Dylan Dog e Pessoa: l’orrore degli eteronimi
Come noto, su questo blog “Come un romanzo” annoto le intersezioni tra letteratura e fumetto, cercando di non limitarmi agli adattamenti letterari o alle biografie fumettate di scrittori, ma anche degli altri casi più liminali e, spesso, più interessanti.
L’ultimo Dylan Dog Old Boy contiene una storia, la prima, di Carlo Ambrosini autore completo, che introduce in questo fumetto popolare un concetto interessante, quello degli eteronimi, sfruttati ai fini dell’horror dylandoghiano, sia pure nella concezione autoriale di Ambrosini stesso.
L’albo, tra l’altro, si denota per un cambio di copertinisti: i Cestaro sono passati sulla serie mensile ammiraglia, come noto, e quindi sono stati sostituiti da Montanari, con Grassani storico nomi della testata dal lontano terzo numero, a fianco di Bacilieri (con cui aveva cooperato anche a “Graphic Horror Novel”, tra i numeri più interessanti e sperimentali della testata). Bacilieri, su testi di Ostini, firma anche la seconda storia dell’albo.
La cover è interessante, perché gioca di nuovo sul fonder un Dylan molto tradizionale, in lotta con gli zombies, con un dipinto di Magritte, “La condizione umana”, che nel titolo evoca bene le tematiche poi presenti nella storia di Ambrosini, giocata come al solito sul nonsense dell’esistenza (tramite, come abbiamo detto, l’elemento letterario). Il gioco della mise en abime è interessante, perché l’elemento orrorifico – tranne due dita di una mano che spunta – è circoscritto al “dipinto nel disegno”, mentre il resto potrebbe apparire ordinario.
Notiamo anche, similmente, la scritta in sovraimpressione (che non amo molto, in realtà, di solito, nel suo “sporcare” la cover rispetto alla massima pulizia grafica) che ribadisce “Ceci n’est pas une pipe(tte)”: richiamo ad un altro ancor più celebre dipinto magrittiano, sempre col senso di messa in discussione della presunta verità della rappresentazione.
La storia inizia con una carrellata di volti che torneranno nel racconto, poi Dylan ha un incidente e rischia di investire l’alter ego nella storia di Fernando Pessoa, lo scrittore dal cui lavoro verrà ripreso il tema di fondo dell’albo.
La storia procede inizialmente in modo classico, con l’arrivo della cliente, Dylan che non le crede, lei si allontana, lui si risolve ad aiutarla. Gradualmente, anche tramite la fidanzata del mese, libraia, cogliamo la connessione tra lo scrittore, i demoni che affliggono la cliente, Melissa, e le sue opere letterarie (nel suo studio, attendono pazienti sia il persecutore di Melissa, sia i protagonisti del racconto “L’esorcista”, che dopo leggeremo assieme a Dylan).
Il gioco di specchi si fa, come sempre in Ambrosini, intricato, perché se da un lato si sta citando Pessoa (e dopo diverrà esplicito), dall’altro il libro scritto da uno dei suoi eteronimi, “L’esorcista”, rimanda al romanzo di William Peter Blatty del 1971, antesignano del nuovo horror e fonte – tra le molte – anche di Dylan Dog.
La storia dell’esorcista irregolare è però condotta, con un altro pastiche, ambientandola in quello che pare quasi un rimando al Don Camillo di Guareschi (non nell’aspetto filmico di Fernandel: ma, del resto, il rimando sarebbe qui più al libro) che pare richiamato nelle pose, nei modi spicci, nelle soluzioni adottate. Il tutto si mescola ai temi dylaniati: Dylan ne è il chierichetto, Groucho il diavolo di quartiere.
I rimandi nella libreria a Oskar Kokoschka e Max Beckmann, invece, paiono rimandare più all’evoluzione del segno di Ambrosini, sempre più essenziale e, appunto, espressionistico (con un rimando, ovviamente, più alle incisioni che ai dipinti a colori). Nell’albo tuttavia appare ancora un altro riferimento visivo, quello a George Grosz, apertamente citato (p. 64).
Il rimando a Italo Calvino è di nuovo obliquo: si cita il Barone Rampante, ma la narrazione calviniana con gli eteronimi è “Se una notte d’inverno un viaggiatore” (Pessoa, invece, viene esplicitamente citato, p. 72 e altrove, dato che è assolutamente centrale, fino al trasparente anagramma Sepaso per lo scrittore, palesato poi in “Fernando” a p.93). Interessante che, oltre a “Stelle che sanguinano nel pozzo” di Rita Vicario, dovrebbe esserci un terzo eteronimo che non viene svelato (p.41) tra quelli pubblicati: forse legato a Dylan, forse ai personaggi non presenti nei due romanzi introdotti nella storia (vedi p. 86).
In ogni caso, un intrico brillante, come al solito in Ambrosini, per una storia metanarrativa e melanconica in grado di costituire una interessante sfida di decifrazione per il lettore.
P.S.: Pessoa era stato già protagonista su Dampyr, in una storia più tradizionale. Ne ho scritto qua.