Cyril Pedrosa(Poitiers, Francia, 1972) si appassiona ai fumetti sin da bambino e decide di farne un mestiere. Studia animazione presso la scuola parigina di Gobelins, e successivamente lavora per la Disney ai lungometraggi Il gobbo di Notre Dame e Hercules come intervallista e assistente animatore.
Dall’animazione eredita un tratto dinamico, evocativo ed espressivo, che applica ai molteplici lavori a fumetti, come quelli nati in collaborazione con lo scénariste David Chauvel, Ring Circus (che lo vede alle prese anche con la colorazione) e Shaolin Moussaka, editi in Francia da Delcourt.
In Italia di Cyril Pedrosa sono stati pubblicato Tre ombre (Edizioni BD), Autobio (Q Press) e il suo capolavoro: Portugal (Bao Pubblishing) vincitore del Prix De la BD Fnac ad Angoulême (2012).
Visto che il tuo lavoro non è ancora conosciutissimo in Italia vorrei che prima di tutto tu ci raccontassi la tua storia come disegnatore. Come hai iniziato? Ho letto che hai fatto un’esperienza alla Disney
Ho cominciato la mia carriera nei cartoni animati, dopo aver studiato presso l’Ecole des Gobelins. Ma è stata un’esperienza piuttosto breve, meno di due anni negli studi Disney di Parigi all’epoca del “Gobbo di Notre Dame” e “Hercules”. Fin dall’infanzia ho desiderato fare fumetti, ma a quel tempo non ero in grado di inventare storie. È l’incontro con lo sceneggiatore David Chauvel che mi ha dato il coraggio di lasciare l’animazione. É con lui che ho fatto i miei primi libri, la serie “Ring Circus” e poi abbiamo lavorato insieme per quasi dieci anni. Successivamente, a poco a poco, mentre allo stesso tempo stavo lavorando con David, ho cominciato a scrivere storie da solo nel mio angolo.
La storia di Tre Ombre è una di quelle fiabe che paiono rivolte soprattutto agli adulti, come buona parte dei film di animazione degli ultimi anni. Sei d’accordo con questa interpretazione? Ti piacerebbe tradurre in animazione questo o altri tuoi lavori?
Continuo a pensare che la maggior parte dei film di animazione degli ultimi anni sono per tutti, vogliono piacere a tutti, almeno per i film prodotti dalle grandi major americane. Per “Tre Ombre” non mi sono mai veramente chiesto a chi fosse indirizzata la storia, per quali lettori. Ho raccontato questa storia soprattutto per me. Ma è più facile per un libro non chiedersi qual è il suo pubblico, qual è il target, basta prendere un pezzo di carta, una penna, e raccontare una storia. Per fare un film d’animazione ci vogliono milioni di euro, è logico che le persone che finanziano questi progetti si interroghino su quale pubblico andrà a vedere il film che hanno prodotto. Penso che ci sia molta più libertà nel fare libri.
La natura è protagonista dei tuoi libri. Non soltanto in Autobio, quanto, e sopratutto in Tre Ombre e Portugal, il contatto con l’ambiente ha la capacità di “curare” gli animi dei protagonisti. Racconti il mondo per come credi che dovrebbe essere o è semplicemente quello che sperimenti su di te?
Penso che sia solo un’esperienza per me. Io non so se è la natura che mi guarisce, non lo direi così. Direi che a volte mi sento un po’ più vivo quando sento che sono parte di un qualcosa molto più grande di me, io sono come un elemento di un ecosistema.
Passando a parlare di Portugal, mi sembra un lavoro davvero complesso, sono curiosa di sapere quanto tempo è stato necessario per realizzarlo.
Ho dovuto lavorare per circa due anni e mezzo su questo libro, contando lo script.
Dalla Disney allo stile di Portugal, tra i due mi sembra ci sia un abisso. Com’è avvenuta questa evoluzione?
Sì, certo … Mi ci sono voluti diversi anni per sbarazzarmi dell’influenza grafica dell’animazione, e rimettere in discussione tutto il mio lavoro, il mio disegno. Questo mi ha preso tempo, anni e spero che durerà tutta la vita. Mi piacerebbe molto che il mio tratto evolvesse durante tutta la mia vita e non si ripetesse mai.
Portugal è un fumetto in cui sono importantissimi i suoni, la musica ma soprattutto le voci della gente. Mi sembra che tu abbia usato il lettering in portoghese della gente che cammina per la strada non tanto perché si comprendessero i dialoghi ma proprio come accompagnamento musicale delle scene narrate. È così? A me sembra una cosa straordinaria perché è forse la prima volta che lo vedo in un fumetto.
Sì, è esattamente quello che ho cercato di fare. Il portoghese, per me è come una musica familiare: io non lo capisco, ma conosco la melodia di questa lingua e mi piace. E volevo cercare di trovare il modo di parlare di questo con il linguaggio del fumetto. Ma non credo di essere il solo a fare questo tipo di cose.
