Un gioco teatrale fra racconto e fumetto
«La lettura di Un amour exemplaire, il fumetto di Florence Cestac e Daniel Pennac, ha suscitato in me il desiderio di portare quest’opera a teatro. Principalmente per due motivi: in primo luogo per la storia, quella di un amore stimato irrisolubilmente improduttivo […], un amore che resiste a tutte le avversità; e poi per la sfida di portare un fumetto a teatro».
Così scrive Clara Bauer, autrice – insieme a Pennac – dello spettacolo Un amore esemplare, tratto dall’omonimo fumetto scritto dal romanziere francese e da Cestac, vincitrice nel 2010 del Grand Prix de la ville d’Angoulême, nell’appendice al fumetto pubblicato in Italia da Feltrinelli Comics (qui la recensione del nostro Lorenzo Barberis).
Una sfida, quella della regista italo argentina, perfettamente riuscita, pur nella sua complessità. Quest’ultima data dal desiderio di creare uno spettacolo metatestuale e metalinguistico, in cui il linguaggio del fumetto e quello teatrale si intersecano divenendo necessari l’uno all’altro; in cui la lingua francese (parlata da Pennac sul palcoscenico) è tradotta e fisicamente interpretata dagli attori in scena, in cui la quarta parete viene sfondata chiamando in scena uno degli interpreti (Massimiliano Barbini, nel ruolo di Jean) fino a poco prima rimasto nascosto fra il pubblico – mossa che genera una sensazione di straniamento nello spettatore meno avvezzo a questo tipo di trovate registiche.
Bauer – già direttrice di altri spettacoli tratti da opere di Pennac, come L’occhio del lupo e Storia di un corpo – mette così in scena una pièce dal sapore naïf, delicata come una favola e generosa con l’elemento onirico, anche grazie alle musiche di Alice Pennacchioni, la quale a sua volta, per un breve poetico momento, prende in prestito le note composte dal grande Maurice Jarre per Il dottor Živago di David Lean.
La scenografia è essenziale, composta solo da un attaccapanni, un baule e due sedie sulla sinistra (lo spazio del narratore), e la scrivania a cui lavora Cestac sulla destra (l’atelier della disegnatrice), illuminata da luci calde e senza filtri che favoriscono il prodursi di un’atmosfera pienamente immersiva. Si offre così alla platea la possibilità di concentrarsi unicamente sulla trama e sul “gioco teatrale fra racconto e fumetto” – come recita il sottotitolo della messa in scena –, e sull’incontro non solo fra i protagonisti della storia d’amore “esemplare” scritta da Pennac, ma anche su quello fra i due narratori, l’uno portatore della parola e l’altra dei suoi disegni. Questi ultimi sono proiettati sullo sfondo in una cornice in cui il bianco e il nero dei fogli e degli inchiostri risaltano e animano la scena, prendendo consistenza fisica nella gestualità e nella recitazione degli interpreti, in uno scambio continuo di battute e azioni.
La scelta narrativa è peculiare e del tutto originale. Per quanto restino diffuse le performance artistiche di illustratori e fumettisti che si esibiscono in estempore per lo più durante concerti e dj set, quella di avere una fumettista come Florence Cestac che disegna dal vivo, dando origine di fatto in tempo reale delle scenografie per uno spettacolo teatrale, è una novità assoluta.
Daniel Pennac, edizione francese Dargaud alla mano, legge nella sua madrelingua una storia rimasta dentro di lui per cinquant’anni, quella di due innamorati, Jean e Germaine Bozignac, di cui aveva già abbozzato le fisionomie ne La fata Carabina, facendone i genitori adottivi dell’ispettore Pastor. Il racconto viene tradotto simultaneamente, con profondo coinvolgimento, da Ludovica Tinghi, la quale a sua volta interpreta il ruolo di Germaine e di altri personaggi minori. Tinghi e Pennac sono così contemporaneamente narratori e interpreti; mentre un ruolo ben diverso è affidato a Florence Cestac, che al suo tavolo da disegno, dando le spalle al pubblico, realizza i fondali per lo spettacolo, riproducendo alcune tavole del fumetto e animandole, in un gioco di interazione continua fra gli attori e i disegni. Cestac è così fuori e dentro la messa in scena, ne è posta a latere ma ne è parte integrante, rifiuta ironicamente di recitare un ruolo ma la sua presenza diventa irrinunciabile perché lo spettacolo si animi.
