Paperinik: evoluzione, andata e ritorno
Per capire Paperinik bisogna capire che tipo di Paperino andava per la maggiore nei fumetti italiani degli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso.
In subordine, poi, occorre anche comprendere che non esiste un solo Paperinik di riferimento, ma diverse connotazioni della stessa figura: il che, trattandosi di base di una versione alternativa di un altro personaggio, potrebbe sembrare una questione complessa.
Ma la storia di Paperinik è diversa da quella dei tanti altri supereroi che hanno popolato le storie disneyane, rappresentando un percorso imprevedibile e ricco di sfumature.
L’esigenza di Paperinik
Quando, in accordo con la Casa Madre, cominciò la produzione regolare di storie a fumetti Disney made in Italy per sopperire al bisogno crescente di avventure da inserire nelle pubblicazioni del nostro Paese, il primo e più prolifico autore al lavoro con Topi e Paperi fu Guido Martina.
Il colto sceneggiatore guardò certamente alla produzione d’oltreoceano per comporre le proprie opere, ma coniugò i personaggi disneyani secondo la propria sensibilità, inevitabilmente forgiata dalla sua esperienza e dalla sua formazione, che avrebbe dettato in qualche modo la linea anche per gli altri scrittori all’opera del libretto italiano.
In tale operazione ci fu una buona dose di travisamento di certi caratteri, specialmente nell’inasprimento di taluni atteggiamenti e comportamenti; questi eccessi, però, diventarono presto consuetudine per i lettori nostrani al punto da assurgere quasi a un nuovo canone.
Uno dei più celebri casi di questo tipo riguarda la figura di Paperino, in particolare nel burrascoso rapporto con il parentado: il personaggio venne dipinto come una vittima della vita senza via di scampo, vessato da uno zio particolarmente crudele, da un cugino borioso, da una fidanzata antipatica e da nipotini buoni solo a criticarlo e disprezzarlo. Dal canto suo, Paperino non sembrava fare molto per guadagnarsi qualcosa di meglio: pigro, indolente, dai modi spesso ruvidi e con un’attitudine all’occorrenza “furbetta”, il personaggio era tratteggiato quasi come un simpatico gaglioffo che pagava lo scotto di certe intemperanze subendo le peggiori angherie dalle persone che teoricamente avrebbero dovuto essergli più vicine.
In questo contesto di eccessi, comunque, Paperino rimaneva una figura positiva agli occhi del pubblico, che anzi si immedesimava nella sua vitaccia ritrovandosi a tifare per lui ed esprimendo un desiderio di riscatto per il papero, anche attraverso molte lettere inviate alla redazione di Topolino.
Proprio da quello spunto la redattrice Elisa Penna suggerì a Martina di sfruttare l’idea – che aleggiava in redazione da qualche tempo – di regalare un’identità “in calzamaglia” a Paperino, realizzando una parodia del genere supereroico e al contempo offrendo un’occasione di riscatto al personaggio.
Il debutto di Paperinik sulle pagine del pocket nell’estate del 1969 dovette quindi arrivare come un evento liberatorio per molti lettori, grandi e piccini, che finalmente potevano vedere una versione vincente del loro beniamino nella mitica Paperinik il diabolico vendicatore.
Unitamente alle atmosfere notturne e “ambigue” della trama di Martina, ben lontana dai toni parodistici forse auspicati da Penna e dall’impronta invece decisamente noir e oscura, veicolate anche dagli azzeccati disegni di Giovan Battista Carpi, quella storia in due tempi divenne pietra angolare per un lunghissimo ciclo di fortunate avventure e per quella che probabilmente si attesta come la creazione più celebre del fumetto Disney italiano.
Le storie vendicative
All’avventura di esordio di Paperinik si sono avvicendati già a partire dall’anno successivo dei seguiti, nei quali Paperino tornava a vestire i panni del vendicatore, segno dell’accoglienza positiva che l’idea ebbe all’epoca.
