Affinità – divergenze tra la compagna Nilde Iotti e noi.
Nilde (Leonilde) Iotti è stata probabilmente la più importante figura femminile della prima repubblica, e una delle più importanti in assoluto. Di origini umili, si diploma all’istituto magistrale, si laurea in lettere e inizia l’attività di insegnamento; durante la guerra si avvicina alla resistenza e al PCI. La sua attività politica nel partito comunista si sviluppa col primo parlamento democratico, dove è eletta nel 1946 e fa parte della Commissione dei 75 che stendono la costituzione: la Iotti in particolare si occupa del delicato tema del diritto di famiglia. Inizia in questo periodo la sua relazione con Palmiro Togliatti, segretario del PCI, già sposato: relazione che diviene evidente nel 1948, dopo l’attentato a Togliatti che, all’indomani dalle storiche elezioni vinte dalla DC, rischia di far precipitare la giovane democrazia nella guerra civile.
L’emergere della relazione suscita contestazioni anche in ambito comunista, oltre a divenire un’arma retorica nelle mani degli avversari politici più spregiudicati (anche in virtù della forte differenza di età tra i due: lui è 27 anni più vecchio). Nel 1950 i due adottano Marisa Malagodi, rimasta orfana dopo la morte del padre in una manifestazione operaia oggetto di una durissima repressione. La Iotti entra poi nel comitato centrale (1956, nell’anno in cui i Fatti di Ungheria producono una profonda spaccatura nella sinistra social-comunista italiana) e poi direzione del partito (1962).
Dopo la morte di Togliatti a Yalta (1964), la Iotti rimane figura di spicco del partito, e negli anni ’70 ne orienta le posizioni in favore della battaglia referendaria per il divorzio, vinta nel 1974. Nel 1979, all’indomani dell’omicidio Moro (1978), è scelta come Presidente della Camera, prima donna a ricoprire tale carica e prima esponente comunista. Il suo sarà il mandato tuttora più lungo in tale ruolo, fino al 1992. Le venne unanimemente riconosciuta una rigorosa neutralità nella gestione dell’incarico. Nel 1987 ottenne un incarico esplorativo per il governo (prima e finora unica donna ad averlo ottenuto), nel 1992 venne candidata dal PDS a presidente della repubblica (altro unicum). Presiedette poi la Bicamerale (1993-1994) per le riforme istituzionali, e dal 1996 fu vicepresidente del Consiglio d’Europa per l’Italia, fino alle dimissioni nel 1999 per malattia (e la morte lo stesso anno).
La Iotti è dunque una figura politica indubbiamente importante nella storia italiana. La storia non si fa con i sé: ma viene da chiedersi se non avrebbe potuto imprimere una svolta ancor più significativa riuscendo a ricoprire quegli incarichi (premiership nel 1987, presidenza repubblicana nel 1992) a cui si avvicinò così tanto: e non solo per lo spezzare una sequela maschile tuttora ininterrotta, ma anche per l’indubbia capacità e rigore politico.
Tuttavia, innegabilmente, la Iotti fu anche una avversaria del fumetto, all’interno del globale rifiuto del PCI dei primi anni ’50, sotto influsso dello stalinismo e del realismo socialista, nei confronti di una forma d’arte ritenuta capitalistica e quindi deteriore.
Il mondo cattolico (anch’esso tutt’altro che monolitico nelle sue posizioni, ovviamente) aveva un atteggiamento più ambivalente nei confronti del fumetto: il fumetto era deteriore se nelle mani sbagliate, ma nelle mani giuste (sostanzialmente, quelle della chiesa, con una tolleranza per il laico “Corrierino” e la Disney) diventava uno strumento formidabile di propaganda nelle giovani generazioni, e quindi encomiabile. La battaglia censoria era quindi contro ogni elemento erotico, anche blandissimo, fantastico (come i supereroi, o temi magici) e, in parte, violento (ma più a parole, perché un certo grado di azione era invece tollerato).