Clara Bauer si conferma come una regista che predilige giocare con scenografie vuote e la sola presenza di pochi elementi funzionali alla narrazione e carichi di significato, in cui anche la musica assume un notevole peso specifico. In cui il gioco di specchi fra reale e rappresentato, fra attore e pubblico, e la sapiente mescolanza di processi metatestuali ricorda alcune particolari costruzioni cervantine.
L’impressione d’insieme è di uno spettacolo senza precise connotazioni temporali (per quanto le datazioni in tutta la vicenda siano importanti), che rapisce lo spettatore inducendolo a riprendere il contatto con il proprio fanciullino interiore, e ad ascoltare in silenzio il racconto di una fiaba senza età, “una storia senza storia”, come l’ha definita lo stesso Pennac.
Una storia, inoltre, di un amore unico e totalizzante inteso nel senso più ampio del termine, che coinvolge non solo un uomo e una donna – Jean e Germaine Bozignac, uniti da un grande sentimento e da una passione carnale mai estinta –, ma anche l’amore viscerale di questa coppia per i libri (visti anche come feticcio nella loro materialità) e la letteratura. Amore poi trasmesso al giovane Daniel, che su di esso ha formato l’uomo, il professore e il romanziere che è poi diventato in età adulta.
Un amore esemplare è da interpretarsi, quindi, anche come un omaggio ai libri come fonte di conoscenza e prima ancora di vita, testimoniato nel fumetto e poi nello spettacolo teatrale con le numerose citazioni e le letture di brani di Proust, Montaigne, Cervantes, Céline e Martin du Gard.
Dopo essere stato presentato in prima assoluta al Napoli Comicon 2017, Un amore esemplare è ora in tournée in tutta Italia, in attesa del suo adattamento francese. Lo spettacolo nasce però come italiano e pensato per il nostro Paese, prodotto dalla compagnia MIA di Parigi e dal centro culturale il Funaro di Pistoia, dove già altri spettacoli che Bauer ha realizzato in collaborazione con Pennac hanno preso vita, oltre a essere coprodotto dalla LAILA, una rete europea di artisti e operatori delle arti performative con sede a Napoli, e dal Comicon.
L’incontro con gli autori
Nel corso delle sue tappe pugliesi, lo spettacolo è stato presentato presso la Feltrinelli di Bari lo scorso 16 febbraio, inserito nell’ambito del Percorso di formazione del giovane pubblico teatrale promosso dal Dipartimento di Lettere Lingue Arti Italianistica e Culture comparate dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”.
Ormai attore consumato, capace di affascinare il pubblico col suo tono affabulatorio, un istrionico Daniel Pennac si è lasciato andare ad alcuni aneddoti che hanno riguardato la nascita del fumetto e poi dello spettacolo, tentando l’interazione con il pubblico anche in un italiano incerto ma comprensibile.
Pennac ha raccontato di come la storia dei Bozignac avesse l’urgenza di essere raccontata, ma non in forma di romanzo, forse di film. “Ma per fare un film serve un esercito di gente che ci lavori, di maestranze e di… banchieri”, ha ironizzato l’autore spiegando perché abbia scartato questa idea.
“Poi ho incontrato Florence e le ho detto: ho una storia d’amore per te!”, ma la fumettista ha prima risposto che una storia d’amore non era nelle sue corde, salvo aver cambiato idea dopo aver ascoltato il racconto dell’amico scrittore.