Comun denominatore di queste prime “imprese” del personaggio era la componente fuorilegge: in questa veste Paperino compiva senza porsi troppi problemi piccole illegalità e agiva per esclusivo tornaconto personale, intervenendo in situazioni che lo toccavano direttamente e che decideva di risolvere attraverso il proprio alter ego, che poteva contare anche su diversi gadget forniti da Archimede Pitagorico.
Si tratta di un ciclo che copre almeno la prima quindicina di apparizioni di Paperinik: in esse il vendicatore ha come avversario privilegiato Zio Paperone, ma non manca di scontrarsi anche contro Gastone o Rockerduck, e sono racconti ricchi di fascino grazie alle brumose ambientazioni e alle adrenaliniche vicende messe in campo.
Il senso di “clandestinità” che vi si respira riesce infatti ad avere un forte ascendente sul pubblico, il quale si trova in un contesto narrativo soffuso e difficile da rintracciare in questi termini sulle pagine di Topolino. Tale allure, unita alle rivincite che Paperino ha modo di prendersi indossando mantello e mascherina, ha costituito delle solide fondamenta per il fascino del personaggio e per la durevolezza della sua leggenda.
Il supereroe cittadino e il paladino “per il sociale”
A chi possa vedere una contraddizione tra quanto sappiamo del Paperino classico e l’idea che possa vestire i panni di un vigilante, rispondo citando le parole di Wolfgang J. Fuchs tratte dal suo articolo pubblicato nel volume Da Paperinik a PK:
Guardando a Paperino nella sua identità di Paperinik, è normale chiedersi se questa trasformazione del nipote di Paperone in una sorta di supereroe clandestino sia non solo fattibile, ma anche coerente col personaggio. Dopotutto, Paperino è una persona caotica, pronta a scoppiare quando si arrabbia, perseguitata il più delle volte dalla sfortuna. È un buon lavoratore finché non venga frustrato dai capricci della vita quotidiana e sia mandato in viaggi attorno al mondo per risolvere i problemi del suo ricco Zio Paperone. Almeno in questo campo il più delle volte ha successo, anche se non sempre viene pagato quanto crede di meritare.
Con dei tratti caratteriali così facilmente riconoscibili, c’è ancora spazio per aggiungere altro?
Guardando al Paperino degli esordi, si vede subito che tipo di personaggio versatile fosse persino all’epoca dei primi disegni animati Disney. E se era così versatile già allora, ecco perché in seguito non sarebbe stato un problema trasformarlo anche in un supereroe.
In altro contributo presente nello stesso libro, Sergio Brancato riflette sul fatto che Paperinik sia
un personaggio generato da un malinteso e dunque generatore esso stesso di ulteriori fraintendimenti. Tali equivoci, tuttavia, nel tempo si sono rivelati molto produttivi, attribuendo al malinteso originario un valore genetico assai rilevante e determinando la ricchezza e l’intima flessibilità del personaggio.
L’equivoco a cui Brancato fa riferimento prende l’avvio dalla pretesa intenzione di costruire Paperinik come una parodia di Diabolik e del fenomeno di costume del quale il personaggio delle sorelle Giussani era massimo esponente, ma configurandolo invece come un
attrattore strano per una serie di innovazioni che investono e rimodellano le pratiche sociali dell’immaginario
e come
lo snodo tra due differenti età e ideologie dell’universo disneyano”, rendendo così il personaggio come particolarmente adatto per sperimentazioni e innovazioni nella grammatica del fumetto Disney.
Tale considerazione ci porta in effetti alla prima vera trasformazione che Paperinik affronta: con l’arrivo di altri sceneggiatori a firmare le storie dell’alter ego di Paperino, oltre a Martina, e su probabile spinta della redazione, i toni si addolciscono e gradualmente ma inesorabilmente il vendicatore diventa sempre meno diabolico, assumendo progressivamente i tratti di un vero e proprio supereroe, più simile a Batman che a Diabolik, insomma.
In questo processo fu fondamentale l’apporto di Giorgio Pezzin: a partire da Paperinik e la marcialonga furtiva del 1976, l’autore avrebbe virato verso questi toni più prettamente eroici, nei quali il protagonista veniva riconosciuto come paladino di Paperopoli, al servizio dei deboli e della giustizia. Una trasformazione che viene anche incontro all’esigenza di non continuare a mostrare Paperino come una figura negativa, ancorché in versione mascherata e quindi fittiziamente “altra da sé”.