Ho letto in giro che si tratta di una storia autobiografica, volevo chiederti se è vero e se quest’opera ha coinciso con un periodo particolare della tua vita.
La storia è in parte autobiografica, in parte inventata. Ho lavorato a questo libro in un momento della mia vita un po’ complicato, quando avevo l’impressione che non avesse più molto senso. Il mio lavoro sembrava irrilevante, i miei anni di impegno politico sembravano inutili, e io mi facevo un sacco di altre domande sulla mia vita personale. E poi, per caso, come nel libro, sono stato invitato a una festa a Lisbona e ho sentito lo stesso “shock” che sente Simon. E in effetti, penso che tutta la mia vita sia cambiata dopo quest’esperienza.
Mentre disegnavi Portugal ti sei reso conto dell’importanza del fumetto che stavi realizzando e dell’eco che avrebbe avuto dopo?
Per me è sicuramente uno dei fumetti più importanti che ho letto negli ultimi anni.
Mentre lavoravo a questo libro, avevo più paura di fare flop, di non riuscire ad andare lontano quanto avrei voluto. Avevo paura che la storia non interessasse a nessuno, e che i disegni fossero troppo strani per i lettori.
Volevo farti una domanda sul finale (senza voler rivelare troppo ai lettori). La lettera del nonno Abel mi sembra che invece di “svelare il mistero” su cosa è davvero successo tra i due fratelli, getti invece ancora più interrogativi. Non ti dico il panico che ho provato quando per un attimo ho pensato che tu avessi deciso di non mostrare la lettera ai lettori…
Questo è vero, in realtà la lettera non rivela nulla, non svela il mistero, perché è così che succede nella vita: il passato è spesso incomprensibile, irraggiungibile. Ma ciò che mi interessa, ed è un po’ quello che fa questa lettera nonostante i misteri, trasmette qualcosa di generazione in generazione.
Mi sembra di vedere una linea comune in alcune pubblicazioni uscite negli ultimi anni. Trentenni che scelgono sempre più spesso il doloroso tema del dramma familiare. Mi riferisco in particolare ad Alison Bechdel (Fun home e Are you my mother?), David Small (Stitches), ma anche in Italia Gipi con “S”. Insomma sembra che per la mia/nostra generazione i nodi siano venuti al pettine, dobbiamo cioè fare i conti col passato. Cosa ne pensi?
Penso sia compito della generazione degli adulti riconciliarsi con il passato, giusto? Quello che è nuovo nel fumetto, diciamo da una ventina d’anni, è che è diventata una forma d’espressione totale in grado di coprire tutti gli argomenti, tutte le preoccupazioni, ossessioni, nevrosi. Penso anche che in ogni momento della sua vita un autore affronta esperienze particolari che influenzano il suo lavoro. Magari nel bel mezzo della nostra vita, come nel mio caso, siamo interessati a sapere quale direzione vogliamo dare alla seconda metà, e per questo è necessario capire un po’ del nostro passato.
Quali sono i tuoi fumettisti preferiti, c’è qualcosa che ti piace in Italia?
Ci sono molti fumetti e autori che mi piacciono molto. Blutch, Chris Ware, Hugo Pratt, Gipi, Manuele Fior, che ha appena pubblicato un bel libro in Francia per Futuropolis. Ma potrei citarne anche molti di più…
Volevo chiederti qual è stata la risposta del pubblico per Portugal e cosa ne pensano i tuoi familiari
Sono fortunato, il libro ha avuto molti lettori in Francia, e ho ricevuto un sacco di lettere, e-mail, anche da persone che a volte non avevano una storia di migrazione nella loro famiglia ma che erano per molte ragioni interessate dal problema dello sradicamento. Per me è stato sconcertante, spesso mi hanno raccontato cose molto personali. La mia famiglia ha letto il libro in modo diverso, pensando alla storia che noi condividiamo intimamente, e questo li ha influenzati in modo diverso a seconda del rapporto che ognuno ha con la storia di questa famiglia.
L’ultima domanda non può che essere sui progetti futuri, cosa bolle in pentola?
Al momento sono impegnato con diversi amici scrittori (Gwen de Bonneval, Fabien Vehlmann, Hervé Tanquerelle e Bruno) in una rivista mensile di fumetti chiamata “Professor Cyclops” (www.professeurcyclope.fr). La si può trovare anche sul web molto facilmente.
E poi ho iniziato a disegnare le pagine del mio prossimo libro di cui finito la sceneggiatura pochi mesi fa. Si chiamerà “Chasseurs-cueilleurs” (cacciatori-raccoglitori). E’ la storia di diversi personaggi che vivono un momento nella loro vita in cui sperimentano la sensazione di solitudine interiore, vivono qualcosa che ritengono di non poter condividere. Eppure, sono interconnessi. Penso che con questo libro sto cercando di capire qualcosa di cosa dà senso alla mia vita. Beh, sì, credo.
Ringraziamo Cyril Pedrosa per la disponibilità.