Florence Cestac ha poi spiegato che il metodo di lavoro con Pennac, del quale ha sempre apprezzato l’opera e la prosa, è stato del tutto particolare. Dopo appunto un primo rifiuto – dettato dal fatto di aver pensato a un amore estivo, giovanile, mondano e frivolo – ha deciso di procedere in concomitanza col racconto dell’autore, che a sua volta ha scelto di piegarsi alle regole narrative del fumetto. “Daniel raccontava e io disegnavo, poi cambiavo tutto, aggiustavo i disegni, le tavole, come nella costruzione di un puzzle”, ha detto. “È stato un piacere assoluto, e quando eravamo in forma riuscivo a disegnare anche cinque o sei tavole al giorno. Quando non lo eravamo… ci consolavamo mangiando dolci!”.
Dopo l’uscita del fumetto in Francia, hanno spiegato gli autori, è giunta la proposta di Clara Bauer di farne uno spettacolo teatrale, con le dinamiche di interconnessione di linguaggi che abbiamo visto.
“Il mio ruolo nello spettacolo mi piace moltissimo, ma devo fare attenzione alle tempistiche dei miei interventi, che devono essere molto precise, mentre io sarei più propensa a starmene con la testa fra le nuvole e disegnare quello che mi va”, ha confessato scherzosamente Cestac.
Daniel Pennac si è inoltre voluto soffermare sul fumetto e sullo stile riconoscibilissimo di Florence Cestac: “Il lavoro di Flo è particolare, perché non presta attenzione alla verosimiglianza, ma allo stesso tempo parlare di precisione per lei significa dare grande importanza alla somiglianza delle silhouette e dei dettagli caratteristici di ciascun personaggio rappresentato. Grazie ai dettagli i suoi personaggi sono sempre riconoscibili: potrebbe disegnare voi del pubblico nel suo stile in questo momento, ma ciascuno di voi sarebbe in grado di riconoscersi per il maglione che indossa, o il colore dei propri capelli, o il modo in cui è seduto”.
Imbeccato da Cestac, che lo ha definito “un clown” – in riferimento ad alcuni suoi buffi comportamenti, senza mancare di raccontare dei gustosi episodi che lo hanno visto protagonista –, Pennac ha ammesso questo lato goliardico e forse esibizionista del suo carattere, che lo ha spinto a fare teatro sin dagli anni di insegnamento, quando si è cimentato con i suoi studenti in alcune rappresentazioni amatoriali. “Noi professori dobbiamo essere anche un po’ clown per destare l’interesse degli allievi, e ho sfruttato questa mia propensione una volta andato in pensione, accettando la proposta di Clara Bauer a partecipare alle sue opere. Fare teatro è uno scambio continuo di storie, esperienze e momenti di vita, sia con gli attori che con i tecnici, e questo io lo trovo bellissimo e stimolante”, ha commentato lo scrittore.
In piedi, ormai completamente preso dal suo dialogo con il pubblico che lo ha portato a numerose digressioni, tra cui una riguardante I fratelli Karamazov, Pennac ha risposto ad alcune domande dal foltissimo uditorio presente in libreria.
Tra tutte, in un caso gli è stato domandato, alla luce di quanto da lui raccontato in Diario di scuola, cosa lo abbia spinto a diventare un insegnante: “Sono diventato un professore per non commettere con i miei studenti le stesse bestialità che i miei insegnanti hanno commesso con me. Un insegnante non dovrebbe mai usare la paura come un’arma verso i suoi alunni, perché la paura è il primo nemico degli studenti, e chiude tutte le porte al dialogo e all’apprendimento. Io ho deciso di fare il professore per aprire quelle porte e provare a rimediare agli errori di una intera generazione di pessimi insegnanti”, ha risposto Pennac.
Infine, tornando al fumetto e allo spettacolo, è stato domandato cosa lo abbia affascinato sin da bambino di quell’amore “improduttivo” fra Jean e Germaine Bozignac, e Pennac ha chiuso dicendo: “Jean e Germaine erano due persone affascinanti, diverse dagli adulti che mi circondavano, educati ma omologati. Loro, invece, erano singolari, l’uno e l’altra e l’uno con l’altra”.