Ritmo, tempo e armonia: la musica del Doomsday Clock
Per la realizzazione di questo articolo nessun Enrico Farnedi è stato maltrattato. Nondimeno mi sono avvalso della consulenza del trombettista dei The Good Fellas, musicista poliedrico e possessore di svariati diplomi del conservatorio (ma poi ha detto che glieli riporta) per tutte le questioni sulla teoria dell’armonia.
“Il principio fondamentale della musica, antica e moderna, ruota intorno al concetto di tensione e distensione (o risoluzione, rilassamento), unico motivo per cui la musica si rigenera in sé stessa attraverso il movimento, ovvero il passaggio tra queste due condizioni: di tensione, che equivale a una condizione di moto, e di distensione, che equivale a una condizione di stato (condizione statica).” (Alberto Tebaldi – Metodologie di linguaggio musicale P.1)
Ci sono decine di modi per raccontare una storia, si può scrivere un fumetto, un romanzo, si può girare un film o si può comporre della musica; a seconda degli intenti e delle capacità individuali si opta per un linguaggio piuttosto che per un altro. Come abbiamo già visto ci sono dei linguaggi, delle forme, che sono più adatte a mettere in scena determinate richieste della narrazione e sfidare i limiti del mezzo a disposizione permette di trovare delle soluzioni innovative e interessanti.
Sicuramente il linguaggio della musica è quello che ha le carte più in regola per parlare alle emozioni, il concetto di fondo del sistema tonale si basa infatti sulla succitata creazione di tensioni e risoluzioni: si crea nell’ascoltatore uno stato di attesa, lasciandolo sbilanciato, che chiede una risoluzione verso lo stato di calma, o comunque verso una chiusura. Siccome le necessità del raccontare sono le stesse indipendentemente dal linguaggio usato possiamo dire che anche le soluzioni adottate possono venir mutuate tra un linguaggio e un altro.
Pensiamo a come funziona il racconto umoristico: c’è una fase di preparazione e poi la battuta. Tensione-risoluzione.
Si chiama “musica tonale” in quanto tutto il racconto musicale è organizzato attorno a un suono centrale, detto “tonica”. C’è quindi una tonalità dalla quale nascono una serie di suoni diversi che vanno a relazionarsi in maniera gerarchica con la tonica principale. L’organizzazione di questi suoni, detti “gradi” va a formare una scala che ne regola le dinamiche. Cercando di non farla troppo lunga tutto il concetto della musica tonale si basa su note o gruppi di note (detti accordi) che posti in relazione tra di loro creano un racconto; esattamente come le vignette di un fumetto. Questi rapporti tra gli accordi in musica vanno sotto il nome di cadenza e la cadenza perfetta è quella tra il quinto grado, detto anche “dominante”, e la tonica: si tratta di una dinamica che vede l’accordo più “sbilanciato” di tutta la scala cercare e ottenere una risoluzione nell’accordo più equilibrato della stessa. Quando sentiamo della musica all’arrivo della dominante “sentiamo il bisogno” della tonica.
Tensione-risoluzione
Nei “fumetti di menare” la cadenza perfetta ad esempio sarà quella che vede la sequenza caricamento-pugno susseguirsi rapidamente.
Anche qui tensione-risoluzione.
Certe strip di tre/quattro vignette si possono paragonare a musica costruita sul semplice rapporto fra tonica e dominante, reiterato sempre uguale e comunque efficace.
Ovviamente in musica difficilmente troverete una composizione fatta di soli due accordi e il compito del compositore è quello di giocare sui rilievi di queste dinamiche tensione-risoluzione in modo da dare un movimento a tutto il racconto musicale. Un espediente tipico è quello di posticipare l’arrivo della tonica in modo da aumentare l’attesa dell’ascoltatore e farlo partecipe emotivamente dell’importanza della suddetta.
Allo stesso modo l’autore di fumetti che si trovi nella necessità di conferire maggior rilievo alla vignetta risolutiva posticipa quanto più possibile il momento risolutivo. Qui abbiamo una sequenza di tre vignette di pausa che esplodono nella splash page successiva. [attenzione: le pagine sono messe nel senso di lettura occidentale ma le vignette si leggono da destra a sinistra “alla Giapponese”]
Per dirla con altre parole: quello che in musica si fa con i suoni nel fumetto si fa con il tempo di lettura. Le suddette tre vignette infatti assolvono al duplice scopo di aumentare la tensione e quello di “riempire” la pagina per poter piazzare il rilievo maggiore nella pagina successiva in modo da aumentare l’impatto emotivo della vignetta risolutiva.
“L’obiettivo di uno scrittore di fumetti è quello di provare a manipolare la percezione del tempo del lettore in maniera funzionale alla storia. Romanzieri (ne sono stato uno) e registi (non sono stato uno) non hanno questa sciocca preoccupazione. I loro medium presentano al proprio pubblico una cosa, poi un’altra, quindi un’altra. Nei fumetti, l’occhio di una persona di solito vede le vignette future prima ancora di quella che sta leggendo (sia quando sfoglia l’albo appena preso che quando si guarda la pagina intera prima della singola vignetta). […] è molto più facile scorrere un fumetto avanti o indietro di quanto sia possibile con o romanzo (per me) […] gli scrittori perdono il controllo di del tempo e del modo in cui un lettore legge un fumetto. Eppure, spendiamo tutto il nostro tempo nel tentativo di riacquistare questo controllo, usando trucchi come lo svoltare le pagine, gli effetti sonori, i cambi di scena, ecc… per far leggere ai lettori il fumetto come noi
vogliamo che leggano il fumetto.