Nel mondo comunista italiano si era aperto un dibattito. Il primo intervento era stato quello di Lombardo Radice, nel 1946, che denunciava come perniciosa la penetrazione del fumetto americano; ma poi Elio Vittorini su “Il Politecnico” (1945-1947) aveva pubblicato comics americani, in un primo, precocissimo tentativo di affrontare in modo critico lo studio del nuovo medium. Togliatti era a questo punto però intervenuto in una arcinota polemica a stroncare le velleità di autonomia di Vittorini, accusato di “esaltare le avanguardie e l’arte decadente, alla continua ricerca del nuovo”, con la nota replica vittoriniana: “Il compito dell’intellettuale non è quello di suonare il piffero per la rivoluzione dando una veste poetica alla politica, ma quello di raccogliere tutti gli stimoli culturali che la società offre, per rinnovarla dal profondo”.
https://www.emergenzeweb.it/battaglia-fumetti-comunista/
Se quello di Vittorini era l’impostazione intellettuale, Gianni Rodari, invece, aveva dato vita assieme a Marisa Musu a un giornale per giovani di area comunista, “Il pioniere dei ragazzi” (1947), poi solo “Il pioniere” (1950), che è integralmente disponibile oggi online:
http://www.ilpioniere.org/1946-1950/pioniere-1947.html
Quando nel 1951 alcuni deputati DC avanzano una proposta di censura sui fumetti, la Iotti esprime, per il PCI, una posizione similmente ostile al fumetto, sia nei suoi interventi in aula, sia su “Rinascita”, pur opponendosi alla censura invocata dai democristiani (che diverrebbe, nelle loro mani, pericolosa anche per i prodotti comunisti per ragazzi).
“Io vedo nel fumetto qualche cosa che può essere paragonato – con tutto il rispetto per delle forme d’arte superiore – a quello che è la pittura astratta o la poesia ermetica: espressioni di una società decadente.” (intervento parlamentare per la censura dei fumetti, 1951, citato in Bindi, Raffaelli, “Cosa è il fumetto”).
Interessante nel discorso in aula la ripresa di temi già propri di Togliatti: la società borghese è decadente, e ciò si esprime con forme deteriori, cervellotiche come una pittura astratta o una poesia ermetica (che oggi, naturalmente, vengono valutate in modo nettamente positivo, in modo concorde da parte della critica e delle posizioni culturali ufficiali).
Il parallelo tra il fumetto e queste due forme potrebbe far pensare che si parli di un segno e di un testo ugualmente criptici, cosa che non è. Certo, il fumetto di allora è invece orientato alla massima chiarezza comunicativa: ma quello che lo accomuna è, nel discorso della Iotti, il divergere dal “realismo” in quella che diviene una forma di “evasione dal reale”: “alta” quella di ermetismo e cubismo (definiti infatti “arte superiore”, benché decadente), “bassa” quella del fumetto.
La Iotti critica poi la violenza del fumetto americano, ma non si limita a questo e lo ritiene intrinsecamente diseducativo, anche perché nato nella sua forma moderna sotto Hearst, magnate capitalista per eccellenza, con Yellow Kid (1895, effettivo punto di svolta del “fumetto industriale”) e quindi espressione intrinseca di quel modello sociale.
“il fumetto afferra la mente attraverso poche immagini e sostituisce una serie violenta di queste immagini alla ricerca dei particolari, di una logica e di un processo discorsivo. Le poche parole illustrative sono una molla, essa pure primitiva, che spinge da una immagine all’altra una mente che non lavora, non riflette, si impigrisce e arrugginisce mentre, d’altra parte, le vengono fatte passare davanti, come strumento d’avventura, le più portentose conquiste della tecnica. La osservazione dei fumetti è quindi cosa profondamente diversa dalla lettura. Non sostituisce la lettura, la sopprime”
È questo l’aspetto cruciale perché invece rifiuta la correlazione causa-effetto tra fumetto e violenza, sostenuto invece dai clericali per la “cattiva stampa” (anche perché, per un comunista, sono ben altre le cause del degrado, mentre per il clero di allora la società capitalistica funziona abbastanza bene).
«decadenza, corruzione, delinquenza dei giovani e dilagare del fumetto sono collegati, ma non come l’effetto e la causa, bensì come manifestazioni diverse di una realtà unica»
Nel suo intervento, la Iotti fa eccezione “di ufficio” per “Il Pioniere” ma anche, con una certa onestà intellettuale, per “Il Vittorioso”.
Su un successivo articolo su “Rinascita” (cfr. “Amore e politica nella vita di Nilde Iotti”, di Chiara Raganelli 2017) la Iotti aggiungerà anche una critica all’idea che il fumetto abbia una continuità con la pittura sequenziale: “I fumetti non sono una storia dipinta: sono piuttosto una lingua scritta per immagini”, con riferimento alle stringenti convenzioni grafiche del fumetto di allora (in particolare, Iotti critica la rappresentazione stereotipa del femminile, abbastanza a ragione in molti fumetti di allora, benché ovviamente non sia intrinseco al medium).
