
“Sciuscià e i suoi fratelli. Partigiani e Resistenza nel fumetto” di Pier Luigi Gaspa è un bel volume edito da Rider Comics che analizza, appunto, la vasta mole di fumetti che, dal 1944 in poi, hanno trattato tale tema. L’opera si apre con due autorevoli prefazioni di Emanuele Vietina, direttore di Lucca Comics and Games, e Veruska Motta, curatrice editoriale di Lucca Comics.
L’autore, in una trattazione rigorosa e accurata, parte dal 1944, anno in cui, ancor prima della fine del conflitto, appaiono a Napoli gli “Albi Libertà” dove protagonisti sono vari partigiani e le loro azioni coraggiose (appare anche Armida, dal nome tassiano, prima eroina femminile della resistenza a fumetti). La ricognizione compiuta permette all’autore di mostrare, oltre al resto, come nel primo fumetto partigiano apparissero senza problemi i nemici fascisti (mentre in seguito si preferiscono antagonisti nazisti per non toccare il tema delicato della guerra civile tra italiani). Inoltre all’inizio, in tempi duri di conflitto in corso o appena concluso, la violenza è rappresentata senza problemi anche in albi rivolti a un pubblico infantile, e anche da parte degli eroi.
Con la riapertura dell’Intrepido nel 1945 appare “Cuore garibaldino”, quindi “Il partigiano Pam” (1946), con i disegni di alta qualità di Nino Camus, nome d’arte di Giovanni Camusso, dal tratto di grande modernità e poi precocemente scomparso. Nel volume si riporta dell’autore “Il figlio fucilato”, storia breve di quegli anni che spicca per la raffinatezza del segno e della complessità psicologica messa in scena, col padre antifascista che cerca invano il figlio repubblichino fatto prigioniero dai partigiani. Una complessità lontana dai toni a volte enfatici di altre opere resistenziali, che ricorda quella poi sviluppata, in letteratura, da autori quali Fenoglio e Pavese.
Numerosi altri esempi conducono al “neorealismo a fumetti” di “Sciuscià” (1949), che appare anche nel titolo a sottolineare la sua importanza. L’opera nasce all’indomani della grande fioritura del cinema neorealista, che parte dal racconto amaro della Resistenza e della dura Italia postbellica, dove spicca appunto il film “Sciuscià” di Vittorio De Sica e Zavattini (gli “sciuscià”, italianizzazione di “shoe shiner”, lustrascarpe, sono i bambini figli della guerra, orfani e abbandonati a sé stessi). Nel fumetto, evidenzia il saggio, c’è un ribaltamento che rende i giovani protagonisti eroi di stampo avventuroso classico.
Anche molti altri fumetti, del resto, hanno come protagonisti partigiani fanciulli di fantasia, un fenomeno realmente esistente (il monregalese Franco Centro, di soli 15 anni, venne fucilato dai nazifascisti) ma qui utilizzato anche per sfruttare il maggiore aggancio emotivo coi piccoli lettori, loro coetanei.

Se il fumetto “Sciuscià” del 1949 è ancora molto duro, la sua riedizione nel 1955 vede la censura di dialoghi e scene troppo violente. Anche i riferimenti contro “i tedeschi”, ora alleati, vengono smussati. Nel 1961 inoltre sarebbe poi stato approvato il “codice di garanzia morale” del fumetto su imitazione di quanto avveniva in USA sulla scorta di Wertham e della polemica antifumettistica aperta da “La seduzione dell’innocente” (1954).
Personalmente aggiungo che in questo dibattito italiano interviene anche Guareschi sul “Candido”, contrario alle posizioni censorie USA, che usa anche un curioso parallelo tra partigiani e eroi fumettistici: è ipocrita censurare gli immaginari pistoleri spietati del western (dove perlomeno è chiara la divisione tra i bene e il male) se nel mondo reale è evidente la violenza vicinissima, appena passata e ora congelata nella “guerra fredda”, spesso ambigua nei suoi fini ma tollerata o ignorata.
