Roberto Battestini (Pescara, 1966) è autore, traduttore, curatore di mostre e insegnante. La sua carriera passa per snodi inaspettati: prima di arrivare ai suoi Catecomics, collana per educare alla fede con i fumetti, e alla vittoria del premio “Fede a strisce” con “Genesi. E la luce fu!” (EDB 2008), ha lavorato per Totem, Comix e Blue con fumetti erotici e comici.
Mi ha colpito una vignetta all’inizio di “Fratelli”, quando ti rivolgi direttamente al lettore chiarendo come non sia scritto tanto per lui, quanto per una tua esigenza personale. Se disegnarlo ha rappresentato per te un processo di auto-analisi, di catarsi, di cura, cosa significa adesso la pubblicazione, la condivisione con il pubblico?
Direi che se le tue ferite sono guarite mostri le cicatrici senza vergogna e, perché no, con orgoglio. Del resto oggi molte persone confuse si fanno cicatrici con lo scaring – in cui scelgono il come e il dove – pur di non vedere qualcosa di buono in quelle più nobili e profonde che infligge la vita. Non so se è chiaro quello che ti dico.
Forse anche perché la società oggi è basata sull’apparenza, si cerca un’identificazione comune basata sul logo (che sia di moda o impresso sulla pelle) più che per un comune sentire?
Più che di comune sentire parlerei di valori comuni. manca un riferimento forte che guidi la nostra vita. Molti ritengono che la chiesa sia portatrice di valori anacronistici. Questo non è vero. La chiesa cattolica ha sempre avuto ed ha delle parole forti per i problemi della società di oggi e la maggior parte delle realtà che offrono un’apporto sostanziale alla società: Caritas, movimenti diocesani, missionari ecc. ha una matrice cattolica.
Nonostante la natura intima di “Fratelli”, l’opera è comunque molto accessibile e di facile comprensione. Come hai mantenuto questo delicato equilibrio tra il bisogno di “buttare fuori” e la comunicazione con i lettori?
Credo di esserci riuscito grazie alla giusta distanza dagli eventi, dall’equilibrio che si crea, per un breve periodo, tra un fatto tragico e la sua drammatizzazione. Oltre ovviamente alla consapevolezza di scrivere per i miei figli e per persone che, di fronte a un lavoro a fumetti, devono essere messe in grado di capire dove vuole condurle l’autore.
Nel tuo libro non vedo traccia del “fascino del male” che caratterizza altre storie e racconti di crimini e criminali. Questo appeal della vita fuorilegge ti ha mai colpito?
Credo che il male abbia un difetto enorme, la monotonia. Tende a ripetersi con dei clichés comuni a tutto il mondo. Ci piacciono – anche a me ovviamente – le storie intrise di violenza, ma il più delle volte non lasciano nula di costruttivo, sono puro entertainment. Ma se si va a vedere oltre il male, oltre la cronaca, allora si può toccare un tema universale, capace di parlare a tutti.
Quest’opera ha avuto una gestazione lunghissima, 12 anni di rimaneggiamenti, ripensamenti, cambi di prospettiva. Come ha influito questo nell’opera finale? Ti sei ritrovato a cambiare la tua visione su certe cose dall’inizio alla fine? Come sei intervenuto in questi casi?
Il mio metodo di lavoro prevede colla, forbici e un continuo collage di vari momenti narrativi, suggestioni, sequenze. Completare il lavoro in questi casi, senza una sceneggiatura precisa, è un po’ come completare un puzzle di cui però non hai l’immagine completa. Sei tu che la intuisci di volta in volta. Il finale mi piace lasciarlo in parte all’intuizione del momento, cerco nell’attualità del mio vissuto un elemento di coesione, che chiuda il libro, lasciando vivi i vari elementi metonimici e rendendoli ricchi di senso, ancora vivi/di nel momento in cui il libro è finito.
Questo modo di costruire una storia è stata una necessità di “Fratelli” o è una prerogativa del tuo lavoro? È una scelta che predilige la spontaneità piuttosto che la struttura del racconto?
Dietro fratelli c’è un impianto narrativo solido. Tanto più che se ne potrebbe fare un romanzo e come tale era partito. Comunque ho seguito delle lezioni interessanti sulla sceneggiatura tenute da Roberto del Prà e Vincenzo Cerami, ho imparato molto ma nel caso dell’autore completo la sceneggiatura è spesso disegno in fieri. Non mi ci vedo a scrivere: “Interno notte, il personaggio…” ecc. Preferisco disegnarlo, cercando di catturare già delle emozioni. Io di solito faccio un libretto che è il come sarà e lavoro sulle pagine direttamente, poi metto in bella, sposto pagine, creo effetti. Sembra banale, ma i piatti migliori escono da un buon mix degli ingredienti.
Dal punto di vista della sceneggiatura hai preferito un approccio molto libero, invece quanto c’è di studio sul disegno? Come sono nate certe scelte grafiche, anche difficili, se vogliamo, da “tenere insieme” nella loro varietà?