È senza speranza; eppure speriamo.” (Tom King – PanelxPanel #4)
Arriviamo quindi a Doomsday Clock, il tanto atteso seguito di Watchmen. So bene che c’è una fetta di agguerritissimi lettori e fan dell’opera di Alan Moore che non sentivano il bisogno di un seguito, cionondimeno anche i più avversi a quest’operazione sono all’interno di questo circolo di attesa sin dalle prime avvisaglie su DC Universe – Rebirth
Geoff Johns, che è uno scrittore navigato, è perfettamente cosciente di questa attesa e dei meccanismi narrativi di cui abbiamo parlato finora e sfrutta la dinamica tensione-risoluzione, e le sue dilazioni, all’estremo. Da un punto di vista macronarrativo Johns ha piazzato il quinto grado della cadenza sullo speciale Rebirth nel giugno 2016 e piazzerà la tonica risolutiva nell’ultimo albo della miniserie Doomsday Clock che uscirà presumibilmente nel novembre del 2018: una tensione lunga due anni e mezzo.
Per mantenere viva questa tensione, lungo un lasso di tempo così ampio, ci vuole molto mestiere per riuscire a dare un movimento, un ritmo, all’opera stessa e al tempo stesso non bisogna farsi prendere dalla fretta rovinando l’opera in corso. Avete presente quando a metà della seconda stagione di Twin Peaks rivelano l’assassino di Laura Palmer rovinando tutta l’impalcatura narrativa? Ecco, quello è un esempio di “farsi prendere dalla fretta”.
Il primo albo di Doomsday Clock chiarisce che non è questo il caso del duo Geoff Johns e Gary Frank, loro non hanno nessuna fretta, anzi. Potremmo dire che il tema di questo primo numero sia proprio quello dell’attesa, si sta tutti col fiato sospeso in attesa che qualcosa di grosso accada. Esattamente come chi guarda l’orologio che fa il conto alla rovescia verso la fine del mondo.
Tutto l’albo è incentrato su strade da prendere, porte da aprire e chiavi da girare, tutto va in direzione di qualcosa e si raggiungono solo delle tappe intermedie che servono a dare il ritmo, a creare quel movimento di cui sopra. Il gioco di Johns e Frank si basa tutto su questa dinamica di attesa che risolve verso una nuova attesa e che fa sì che l’albo in questione mantenga alta la soglia di attenzione del lettore, il suo coinvolgimento emotivo, nonostante l’andamento di studiata lentezza di tutte le sequenze dell’albo.
Esemplare è la sequenza che va da pag. 9 a pag. 11
La prima delle tre tavole si chiude con la vignetta di Rorschach che infila la chiave nella toppa, girando la pagina ci aspettiamo di sapere chi c’è dietro questa porta e invece Johns e Frank inseriscono un’attesa: nove vignette di altre chiavi che girano lentamente. Questa attesa inattesa (scusate il gioco di parole) conferisce un’importanza ancora maggiore al segreto posto dalla storia. Chi c’è dietro quella porta? In aggiunta le altre chiavi che girano non sono chiavi qualunque ma dispositivi di lancio per testate nucleari, questo parallelismo fa sì che ci si aspetti la presenza di qualcosa o di qualcuno veramente importante dietro la porta che il nostro apre nell’ultima vignetta. [Approfitto per sottolineare come anche qui Johns usi la vignetta conclusiva della tavola, che richiede forzatamente una pausa nella lettura, per aumentare la tensione della sequenza e dare importanza alla successiva.]
Nella terza tavola scopriamo che la rivelazione tanto attesa e tanto sottolineata è un enigma a sua volta. Non conosciamo questo personaggio, Marionette, ma gli autori ce ne hanno suggerita l’importanza. Siamo di fronte a una situazione di tensione che risolve in un’altra situazione di tensione: il nostro nuovo scopo adesso è quello di capire chi è questo personaggio e perché è così importante.
Johns rimanda la risoluzione attraverso continue deviazioni, mescolando sapientemente la cadenza d’inganno (quando la tensione dell’accordo di dominante viene risolta parzialmente sull’accordo del sesto grado della scala), la cadenza plagale (quando l’arrivo della tonica viene rinviato passando attraverso l’accordo di sottodominante, costruito sul quarto grado) fino ad arrivare all’ultima tavola, dove il cliffhanger viene raggiunto attraverso un procedimento simile a quello della dominante secondaria. Le dominanti secondarie creano una tensione analoga a quella presente fra dominante e tonica mediante l’utilizzo di note non presenti nella tonalità d’impianto del brano. C’è la dominante secondaria che porta al sesto grado, al quarto, al secondo, al terzo e, infine, al quinto: una vera e propria dominante della dominante, la tensione che risolve in altra tensione, un cliffhanger musicale.
Difatti questo è storicamente un meccanismo rodato della narrazione seriale: gli albi concludono sempre con un cliffhanger per poi spingere il lettore a proseguire fino al cliffhanger successivo fino alla fine dei tempi (o alla chiusura della serie).
Inutile sottolineare che questa è solo una delle situazioni tensive che si trovano all’interno del racconto, basti vedere come si conclude la terza tavola per capire che ce ne è almeno un’altra, e tutte si intrecciano in una sorta di “sinfonia dell’attesa”.