Contestualmente, anche i toni narrativi si rilassarono: non solo Paperinik si trasformò in un eroe cittadino, spesso alle prese con la Banda Bassotti o con simili ladruncoli (a un certo punto acquisì addirittura una specie di bat-segnale, una mascherina proiettata in cielo per richiamarne la sua attenzione), ma il tenore delle avventure che viveva era più vicino alla parodia che all’avventura. Insomma, in una sorta di percorso circolare, il personaggio abbracciò quello spirito con cui teoricamente nacque – ma che venne in realtà accantonato già in fase di scrittura della prima storia – tramite le sceneggiature di Pezzin, che guardò ai comics statunitensi e decise con la sua verve istrionica di ironizzare su determinati aspetti dei supereroi USA tramite questo rinnovato Paperinik.
Anche la creazione nel 1991 di un villain pseudo-ricorrente come Spectrus – ipnotizzatore criminale che per attitudine e costume può ricordare alla lontana una specie di Joker – andava prepotentemente in quella direzione.
Storie come Paperinik e la rivolta dei mariti, Paperinik e il mistero di Tuba Mascherata (su testi di Massimo Marconi) e Paperinik e la lotta dietetica esemplificano efficacemente il nuovo corso della saga: si tratta di avventure simpatiche e riuscite, che hanno contribuito alla calcificazione del personaggio nell’immaginario di un’intera generazione, ma che al contempo ne hanno in qualche modo “tradito” lo spirito e depotenziato le caratteristiche.
Lo scarto ulteriore fu quello dell’interessamento a tematiche di carattere sociale: si ricordano varie avventure incentrate sulla difesa dell’ambiente, in maniera coerente con le varie battaglie ecologiche di cui Topolino si fece giusto promotore dalla seconda metà degli anni Ottanta in poi, come ad esempio Paperinik e la città sporcacciona o Paperinik e la corsa alle alghe.
In tal senso va inoltre ricordato un avversario specializzato in atti volti a danneggiare il pianeta, dall’archetipico nome di Inquinator, antagonista in due storie dei primi anni Novanta.
In altre occasioni Paperinik si è confrontato poi, ad esempio, con l’invasione delle reclame in La disfida analcolica o con La mania collezionistica dell’omonima avventura.
Addirittura in La crisi eroico finanziaria del 1993 si arrivò a raccontare le difficoltà del personaggio a far quadrare i conti per la manutenzione dei propri congegni, al punto da dover diventare una specie di eroe “a tassametro”, con grave detrimento della qualità dei suoi interventi… e forse anche del suo prestigio come personaggio.
Il supereroe marvelliano: PK
Arrivati alla prima metà degli anni Novanta, dunque, il personaggio sembrava aver ormai trovato un suo nuovo equilibrio, ben diverso da quello che contraddistingueva le avventure dei suoi esordi ma ormai affermato con chiarezza… una situazione di stasi, insomma.
Ma di lì a poco tale condizione sarebbe stata ribaltata da un uragano chiamato PK, che investì le edicole nel marzo del 1996 dando inizio a una vera e propria rivoluzione, tanto narrativa quanto formale, che ebbe conseguenze potenti per Paperinik ma anche per il fumetto Disney nel complesso e, sotto vari aspetti, per buona parte del fumetto italiano ed europeo.
Grazie alle menti di Ezio Sisto e Alessandro Sisti, e dietro agli spunti di Max Monteduro e Alberto Lavoradori, l’identità segreta di Paperino venne rilanciata in grande stile: ci si allontanò ancora di più dalle sue origini “vendicative”, ma rispetto alla china farsesca intrapresa negli ultimi quindici anni si sterzò prepotentemente verso un tono più adulto, che strizzasse l’occhio ai supereroi Marvel ma stavolta senza scimmiottarli, bensì provando a giocare ad armi pari con loro.
