemento che differenzia le due storie è rappresentato da come viene creata l’empatia nel lettore/spettatore con la materia. Il telefilm risulta più esplicitamente “emotivo” perché vuole descrivere in maniera chiara e precisa l’evoluzione dei due giovani protagonisti rispetto a quanto accade nella storia disegnata: in un mondo in cui gli adulti li sospingono verso la solitudine o a cercare di uniformarsi ai loro fallimenti e/o convenzioni, i due ragazzi riescono a trovare in loro una forza e (probabilmente) un amore con un’intensità di cui non erano coscienti. Ogni evento che accade sembra (potenzialmente) volerli schiacciare – l’incontro con il molestatore, il serial killer di giovani donne, la loro breve separazione, il padre allo sbando di Alyssa – ma riescono sempre, a volte loro malgrado, a salvarsi e, pur senza rendersene conto, a trovare e ritagliarsi un proprio spazio insieme.
L’altro punto di divergenza è la conclusione. Se il fumetto, dopo la risoluzione finale, ha un epilogo lancinante, che rivela quanto James fosse importante per Alyssa, sebbene nemmeno lei stessa se ne fosse realmente resa conto, la serie tv decide di fermarsi prima, concludendosi con un colpo di pistola su sfondo nero. L’interruzione improvvisa non risulta completamente convincente perché è convenzionale e apre la porta a un possibile seguito, che sembra sia effettivamente stato preso in considerazione, visto il buon risultato della miniserie. Jonathan Entwhistle si è dimostrato interessato a continuare a esplorare quel mondo in una possibile seconda stagione, però solo se troverà la chiave giusta. Si è tenuto volutamente generico, senza nominare i personaggi che potrebbero essere coinvolti, dato che non abbiamo idea di che fine abbiano fatto: ci sarà solo Alyssa, sarà presente anche James – che magari non è morto -, oppure il fulcro saranno altri personaggi toccati dal viaggio dei due giovani, come il ragazzino della stazione di benzina che rapinano? Una decisione questa che, sebbene positiva per la dimostrazione del valore dell’opera in entrambe le sue incarnazioni, risulta inutile per l’abitudine dilagante di sfruttare il più possibile, una volta che si trova una buona idea, i possibili tipi di seguiti e derivazioni, prescindendo da quella che poteva essere l’idea originale. Non tutto è concepito come una serie e non tutto può continuare in maniera indefinita. Questa tentazione che colpisce ogni genere di prodotto è un indicatore della carenza di idee, dove non è accettabile la possibilità che una storia di successo possa avere un inizio e una fine, senza bisogno di dover/voler seguire i protagonisti in qualsiasi meandro della loro vita di finzione.
Nonostante le variazioni, nella maggior parte dei casi positive, la visione degli otto episodi è un’esperienza interessante sia per la qualità della realizzazione che per l’approccio, tendenzialmente intelligente, nel trasportare in un altro mezzo espressivo quella che in un primo momento poteva sembrare una storia fruibile solo a fumetti. La scelta vincente delle persone coinvolte è stata quella, in ultima analisi, di aver preso il cuore pulsante del racconto (i due ragazzi) e aver adattato i loro sentimenti e le loro vicende utilizzando le caratteristiche specifiche e i punti di forza offerti da un altro mezzo espressivo, in questo caso la televisione. Un approccio non scontato, che potrebbe fornire qualche spunto originale anche ad altre future serie che si troveranno a maneggiare materiali provenienti da altre fonti.