Ma quanto mi costi?!?
Bentornati su Lo Spazio Disney!
Uno spunto di discussione che periodicamente, in alcuni momenti con più fervore di altri, emerge nelle chiacchiere online è quello dei prezzi dei fumetti Disney.
Tipicamente in coincidenza con alcuni aumenti, ma anche commentando il costo di un volume speciale particolarmente oneroso in termini di acquisto, le pagine social dedicate – in particolare su Facebook, dove il terreno sembra essere maggiormente fertile per certe discussioni – e i topic del forum del Papersera si popolano di reazioni avverse, spesso indignate, che ci tengono a far sentire il proprio dissenso verso operazioni che agli occhi di chi le scrive sono veri e propri ladrocini.
Lungi da me fare i conti in tasca ai lettori, e non c’è neanche la volontà di disquisire sulla sensibilità personale di ciascuno sull’argomento.
Il mio tentativo in questo caso – con assoluta serenità – è piuttosto quello di provare a capire da dove scaturisca una “sollevazione popolare” di questo tipo (che, occorre sempre ricordare, riguarda solo la fetta di lettori che decide di scrivere in qualche angolino del web e che come tale non rappresenta per forza di cose la maggioranza del pubblico pagante), che riemerge con una certa regolarità secondo modalità ricorrenti.
È innanzitutto doveroso tenere presente, infatti, che la situazione economica complessiva del nostro Paese non è tra le più rosee: può essere il proverbiale dito dietro cui nascondersi, secondo alcuni – a mia memoria in effetti non ricordo un periodo fiorente negli ultimi trent’anni, nel quale sia avvenuto un rialzo del potere di acquisto degli italiani, con conseguente costo della vita più leggero – ma è un fatto che nell’ultimo anno e mezzo gli aumenti sono fioccati in molteplici ambiti, primo fra tutti il carrello della spesa e i relativi beni di prima necessità.
In un tale scenario dovrebbe apparire comprensibile che a cascata anche prodotti velleitari come quelli attinenti la sfera dell’intrattenimento subiscano rialzi. A maggior ragione se sommiamo a queste considerazioni le notizie sui rincari delle materie prime a livello internazionale, carta in primis, che pesano inevitabilmente nella catena di costi di libri e fumetti.
Eppure no. Ci si lamenta certamente anche dei prezzi tra gli scaffali dei supermercati, ma non avendo altra scelta si fa buon viso a cattivo gioco mentre, paradossalmente, pare che per i prodotti di evasione o culturali sia un reato di lesa maestà andare a ritoccare i prezzi verso l’alto, come se si andasse a ledere un ipotetico diritto al relax a poco prezzo.
La mia conclusione si circoscrive al fumetto Disney e, più in esteso, a quello popolare da edicola.
I lettori disneyani e bonelliani, infatti, per tradizione in Italia hanno sempre visto gli albi come merce economica, che con poche monetine potevano portarsi a casa fruendo di tre quarti d’ora di lettura spensierata, divertente e avventurosa.
Il cambio di paradigma – iniziato forse già a inizio millennio con il passaggio dalle lire agli euro – ha disorientato molti che avevano vissuto finora in quella concezione, e la necessità di far quadrare i conti da parte degli editori (a loro volta alle prese anche con una diminuzione della clientela, dovuta a diversi fattori di cui i prezzi sono solo una componente tra le tante) ha spiazzato, scontentato e inviperito parte del pubblico fedele.
Pubblico che deve anche comprendere che gli editori sono prima di tutto aziende, non centri culturali, e che continuano comunque a esistere alternative: non acquistare qualcosa quando supera un prezzo che non si ritiene più abbordabile, innanzitutto, dal momento che non è una necessità vitale continuare a comprare materiale nuovo.
Vale la pena riflettere anche sul fatto che le lamentele sui rincari sono spesso indistinte: non tengono cioè conto del singolo caso, ma fanno di tutta l’erba un fascio.
Se Almanacco Topolino aumenta di 90 centesimi io per primo non sono contento, perché è praticamente un euro in più ad albo e quindi nel giro di un anno ho quasi 6 euro in meno in tasca. Però, ragionando sul tipo di prodotto che è, posso anche comprendere la scelta: si tratta di una testata di nicchia che, per di più, deve sostenere spese che altri periodici non hanno, quali l’acquisto e la traduzione delle storie estere inedite e il compenso da riconoscere a chi scrive gli articoli di approfondimento.