Salvaguardando la comicità e i tanti elementi che costituiscono l’universo Disney, la nuova testata – caratterizzata dal formato spillato dei comics e da un taglio interno all’avanguardia – propose un Paperinik “cazzuto”, capace di vivere avventure di grande caratura e di compiere imprese a base di androidi, alieni e viaggiatori temporali.
Questa versione, ancora più di quella primigenia, potrebbe cozzare con l’idea che possiamo avere di Paperino, e anche le parole di Fuchs citate più sopra sembrano traballare all’idea di Paperino che affronta nemici di tale potenza.
Ma, in fondo, non è lo stesso senso di straniamento che può cogliere pensando a un liceale che fa le stesse cose? O un non vedente? Eppure, da lettori, abbiamo accettato il patto implicito per cui Peter Parker può diventare Spider-Man e Matt Murdock può diventare Daredevil, a dispetto dei limiti che hanno nella vita di tutti i giorni.
Partendo da questo assunto, e considerando come le regole del mondo disneyano siano ancora più libere e impregnate di una fantasia senza freni, non dovrebbe esserci contraddizione tra il Donald Duck di Carl Barks e il Paperino che agisce in costume da Pikappa.
La saga pikappica sarebbe durata per due stagioni (PKNA – Paperinik New Adventures dal 1996 al 2000 e PK² dal 2001 al 2002) per poi conoscere un reboot completo ambientato in un’ipotetica dimensione alternativa – nella quale Paperino non era mai diventato Paperinik – in edicola dal 2002 al 2005. Questa terza serie, intitolata semplicemente PK – Pikappa, abbassava il tenore del racconto mantenendo però lo sguardo rivolto allo scenario statunitense. Ci furono diverse ingenuità ma non si replicarono gli scenari delle storie pubblicate su Topolino o sul mensile dedicato alla versione “classica” del personaggio.
Dopo una lunga pausa, la saga di PK sarebbe riemersa nel 2014 sulle pagine del settimanale in una serie di lunghe storie firmate da Francesco Artibani, Alessandro Sisti, Lorenzo Pastrovicchio e Claudio Sciarrone, per poi tornare su una testata autonoma (Topolino Fuoriserie) vivendo alterne fortune nelle sceneggiature di Roberto Gagnor e del demiurgo Sisti.
Ci si potrebbe chiedere se nel contesto attuale e con tutte le sue traversie, PK abbia ancora senso di esistere o se il suo prosieguo non sia piuttosto accanimento terapeutico.
D’altronde il ritorno in pianta stabile di Alessandro Sisti non è stato tutto rose e fiori, per come ha deciso di impostare i nuovi episodi: tra foliazione ridotta, periodicità ballerina, nuovi avversari poco caratterizzati e storie sulla carta autoconclusive ma in realtà mai davvero autosufficienti, il pikappero sta vivendo una stagione davvero complessa e tumultuosa, che fatica ad ingranare nonostante le idee buone si intravedano. Di certo l’impulso di novità che il progetto racchiudeva agli esordi si è per forza di cose spento, PK è assurto al rango di classico ed è rimasto forse imprigionato dalla sua stessa fama.
Ritorno alle origini
Parallelamente all’esordio di PKNA, su Topolino vide la luce Paperinik e il ritorno a Villa Rosa di Fabio Michelini e Giovan Battista Carpi, un’avventura straordinaria perché riportava su carta, improvvisamente e inaspettatamente, le atmosfere delle primissime avventure del personaggio, con tanto di citazioni esplicite all’esordio del diabolico vendicatore.
Personalmente ricordo che restai spiazzato da questa visione di Paperinik, quando lessi in diretta la storia, essendo stato fino ad allora abituato al personaggio in versione “eroe positivo”. Michelini ripescò invece volutamente quella figura quasi torbida degli inizi, sia nella sua caratterizzazione che nell’intreccio nel quale lo calò. I disegni gotici di Carpi fecero il resto, consegnando quest’opera del 1996 alla leggenda.
Poteva essere il primo episodio di una serie parallela che recuperasse certe venature, ma restò invece un caso isolato.