Sono infatti gli anni in cui il western ottiene grandi successi al cinema e nel fumetto. Più ancora che Tex (1948), che assumerà col tempo la sua assoluta centralità nel fumetto italiano, saranno “Capitan Miki” (1951) e “Il Grande Blek” (1954) e infine il “Comandante Mark” del trio torinese EsseGiEsse a riscuotere un grande successo di pubblico. L’autore argomenta in modo convincente che il successo del tema di Blek in lotta contro le Giubbe Rosse occupanti inglesi si colleghi a quello della Resistenza contro i nazisti invasori, occupazione che in Piemonte era stata particolarmente spietata. Solo Dario Guzzon aveva partecipato alla Resistenza, con la brigata monarchica del monregalese Mauri, mentre, stando a una sua intervista, Sartoris e Sinchetto erano “dall’altra parte”. In qualche modo – stando a una tesi di Dario Guelfi, che l’autore riprende – emerge una sintesi di un sentimento ostile all’invasione tedesca da un lato, ma anche un certo spirito anti-inglese ancora serpeggiante (mentre l’invasione culturale americana poneva gli USA dalla parte dei “buoni” nell’immaginario).
Il saggio dedica poi un quinto capitolo a “Il Pioniere” (1950-1962), la rivista per ragazzi del partito comunista italiano sotto Togliatti, il quale però – come Nilde Iotti – era scettico sul fumetto, percepito come medium di influenza americana, che venne quindi utilizzato in modo parziale, pur apparendo sul Pioniere dal 1951. Gli eroi partigiani reali che vi vengono raccontati mirano a costruire un nuovo immaginario fondante, da opporre a quello romano costruito dal fascismo.
Con la chiusura del Pioniere avviene un parziale accantonamento della resistenza a fumetti. A sinistra testate come “linus” (1965), pur con omaggi saltuari anche importanti (Valentina Rosselli di Crepax deve il suo nome in omaggio ai due leader dell’antifascismo esiliato in Francia, trucidati dalle spie fasciste) non la riprese mai sistematicamente. Dall’altro canto, emersero collane come “Super Eroica” (1962) in cui il racconto della seconda guerra mondiale passa attraverso il racconto degli eserciti regolari, tramite la traduzione dei fumetti di guerra della Fleetway inglese o con la realizzazione di storie italiane dove, spesso, appare anche una rappresentazione critica o ostile della resistenza, enfatizzando episodi come la collaborazione del boss mafioso Lucky Luciano nell’organizzazione dello Sbarco in Sicilia. L’autore del saggio, con citazioni, la pone nettamente come fake news, limitando il ruolo della mafia italoamericana nel controllare i portuali italiani in una fase delicata, in USA: Luciano venne in effetti scarcerato comunque anticipatamente il 3 gennaio 1946 “per i servigi resi alla marina della nazione”.
Un capitolo è poi dedicato alla parziale ricezione del tema partigiano nel fumetto d’autore degli anni ’60 e ’70, dove si evidenziano molti nomi illustri che si sono occupati del tema (Zavattini, Buzzelli, Crepax, Pratt, Oesterheld…) ma in modo meno sistematico, mentre invece occasionalmente il tema appare sul Corriere dei Piccoli, dove appare oltre al resto una storia dedicata al cuneese Duccio Galimberti. Mi viene da ipotizzare che, forse, proprio la natura didattica e quindi didascalica di questo fumetto resistenziale tenga relativamente lontani autori che vogliono un fumetto maturo e complesso (Pratt cerca di restituirlo nella sua storia, dove illustra anche i dissidi interni della resistenza e mostra la pluralità anche delle brigate garibaldine, non uniformemente comuniste).
Proseguendo col fumetto “didattico”, troviamo che “Storia d’Italia a fumetti” (1986) di Biagi è molto reticente sulla Resistenza (oltre alla sua scarsa riuscita fumettistica, data l’inesperienza di Biagi nel fumetto che lo porta a una sequela di lunghe e verbose didascalie), mentre sul “Giornalino” cattolico dal 1988 appare la serie “Uomini senza gloria”, storie comuni sullo sfondo della seconda guerra mondiale, molte di resistenza, dove torna anche la vicenda di Galimberti in un nuovo fumetto.
La ripresa di un fumetto resistenziale e “autoriale” si ha maggiormente verso il finire degli anni ’90, con l’affermarsi anche da noi del fenomeno della graphic novel a livello editoriale, romanzi a fumetti autoconclusivi venduti nelle librerie di varia. Maggiore diventa anche la presenza di storie femminili legate alla resistenza, prima minoritarie.
Insomma, un’opera che copre in modo accurato e dettagliato l’ampio arco storico del secondo dopoguerra analizzando con cura e con dovizia di dati la ricezione del fenomeno resistenziale nel fumetto, fornendo un quadro esaustivo e ragionato del medesimo. Un saggio sicuramente di grande interesse per chi ha intenzione di approfondire queste tematiche, in un momento storico in cui rischiano sempre di più di cadere nell’oblio.