Death Shield: intervista al disegnatore Giorgio Battisti

Death Shield: intervista al disegnatore Giorgio Battisti

Abbiamo intervistato il fumettista Giorgio Battisti, autore dei disegni di “Death Shield” edito da Shockdom e sceneggiato da Luca Molinaro. Abbiamo parlato con lui degli esordi, delle sue influenze fumettistiche e del suo lavoro come giovane autore italiano.

Giorgio Battisti (classe 1986) è un disegnatore e illustratore italiano, concept artist e insegnante di fumetto. Specializzato in disegno manga presso la Yoyogi Animation Gakuin di Tokyo, muove i suoi primi passi nell’editoria pubblicando le sue storie su riviste online. Ha collaborato nel 2017 al primo volume di Chrono Gear per UpperComics, mentre per Shockdom cura i disegni del fumetto Death Shield, su testi di Luca Molinaro.

Ciao Giorgio e benvenuto su Lo Spazio Bianco.
Prima domanda di presentazione:  Quali sono i tuoi natali da autore e quali i tuoi esordi nel mondo dell’editoria?
Dopo il mio percorso di studi al liceo artistico mi sono subito buttato nella produzione manga su fanzine online: ai miei tempi c’erano Mangaijin e Doraetos Manga, e lì ho iniziato a pubblicare i prototipi delle mie storie. Successivamente ho fatto un master di fumetto in Giappone e in seguito sono tornato in quel Paese per un’esperienza di sei mesi per studiare la lingua. Dopo di che ho iniziato quasi subito a pubblicare i primi fumetti e a insegnare disegno, con alle spalle già anni di studi di stili di disegno (manga, Disney, fumetto americano).
Da quasi due anni mi sono poi buttato nell’avventura che è diventata Death Shield grazie a Shockdom.

Quali sono state le influenze fumettistiche che più hanno segnato il tuo stile?
Il mio percorso artistico è stato inizialmente influenzato dalla Disney e dai fumetti di Topolino. A  nove anni ho scoperto cosa era un manga, grazie al regalo di una delle prime edizioni italiane di Sailor Moon. Da qui ho subito le influenze di diversi autori come Takahashi, le Clamp, Oh Great! con Inferno e Paradiso, Tanemura, Obata. E allo stesso tempo sono stato influenzato a livello artistico da illustratori americani, in particolare dagli animatori Disney che hanno lavorato a film come Frozen, Oceania, ecc.

Death Shield si presenta come un lavoro editoriale a due mani con Luca Molinaro. Come ti trovi a collaborare con uno sceneggiatore che coordina il tuo lavoro e come impostate complessivamente l’organizzazione lavorativa?
Quella di Death Shield è stata la mia terza esperienza con uno sceneggiatore. Da disegnatore, lavorare con uno sceneggiatore è comodo perché  ci si può concentrare solo sulla parte grafica. Ci organizziamo dividendoci il lavoro molto semplicemente: lui scrive la storia, mi manda gli schizzi sotto forma di storyboard, quindi le tavole sono già impostate molto sinteticamente. Io poi le revisiono e le stravolgo completamente, perché cambio la regia, l’impostazione delle vignette, ne aggiungo o tolgo alcune se mi accorgo che quello che lui vorrebbe raccontare a livello visivo si può risolvere più facilmente, quindi mi occupo di tutta la parte che prevede la definizione della tavola dalla matita al retino finale, aggiustando tutto in maniera più efficace possibile.

Death Shield segue i canoni dello shonen manga, con un protagonista apparentemente ordinario che scopre di avere poteri misteriosi e intraprende un percorso di sviluppo personale. Quanto hanno influito le vostre letture nella definizione della linea narrativa d’insieme?
Death Shield, in particolare dal secondo volume in poi, prende una piega seinen, si configura come una storia più matura rispetto ai soliti shonen, perché mostra la vita del protagonista Kris all’interno del Death Shield e la sua voglia di rivalsa. Di sicuro le nostre letture hanno influito molto, soprattutto quelle di Luca, che ha subìto influssi da manga come Death Note o Bakuman di Obata, e da classici come Dragon Ball. Per il mio stile personale hanno influito gli autori cui accennavo prima.

La storia presenta fin da subito una svolta narrativa alquanto rapida, molto frenetica: si tratta di un espediente voluto?
Sì, è voluto. Abbiamo deciso di non concentrarci su eventi quotidiani e ripetitivi, come il cercare un lavoro, per approdare subito nel vivo dei fatti importanti, dell’azione. I prossimi volumi si addentreranno dinamiche e si svilupperanno in modo più graduale. Il secondo volume conclude uno degli archi narrativi della storia, quindi si vedranno degli sviluppi più importanti e decisivi.

Ultimamente si parla molto della definizione degli autori europei che si approcciano al disegno con uno stile derivato dal fumetto giapponese: c’è chi è propenso a una rigidità nella delimitazione di uno stile nel suo Paese d’origine e chi vota alla libertà d’espressione nel tratto più congeniale per l’autore. Qual è la tua opinione in proposito?
Molto spesso ciò è dettato dalla chiusura mentale di fronte alla diversità. Si sono fatti certamente dei grandi passi da quando ho cominciato io, quando ancora non si parlava di euromanga, ma c’è ancora una limitatezza nel pensiero generale. Ognuno dovrebbe esprimersi come preferisce, lo dico io che disegno in stile manga! È come se non definissimo Van Gogh impressionista solo perché disegnava anche stampe giapponesi! Il Giappone al contrario è molto più aperto alle novità, a nuovi stili, anzi sono sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo, perché il loro è un mercato saturo di prodotti quasi tutti uguali: l’importante è che siano commerciabili.

Intervista realizzata dal vivo alla fumetteria Latitudine 42 di Aprilia il 13 luglio 2019

 

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