L’ecletticità, o eclettismo mi caratterizza da sempre, ho una natura curiosa e sempre in ricerca di cose nuove. Mi piace osare e la sfida di fratelli è stata rompere anche l’uniformità dello stile. Chi ha molto da dire usa linguaggi diversi. Oppure è pazzo. Ma credo che “Fratelli” si legga abbastanza facilmente.
Forse è un’affermazione poco originale, ma l’ampia libertà con cui passi da un registro narrativo e/o grafico all’altro mi ha fatto pensare a Pazienza. Tu hai vissuto la stagione delle grandi riviste d’autore: che influenza ha avuto artisticamente e personalmente quella visione di fumetto?
Sono stato un lettore di quel tipo di fumetto, da Alter Alter a Orient Express passando per montagne di altre riviste. Per me sono state riviste culto, in cui ho scoperto la gioia della lettura che la scuola non mi aveva trasmesso appieno. La bellezza del linguaggio fumetto mi ha spinto ad usarlo per raccontare, perché la sua ricchezza è tale da renderla veramente un’arte a sé stante.
Il tuo modo di fare fumetto, almeno da quanto emerge con “Fratelli”, sembra fatto di molti stili differenti, un’identità definita ma allo stesso tempo composita, dove emerge l’influenza di quella stagione fumettistica per molti versi esplosiva dal punto di vista dell’inventiva e della ricerca.
Sono un ex-ragazzo degli anni ottanta e ho bevuto al calice dei Pazienza degli Scozzari e dei Liberatore. Di quegli anni ho amato e ap/preso l’uso corposo della china e la disperazione delle tavole che urlavano parole di rivolta. Il resto credo che vada reinterpretato, modulato, digerito e reso forte. La rivolta c’è sempre e deve essere alla base del pensiero, non una rivolta senza costrutto ma una rivolta che punti ad una rivoluzione concreta, che metta al centro l’uomo con le sue esigenze di senso e le sue domande esistenziali.
Nella tua attività pedagogica (come insegnante e come genitore), fai molto uso del fumetto? Come e con che risultati? È anche uno strumento per trasmettere quella voglia di leggere che, come dicevi prima, la scuola non sempre fornisce?
Conosco gente, anche di cultura e che fa lavori stimolanti, giornalisti, scrittori che hanno imparato a leggere con i fumetti. Non voglio tediarti con citazioni pedagogiche di Gardner, Dewey ed altri, ti dirò solo, scusa la banalità, che il pensiero di tutti i pedagogisti afferma che per imparare si deve godere. Se non godi non impari. Dove mancano insegnanti carismatici il piacere della lettura, magari con l’ausilio di genitori illuminati, può passare per le immagini dei fumetti, per il piacere del colore, della storia, la coincidenza, o perché no, lo spostamento semantico tra parola e immagine.
Il fumetto è un “linguaggio” che appare semplicissimo nelle sue strutture di base quanto potenzialmente ricco e complesso nelle possibili applicazioni. Secondo te serve un’educazione alla lettura per comprenderlo appieno? Impiegarlo nell’educazione scolastica può essere anche un modo per diffonderne la conoscenza?
La scuola dell’autonomia prevede un’ampia promozione di forme varie e alternative di insegnamento laddove sia necessario un rinforzo o un vero e proprio intervento atto al progresso della persona. Il fumetto è un caposaldo di questo necessaria formazione. Non sempre c’è una consapevolezza dei docenti al riguardo e talvolta, ma ripeto cose già dette da Antonio Faeti e altre persone più autorevoli di me, il fumetto viene visto con sospetto e diffidenza. Cose da bambini, insomma. Forse anche il mondo del fumetto dovrebbe avere meno complessi e far vedere con orgoglio la propria identità. Sarebbe un outing vero e proprio, ma cosa abbiamo da mostrare?
Cosa ti è rimasto dell tua esperienza su Blue? La “rinneghi”, in un certo senso?
E’ stata una fase importantissima della mia formazione di autore di fumetti, ho compreso di non essere diverso dalle persone che scelgono di fare della pornografia uno stile di vita, ma nello stesso tempo ho appreso anche che si può rischiare di fare delle scelte diverse, vedi la collana Catecomics. Lasciando Blue in un momento in cui il mio personaggio era molto seguito ho fatto delle scelte, ma non rinnego nulla. Per capire il bene bisogna passare necessariamente per errori e ripensamenti. Bisogna soffrire. E spesso, come nel mio caso, si soffre per l’orgogliosa convinzione che la vita possa essere staccata dall’arte. Se fai pornografia sei un pornografo. Se smetti è perché dai un taglio. Non c’è molto da dire. Racconto un aneddoto: tempo fa Silver, che stimo moltissimo per la sua generosità e disponibilità e che amo molto come autore di fumetti, mi disse che era un po’ arrabbiato perché la direttrice di Blue aveva tacciato di machismo la figura di Lupo Alberto. Mi disse che sarebbe stato come dire che ero un pornografo perché lavoravo su Blue. All’epoca la cosa mi lasciò interdetto e mi diede da pensare. Questo non vuol dire che Silver sia un machista, ovviamente, ma io di fatto ero un pornografo. Magari più ridanciano, ma cosa cambia?.