Mentre quando penso che Topolino in giallo è arrivato a costare 5 euro, con quel tipo di contenuto e un numero di pagine piuttosto basso, inizio a ritenere che qualcosa non funzioni molto nel rapporto qualità/quantità/prezzo.
E non fatemi parlare del prezzo a cui è stato messo in vendita il recente Topolino Gold sul Mistero della voce spezzata, per me incomprensibile!
Una cosa che ho notato della vox populi, invece, è che difficilmente si fanno distinzioni di questo tipo: il rialzo, a prescindere dall’entità e dalla pubblicazione a cui viene applicato, è avversato in egual misura (e magari anche da chi quella specifica testata non la segue nemmeno!)
Discorso a parte per Topolino, che per l’appassionato che vuole tenersi aggiornato rimane un acquisto fisso e quasi “obbligatorio”: ritoccare il prezzo dell’ammiraglia è sempre un azzardo, ma se è avvenuto due volte in due anni evidentemente era necessario. C’è da considerare che rispetto agli altri periodici ha costi assolutamente peculiari, offrendo storie inedite ogni settimana e articoli di vario tipo e uscendo, appunto, con una frequenza maggiore.
Spiace pagarlo 3 euro e 50 invece di 3 netti o dei 2 euro e 50 del tempo che fu? Certo! Si può far sentire il dissenso con i mezzi odierni? Chiaramente sì. Cambierà qualcosa? No, ma capisco che può servire a qualcuno per sfogare il proprio malcontento.
Non c’è quindi soluzione? Ovviamente, scendere dal treno in corsa, o comprarlo solo di tanto in tanto.
Il problema è che la direzione intrapresa dal fumetto in senso ampio è ormai chiara, e non so se e quando conoscerà un’inversione di tendenza, ed è una direzione che porta alla fumetteria e alla libreria (in quest’ultimo caso, peraltro, con un diffuso ridimensionamento degli spazi rispetto all’esplosione di 3 anni fa, ma ciò non intacca il senso del discorso).
Abbiamo passato anni a rivendicare il valore culturale della nona arte e ora è realtà: ma insieme ai salotti buoni, alle candidature ai premi di narrativa e ai servizi dei telegiornali è arrivata anche una conseguente ricalibrazione del prodotto e dei canali di vendita. Complice la drammatica crisi delle edicole il focus si è spostato nei negozi specializzati e chi dominava gli scaffali dei giornalai – again, Disney e Bonelli – ha dovuto realizzare libri che facessero bella figura nei nuovi ambienti.
Vien da sé che a un cambio di formato e di tipologia d’albo è corrisposto anche un cambio di prezzi.
C’è quindi una distinzione tra gli aumenti dei prodotti più popolari – salvagenti lanciati per prolungare la vita di testate che devono navigare su una barca che affonda – e i prezzi folli raggiunti dalla quasi totalità di nuove proposte, spesso e volentieri costituite da cartonati ben impacchettati e infiorettati dalle pompose descrizioni di catalogo, che difficilmente possono offrire un contenuto all’altezza.
Dall’ultimo Anteprima uscito vedo la raccolta di Zio Paperone e l’alta finanza di Alessandro Sisti, miniserie gradevole ma per la quale si poteva pensare al massimo a un brossurato da edicola, non certo a un volume di alta fascia venduto a 25 euro.
Grandi Maestri, per quanto si presenti con molta più dignità, dall’alto di cosa costa una ventina di euro in più dell’omologo Grandi Autori, visto che impostazione e ambizione parrebbero essere le stesse?
Il mercato dei fumetti è ormai drogato, sempre più spostato verso una fascia elitaria ed è comprensibile che chi sia cresciuto in un sistema totalmente differente si trovi spaesato e sconcertato: purtroppo, che ci piaccia o no, lo scenario attuale è questo e personalmente non ravviso segnali che portino a intravedere regressioni.
Si badi bene, quindi, la mia contrarietà a questo sistema che si è ormai instaurato: rendere più costosi e “per collezionisti” i fumetti Disney significa escludere con un limite quasi “classista” tutta una fascia di lettori meno esigenti, e bambini in particolare, che però sfruttavano l’economicità dei prodotti per leggere dei nostri amati personaggi (e magari per leggere in generale, oserei dire), una situazione che la tendenza attuale diminuirà fortemente, elemento questo che non mi piace affatto. Ma a 35 anni non ho più voglia di battermi contro i mulini a vento, e quindi mi limito a riconoscere la situazione per quella che è.