Occorse aspettare qualche anno perché elementi legati ai natali di Paperinik venissero invece ripresi da Marco Gervasio in alcune storie che esploravano maggiormente la figura di Fantomius, il ladro gentiluomo a cui Paperino si ispirò per portare in vita il proprio alter ego mascherato.
Paperinik e l’ombra di Fantomius, Paperinik e il tesoro di Dolly Paprika, Paperinik e il segreto di Fantomius e Paperinik e il passato senza futuro furono le “prove generali” per impostare successivamente la fortunata serie Le strabilianti imprese di Fantomius, ladro gentiluomo, ma servirono certamente – soprattutto le prime due – a dare anche una visione diversa del paladino di Paperopoli che, senza rinnegare l’attitudine eroica, riusciva a riportare in scena anche quella primigenia.
Ma è dal 2019 che Gervasio ha avuto l’opportunità, grazie al patrocinio del direttore Alex Bertani, di impostare una vera e propria ricostruzione programmatica di Paperinik, diventandone di fatto lo showrunner e decidendo in concerto con la redazione di calcare la mano sull’aspetto vendicativo, mettendo sostanzialmente da parte quello da supereroe.
Un azzardo, se vogliamo, considerando che la narrativa disneyana è ormai ben diversa da quella che portò nel 1969 al desiderio di rivalsa di un Paperino bistrattato e umiliato: il personaggio è passato nei decenni per diverse sensibilità autoriali e storiche, che nel tempo hanno smorzato certi eccessi di vessazioni nei suoi confronti.
Paperino rimane comunque un perseguitato dalla sorte e dalla società, anche se gode magari di maggior comprensione e affetto da parte di chi lo circonda, e quindi un minimo terreno di spunti per poter stimolare un certo spirito di rivalsa “mascherata” lo si può facilmente trovare: in particolare nelle prime due avventure di questo nuovo corso (L’inghippo del “B&B” e La disfida di Villa Rosa) Gervasio lo dimostra efficacemente, riuscendo a ripristinare, pur inevitabilmente addolcite, le atmosfere degli esordi.
Gradualmente il concetto si è però spostato direttamente su Paperinik: il vendicatore interviene non tanto per riscattare l’onore e le sorti della propria identità civile, quanto per difendere l’immagine di Paperinik stesso. L’introduzione del miliardario Red Duckan, che cerca di lucrare sulla nomea dell’eroe (in Paperinikland con l’omonimo parco divertimenti, in Mi chiamo Paperinik con una serie streaming) è una perfetta chiave di volta di questo approccio, ma anche episodi come I giorni del disonore o Caccia a Paperinik portano avanti tale discorso.
L’andazzo non indica in alcun modo una valutazione di merito: la run gervasiana per quanto mi riguarda è piuttosto piacevole, con alti e bassi, ma generalmente funziona e ha avuto il merito di dare rinnovato senso di esistere a una figura che, imprigionata nella caratterizzazione parodistica o soft di un normale supereroe urbano, tipica del mensile a lei dedicato, rischiava di non avere più molto di interessante da dire.
Rimane però lo straniamento di un personaggio che sembra “vivere di rendita”, entrando in campo sempre più per difendere la sua leggenda piuttosto che il papero che sta dietro la maschera. Diventa quasi autoreferenziale, diciamo.
Fortunatamente esistono eccezioni a questo schema, come La minaccia alla fattoria e la recente Il Capodanno con il danno, che infatti spiccano per la loro capacità di divergere da quanto descritto.
Ad ogni modo è chiaro che l’iter attuale è quello di mostrare sul settimanale un Paperinik “ambiguo”, al confine della legge più che un eroe cittadino e, al di là del fatto che si indugi troppo sul suo stesso mito, trovo che sia una restaurazione intelligente del personaggio per renderlo più conturbante rispetto alla semplice caricatura dei vigilanti mascherati.
Se si dovesse riassumere Paperinik in una parola, questa potrebbe essere “inquietudine”: un sentimento che accompagna con convinzione le prime, oscure scorribande del papero mascherato per poi portare a un’evoluzione sicuramente più leggera ma non priva di continue ricerche e sperimentazioni anche nella versione eroica (chi ricorda le due parodie di film di Indiana Jones?), sintomo di un’inquietudine di fondo che ha portato a un cantiere perennemente aperto nella costruzione della sua identità.
