Corde emotive
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Corde emotive

C’è una cosa che secondo me accomuna le persone reali ai personaggi, e che rende così facile per le prime immedesimarsi nei secondi. È ciò che io chiamo “corde emotive”.

Citando l’Amleto,

Ora perché credete che sia più facile suonar me che questo flauto? Datemi il nome dello strumento che vorrete: sebbene possiate premer le mie corde, non potrete trarre alcun suono da me.

Per far risuonare emozioni dai personaggi bisogna conoscerne bene le corde e le scale, cosicché le corde del lettore entrino in risonanzamleto e gertrude benedict cumberbatcha e comincino a suonare a loro volta, in un’orchestra spirituale che suona all’unisono, secondo l’intento dell’autore/direttore d’orchestra.

Amleto stesso, se si rifiuta di essere “suonato” da Rosencrantz e Guildestern, sa bene come “suonare” suo zio Claudio e sua madre Gertrude (motivo per cui sono convinto che la tragedia di Shakespeare sia un grande trattato di psicologia in anticipo di ben tre secoli).

Infatti il principe di Danimarca prima fa mettere in scena da una compagnia di attori lo stesso delitto commesso da suo zio, facendogli sentire il peso della colpa, dopodiché affronta la madre al punto da farle dire:

Oh Amleto, non dire di più, tu fai volgere i miei occhi nelle parti più recondite della mia anima e quivi scerno tale bruttura che la macchia ne sarà incancellabile.

Insomma, Amleto ben sapeva come far suonare le corde emotive degli altri, ed è anche ciò che deve imparare a fare un narratore con i propri personaggi, e con il lettore.

A questo proposito, mi sono reso conto di avere a volte stonato cercando di trovare la melodia giusta su quelle corde.

Quando sei all’inizio e scopri le corde emotive, sei talmente entusiasta che fai strumming, suoni a tutta forza come un chitarrista da spiaggia. Ecco che nascono storie colme di disperazione o di melensaggini senza una vera funzione all’interno della narrazione, tanto che il lettore invece di trovarsi coinvolto rischia di restarne disgustato. Esageri, stoni, e qualche volta le rompi quelle corde.

Con la pratica, affini la tecnica, e cominci a considerarti un virtuoso. Vuoi fare lo shredder come Yngwie Malmsteen.yngwie malmsteen Quelle corde emotive le fai suonare bene, le note sono giuste, ma aumentano progressivamente, ti lanci in scale complicate, sempre più veloci, e non ne esci più. Sei bravo, certo. All’inizio il pubblico applaude. Ma a lungo andare diventi stucchevole. Il pubblico capisce che ti piace sentire il tuo assolo e non fai sentire più nemmeno la batteria che ti dà il ritmo. Sei troppo pieno della tua tecnica e assuefatto alle emozioni che evochi, che alla fine la gente non si emoziona più e anzi si annoia.

Quello che deve fare un autore maturo invece – ed è ciò che sto inseguendo nel mio ancora lungo percorso – è imparare a pizzicarle, quelle corde.

Pizzicarle romanticamente come fa Mark Knopfler:

Tenere la suspense come un bending da quattro battute di Billy Gibbons. Fare poche note, ma quelle giuste, come sa fare David Gilmour.

Io ci provo, sono un chitarrista con poca tecnica, un po’ di gusto e tanta improvvisazione.

Se anche voi volete suonare quelle corde emotive vi consiglio di pizzicare: non strummare né shreddare.

 

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