Immagino che la bolla prima o poi esploderà, se si tira troppo la corda, ma mi pare lampante che la strategia di Panini sia chiara per il prossimo futuro come lo è stata per il passato recente: valorizzare/monetizzare il più possibile lo sterminato catalogo disneyano attraverso collane e volumi one-shot accomunati da un aspetto lussuoso e da un costo corrispondente.
Il problema, come accennavo, è che molte volte non si tratta che di Vattelapesca sovrapprezzati senza un reale perché: è quindi l’apparente assenza di strategia e di consapevolezza di quello che si va ad offrire al pubblico che rende queste operazioni ancora più drammatiche e biasimevoli.
Dal sito www.panini.it
In tutto questo arriva come una bomba l’annuncio della statua a tiratura limitata di PK, disegnata e progettata da Claudio Sciarrone e venduta in due versioni, una da € 265,00 e una da € 295,00.
Anche in questo caso si sono potuti leggere diversi interventi seccati, ma stavolta si gioca in un campionato diverso: quello dell’oggettistica nerd caratterizzata da valori produttivi di un certo tipo, che nel mercato americano esiste da anni e con prezzi spesso più elevati.
Non a caso si tratta di un prodotto a tiratura limitata, con firme autografe e certificato di autenticità, qualcosa che in Italia non è mai stata fatto, specialmente per un personaggio Disney.
È per tutti? No, è chiaramente un prodotto pensato per i collezionisti di un certo tipo, attenti alla qualità e disposti a spendere cifre importanti per avere un pezzo pregiato e ricercato attinente alla propria passione.
Per questo motivo ritengo che rimanerci male, in questo caso, sia sbagliato: non solo perché raffigura un papero antropomorfo deve costare quanto un giocattolino da bancarella, qui siamo dalle parti del collezionismo di un certo livello e il prezzo è calibrato in tal senso.
Per tutto il resto ci sono le statuine della Disney Parade.
Insomma, essere appassionati di fumetti, anche Disney, è ormai diventato dispendioso. A meno di non accontentarsi di leggere Topolino e qualcosa tipo il Big.
Qualche spiraglio c’è – Almanacco a dispetto dell’aumento rimane economico, considerandone peraltro la bimestralità, e anche Grandi Autori si colloca in una fascia di buon compromesso – ma nel complesso occorre fare i conti con il mutato scenario commerciale.
Poi ovviamente uno può lamentarsene comunque, ci mancherebbe: quello che personalmente mi piacerebbe vedere, però, sarebbe che si riuscisse a farlo meno di pancia e con un pizzico di consapevolezza in più del contesto in cui ci troviamo.
È molto sensato il tuo discorso, mi sento di condividerlo per gran parte. I lettori dovrebbero sempre orientarsi nell’acquisto dei fumetti Disney secondo le categorie numero di pagine dell’Albo, prezzo, qualità delle storie. L’Almanacco e i Grandi Classici sono le due testate migliori da questo punto di vista, e quelle più accessibili a tutti. Ovviamente c’è da considerare che i Grandi Classici fino al 2016 avevano 319 pagine e costavano 3.90€, con una qualità delle storie pazzesca, approfondimenti, editoriali, bianco e nero, ecc. Ad oggi li ritroviamo a 5,50€ con 240 pagine (se non sbaglio). Ci dispiace che sia successo, ma rispetto alle altre testate più accessibili resta comunque valida. Bisogna prenderne atto, e anche se fa male non poter accedere a cofanetti, edizioni limitate, ecc., pur dispondendo di quella sensibilità e conoscenza Disney necessaria, ormai la situazione è questa. Prima di acquistare dei fumetti è bene pensarci due volte perchè i tempi sono cambiati; troviamo ristampe di storie recenti nei mensili più commerciali, anche questo spiace. Cambierà la situazione? Io non credo, a pochi interessa che la classe medio-bassa non possa avere accesso ai fumetti come prima. Perfino i disegnatori e gli sceneggiatori, che più tengono a noi, non possono aiutarci. L’azienda detta le direttive, che sono finalizzate al profitto.
Ti ringrazio per il tuo commento, Antonino, che riassume bene alcune delle istanze che ho provato ad esporre nel pezzo.
Teniamo botta!