Il salto in alto che ha rappresentato il progetto PK ha riportato atmosfere prettamente inquiete nelle avventure dell’eroe, anche se stavolta coniugate in maniera fantascientifica, mentre il revival vendicativo degli ultimi anni, cercando di restaurarne il DNA “sul limite delle legalità”, propone un distillato di inquietudine – nei limiti del fumetto disneyano del post-2020 – che guarda al glorioso passato del personaggio.
Un’evoluzione quasi circolare, quindi, capace di arricchirsi di passaggio in passaggio ma che sembra testimoniare l’incredibile forza della trovata di Guido Martina, anche a 54 anni di distanza dal suo esordio.
Per saperne di più:
I “miei” cinque albi su Paperinik
Io, Paperinik: Paperopoli’s Knights
Ciao!
Trovo che questo articolo sia un approfondimento molto interessante per conoscere la storia del personaggio di Paperinik; sapevo già molte di queste cose ma un ripassino non fa mai male!
Per quanto riguarda il Paperinik delle origini, rimane una delle mie incarnazioni preferite. Da piccola trovai il volumone “Io, Paperinik” degli anni ’80 a casa di mia nonna. Lo trovo veramente interessante: oltre a contenere alcune delle storie più importanti di Paperinik (“Il diabolico vendicatore”, “Paperinik alla riscossa”, “Il doppio trionfo” e altre), conteneva anche redazionali in apertura che spiegavano alcuni aspetti del personaggio. Il primissimo Paperinik è un personaggio davvero affascinante, ha in sé tutta la rabbia accumulata da Paperino in decenni di vessazioni (soprattutto nelle storie italiane) e incarna il desiderio di rivalsa: insomma, questo Paperinik non è un personaggio del tutto positivo, ma ha intorno a sé dei parenti che sono autentici criminali, e questo entourage giustifica in qualche modo le sue azioni e porta a simpatizzare per lui.
Il Paperinik supereroe è quasi un altro personaggio rispetto al vendicatore. Ho sempre pensato che la versione migliore del supereroe sia Pikappa, forse perché la sovrabbondanza di storie da supereroe “urbano” ha reso monotona quest’ultima incarnazione. Il “fenomeno Pikappa” è stato una vera rivoluzione negli anni ’90 per il modo di concepire non solo Paperinik, ma il fumetto Disney in generale.
Negli ultimi anni si è voluto mettere ordine in qualche modo ai vari Paperinik con una coesistenza del vendicatore con il supereroe (specialmente ultimamente su testate diverse: Topolino e Fuoriserie). Personalmente adoro Paperinik a 360 gradi, quindi qualunque incarnazione del personaggio è da me gradita. Sicuramente Paperinik ha conosciuto tante interpretazioni nella sua storia cinquantennale, e non smette tutt’oggi di stupirci.
Grazie per l’apprezzamento, Korinna, e per il tuo commento 🙂
Quel tuo inciso sulla nascita di Paperinik è peculiare e ho cercato di farlo emergere in un passaggio dell’articolo: quando dici che i suoi parenti sono dei criminali nelle storie di Guido Martina e di altri sceneggiatori coevi che guardavano direttamente all’autore di Carmagnola, dici il vero, ma è una deviazione fatta di eccessi dovuti alla visione martiniana. Eppure, senza questi eccessi, non sarebbe nato un personaggio suggestivo e che amo particolarmente.
È una considerazione che mi dà sempre da pensare ^^”
È verissimo, io per prima preferisco una visione più leggera del rapporto Paperino-parentado rispetto a quella martiniana, che è ricca di eccessi come dici tu (l’eccesso degli eccessi è e rimane “Paperino e il muro del riso”, storia scorrettissima e ultra martiniana, non so se hai avuto occasione di leggerla).
Ma Paperinik nasce grazie a questo, ed effettivamente fa davvero riflettere.
Ciao 🙂