L’erotismo può avere valenze molto differenti, parlare d’amore quanto scivolare nella pornografia. Come ti ponevi tra questi estremi?
Con ironia, ma l’ironia alla fine stanca e bisogna andare al sodo.
Ora il tuo impegno principale sono i Catecomics, storie dalla Bibbia e storie di santi a fumetti. Perché e come sono nati?
Dopo un periodo in cui non ho disegnato fumetti limitandomi a fare illustrazioni scolastiche ho sentito l’esigenza di raccontare di nuovo e la mia esperienza era quella dell’amore di Dio. Quindi sono nati i Catecomics.
L’ermeneutica biblica è oggetto di grandi dibattito; se sia preferibile un approccio di tipo letterale alla traduzione dei testi sacri o piuttosto una traduzione libera che proceda attraverso delle parafrasi. Allo stesso modo, il passaggio a un altro linguaggio, nello specifico il fumetto, comporta un lavoro di interpretazione e reinterpretazione, anche un rischio di cambiare profondamente il senso del messaggio. Come gestisci tutto questo?
Non sono un esegeta, sono un semplice fedele. Credo nella chiesa, credo nella morte e resurrezione di Cristo. la fede è azione, il messaggio di Cristo è molto chiaro e una virgola in più o una parola interpretata diversamente non cambiano il messaggio d’amore che il figlio di Dio è venuto a portare per la redenzione del mondo. La parola di Dio è già scritta nei nostri cuori, tutto sta a cercarla.
La tua carriera è quantomeno curiosa. Passa attraverso la satira e i fumetti erotici, fino ad arrivare ai Catecomics, libri a fumetti per il catechismo. Passaggi che sembrano scelte di vita prima ancora che artistiche. Come interpreti questo tuo percorso e che professionista sei diventato?
Il fumetto è stato sempre la mia cartina tornasole della vita. I miei personaggi sono molto simili a me. Oggi ho cambiato la mia vita, ho trovato Dio, che mi ama come sono e che mi da la pace del cuore pur nelle difficoltà quotidiane. Con mia moglie vivo la meravigliosa avventura dell’apertura alla vita e ho una famiglia numerosa in cui vedo attuarsi il miracolo della donazione all’altro. I miei lavori precedenti rispecchiavano semplicemente l’inquietudine di un uomo che cercava se stesso in modo sbagliato, facendo la sua volontà e ribellandosi di fronte alla sua storia personale. Niente di particolare né di nuovo; ripeto, il male è banale. Si fa quel che si è.
Dal fumetto emerge chiaramente la tua fede. Nell’ottica di Fratelli, cos’è la fede, che ruolo ricopre nella tua vita quotidiana e ha ricoperto nell’elaborazione di questo lavoro?
Se non avessi incontrato la fede starei ancora cercando di dare un senso alla sofferenza che sta dietro la mia storia reale e oggi a fumetti. Non credo che l’avrei mai scritta.
Soprattutto in Italia, il rapporto tra laicità e religione vive di tensioni e, spesso, d’incomprensione e rifiuto, da una parte e dall’altra. Credi che questo aspetto possa influenzare anche l’approccio al tuo fumetto? Credi che venga letto e accettato in maniera differente da un credente e da un non credente?
Sono stato a Madrid per la festa della famiglia e posso assicurarti che la tensione di cui parli va ben oltre il rifiuto. Il mio fumetto non può cambiare la vita di nessuno, ma credo che trapeli un’onestà di fondo che sta bene a credenti e non credenti. Dio agisce come vuole e con chi vuole, se il mio fumetto può essere un modo per conoscere la fede, ben venga.
In effetti mi piacevolmente colpito un’apertura mentale che mostri nel tuo fumetto quanto in altre tue interviste, là dove una certa fetta di credenti sembra puntare piuttosto all’isolamento, alla chiusura rispetto ad altri modi di vivere.
Il mio modo di vivere non differisce da quello di altri credenti, credo nella famiglia, nell’umanae vitae e desidero che mia vita sia all’insegna dell’amore di Dio in ogni istante, con tutti i miei limiti, peccati e miserie. Ho sperimentato l’amore di Dio quando non lo amavo affatto, anzi lo giudicavo un dio mostro per il dolore e lo smarrimento che provavo per la mia storia personale (come racconto in “Fratelli”). Ma il Signore si è degnato di farmi vedere, attraverso la Chiesa cattolica, e nel vissuto quotidiano nel Cammino neocatecumenale, che quella croce poteva essere la mia salvezza. E tanto è stato. “Fratelli” è una goccia nell’oceano di dolore del mondo, ma credo che scrivere libri simili sia una vera missione. Forse non cambia nulla, forse a nessuno interessa come mi è stato fatto educatamente notare in alcuni blog in rete, ma intanto la mia vita è cambiata. E per concludere, permettimi, essendo l’unica che ho, non mi sembra poco.
Riferimenti:
Roberto Battestini, sito ufficiale: www.battestini.it
Bottero Edizioni: www.botteroedizioni.it