Cacciatori nelle tenebreEro quasi tentato di non acquistare questo volume, un po’ intimorito da disegni all’apparenza non proprio all’altezza. L’istinto avrebbe dovuto consigliarmi altrimenti, ma invece mi sono fatto convincere, per cominciare, dal nome di Gianrico Carofiglio in copertina, qui alla sua prima prova fumettistica, autore che ho avuto modo di apprezzare per i romanzi dell’avvocato Guerrieri. In secondo luogo credo di masticare abbastanza di comics per convenire che non sempre disegni bruttini generano un brutto fumetto e che sia sempre meglio giudicare un libro dopo averlo letto, senza fermarsi alla copertina.
Questa la doverosa premessa, chiusa la quale, senza troppi giri di parole, devo dire che ho rimpianto i quindici euro del prezzo di copertina. E spiego perché.

I disegni non solo sono poco attraenti, ma sono quasi imbarazzanti, sia nelle anatomie incerte, talmente rigide da sembrare irreali, quanto nell’impostazione della tavola, nella cura degli scenari, nelle inchiostrazioni. Non basta al disegnatore, Francesco Carofiglio, fratello di Gianrico, anch’esso alla sua prima esperienza nel campo, dichiarare nella postfazione che “il tratto (…) è una scelta precisa, si sporca, lavora sull’imperfezione (…)”. Dietro la legittima scelta stilistica di vignette appositamente non del tutto finite, tanto da vedere qui e là, sotto lo strato di inchiostro e dei retini, le vie di fuga prospettiche o gli schizzi per lo studio di un viso, si nasconde, ahimé, una non adeguata padronanza della materia. Di più, molti characters sono grossolanamente stereotipati nelle loro sembianze, come spesso accade all’interno della narrativa seriale e nei fumetti della peggior specie.
Colpa anche del soggetto e della sceneggiatura, che già dalle prime pagine presenta i quattro componenti della fantomatica squadra di polizia, detta “sezione fantasma”, riassumibili in questo modo: il capo, quello più anziano, più tormentato e saggio; il cattivo, che conosce bene il mondo della malavita; la belloccia di buona famiglia, intelligente ed esperta di armi e arti marziali; quello grosso, un po’ taciturno ed esperto di computer. Insomma, molti luoghi comuni del fumetto di genere concentrati in quattro personaggi. E questa non è l’unica pecca di uno script zoppicante, perché già dalle prime pagine sono stato assalito dalla noia per una narrazione telecomandata, inutilmente e pesantemente enfatica, da tematiche già viste e meglio scritte, da idee che potevano essere sfruttate diversamente.

Gianrico Carofiglio ha dimostrato in altra sede di essere un buon narratore e continuero’ a leggere i suoi libri, ma con questo fumetto ha mancato decisamente il bersaglio. Il rammarico è pensare che se avesse portato all’interno del racconto a fumetti la sua personale voce narrativa (un po’ come ha fatto Massimo Carlotto nel più riuscito Dimmi che non vuoi morire, in collaborazione con Igort) invece di snaturarsi e tentare un approccio, mal riuscito, ad un linguaggio che forse non conosce pienamente allora, probabilmente, ci troveremmo di fronte a qualcosa di più interessante.
Il sospetto è che lo scrittore abbia commesso lo sbaglio che purtroppo fanno in molti e cioé pensare che fare fumetti sia una cosa semplice e che basti saper scrivere bene per esserne capaci. Niente di più errato.
Quello che è del tutto fuori sincrono è l’approccio a un medium che ha regole, meccanismi, profondità differenti da un film, da una fiction, da un libro. Chiariamoci: non credo che scrivere comics debba essere una cosa da iniziati e non temo nessuna invasione di campo da parte di scrittori di narrativa o giornalisti o chi altri. Non è questo il problema. Anzi, penso che un’osmosi tra narrativa e fumetto, tra reportage e fumetto, tra televisione e fumetto possa portare a risultati interessanti, come del resto è già stato. Purtroppo, pero’, non è questo il caso.

Spiace fare tutte queste considerazioni, ovviamente opinabili, perché la notizia che Gianrico Carofiglio fosse in procinto di realizzare un fumetto mi aveva incuriosito e non poco.
È doveroso domandarsi il perché di questa operazione, che poteva essere condotta meglio, con una migliore supervisione e con una più oculata scelta del disegnatore. È una dura realtà, ma se è più facile mascherare una cattiva sceneggiatura, un po’ più difficile è far piacere disegni quando sono di questo livello.
Purtroppo – azzardo la risposta – è che col termine graphic novel (che vuol dire tutto e niente) si sono riempiti la bocca in troppi e a sproposito, tanto da far credere alle grosse case editrici generaliste italiane, che fino a ieri l’altro non erano nemmeno sfiorate dall’idea di pubblicare libri con vignette e balloons, di aver trovato la nuova gallina dalle uova d’oro e che basti questa denominazione per vendere quelli che non sono nient’altro che fumetti a chi i fumetti, di solito, non li legge.
Non saro’ certo io a lamentarmi che Mondadori, Rizzoli, Guanda e così via pubblichino finalmente comics. Anzi, ne sono ben contento anche perché finora è stata l’occasione per vedere in libreria tante opere che forse non avrebbero così facilmente trovato spazio, com’é capitato per la collana “24/7” della Rizzoli, nella quale è comparso questo libro e nella quale è stato pubblicato recentemente Fun House di Alison Bechdel, forse uno dei migliori libri a fumetti dell’anno.
Se è dunque lecito pensare che il termine graphic novel sia un utile veicolo per vendere i fumetti in libreria a chi difficilmente li sfoglia, cercando di spacciare per novità e “nobilitando” quelli che sono semplicemente fumetti (spesso ottimi), è solo il presunto ritorno commerciale che giustifica la scelta di proporre un libro del genere che, invece, ricalca – e male – tutto quello che sa di vecchio, di poco nobile e decisamente di poco artistico. Insomma, l’idea che dietro a questo volume si nasconda un’operazione sfacciatamente commerciale che cerchi di far cassa sfruttando il nome e il credito dello scrittore barese purtroppo non è peregrina.

Non ho il bagaglio teorico e tecnico per capire le strategie di mercato di una grossa casa editrice, quindi non saprei dire se proponendo un libro di tale fattura non si sia corso il rischio di affossare una collana che fino ad ora ha proposto ottimi autori come Gipi, Taniguchi, Sfar, Igort.
Credo, pero’, di avere qualche titolo per capirne di fumetto, non fosse altro che ne sono un lettore da più di trent’anni. E da lettore giudico Cacciatori delle tenebre un brutto fumetto, pensato male, sceneggiato male, disegnato male. Non è il caso di aggiungere se valga la pena di comprarlo o meno.

Riferimenti:
Rizzoli Editore: rizzoli.rcslibri.corriere.it
Collana 24/7: www.24sette.it

1 Commento

1 Commento

  1. alessandro cesaris

    9 Ottobre 2012 a 10:14

    Sono pienamente d’accordo con la recensione. Aggiungo che non solo Carofiglio deve aver creduto che scrivere un fumetto sia semplice, ma, peggio, deve aver creduto che i lettori sarebbero stati menti semplici capaci di apprezzare solo una narrazione piana, ritrita e banalmente moraleggiante come quella che ha arrangiato.

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