Rodari polemizzerà con le posizioni espresse dalla Iotti su Rinascita, affini ai suoi interventi in parlamento: sostanzialmente concorda per quanto riguarda il fumetto americano, ma ipotizza che, a differenza di quanto dice Iotti, sia possibile un fumetto “progressista”.
Molto interessante che sul Pioniere del 1951 Rodari faccia avviare un adattamento a fumetti del “Candido” di Voltaire. Un modo per stabilire una continuità illuminismo – comunismo, attaccare i nemici di clero e classe padronale con un modello autorevole e forse, anche, contendere al “Candido” di Guareschi – potentissimo rivale dei comunisti in quegli anni – l’eredità volterriana.
Nel 1952 Togliatti interverrà a dire come segretario una parola decisiva sulla questione, confermando in sostanza le posizioni già espresse da Iotti ma con qualche concessione alle posizioni di Rodari.
(vedi https://www.lospaziobianco.it/fumetti-contro-tutti-seconda-parte)
La distinzione tra forma e strumento o genere o mezzo, non ci pare che regga, ed è da respingere l’affermazione che ci troviamo di fronte (anche in questo caso!) a una specie di nuova lingua. […] Ammesso il carattere antieducativo dei fumetti, dunque, si propone che vengano tradotte ed espresse in fumetti storie educative. Così fanno certi giornaletti clericali, dove tra poco stamperanno in fumetti la storia sacra; […] Per conto nostro, non metteremo in fumetti la storia del nostro partito o della rivoluzione. Il fumetto a contenuto educativo, poi, è una cosa […] scipita, che non attira (Togliatti 1952)
Togliatti ammette invece che si possa cercare di far nascere “una narrazione figurata da contrapporre al fumetto, con commenti chiari che invitino alla lettura e conservino una dignità letteraria” e cita i casi delle immagini d’Epinal (che affiancano immagini e testi, senza l’uso del balloon, del “fumetto” appunto, e che hanno una matrice europea, nella fattispecie francese) e le stampe popolari cinesi (in Cina, negli stessi anni, sorgeva una tradizione ampia dei “fumetti di Mao”, poi raccolti e indagati in Italia nel 1971 in un volume da Eco, che andavano trattati con rispetto).
Da un lato, volente o nolente, Togliatti è qui in continuità con le posizioni espresse dal congresso di pedagogisti fascisti del 1938, che similmente puntava ad andare verso un fumetto più ricco di didascalie, come forma “intermedia” verso il romanzo illustrato e poi il romanzo tout court. Ma, in generale, e in misure diversi, tutti i pedagogisti sono favorevoli a un “arricchimento” del fumetto che implica spesso un rafforzamento delle parti testuali a scapito della pura immagine e della pura azione.
Da un altro lato, ironizzando (e citando una nota vignetta di Guareschi che non ho ritrovato sullo sciovinismo sovietico: “Chi ha inventato la radio? Stalin”), potremmo dire che Iotti e Togliatti “inventano il graphic novel”: un nuovo modo per chiamare i fumetti e continuare a usarli, cercando al tempo stesso di distinguersi da essi.
In questo modo, i fumetti continuano a essere tollerati sul “Pioniere” nelle annate seguenti, a patto che si smetta il dibattito su una loro potenziale validità artistica, cui Rodari, forse a malincuore, rinuncia (ci dovremo tornare). Essi sono tolti dalla prima pagina, e affiancati alle classiche storielle in rima – per i più piccoli – o con corpose didascalie e senza balloon.
Del resto l’importanza del fumetto era oggettivamente troppo grande per abbandonare del tutto il campo alla stampa laica (Bonelli, i personaggi Disney di Mondadori, il Corrierino, e altri) e a quella cattolica (Vittorioso e Giornalino).
Viene da chiedersi se l’antipatia di Iotti e Togliatti per il fumetto sia stata influenzata anche dalla mole consistente di vignettistica – spesso di tipo fumettistico, nel segno e nell’uso del balloon – utilizzata contro di loro in chiave personalistica: la loro relazione “peccaminosa” perché extraconiugale (invisa a un pubblico molto più ampio, allora, che non quello strettamente “di sacrestia”) divenne il fulcro di una campagna che si intuisce martellante.
Tuttavia non mancano ulteriori puntualizzazioni nel dibattito. Teresa Noce che, su “Il lavoro”, difende il desiderio di evasione delle compagne che leggono i fotoromanzi (disegnati o, ancor più, con fotografie: meno costose e più vicine al sogno cinematografico). Ammette ovviamente le ingenuità insite in quel sogno: ma criticarlo e basta, o illudersi di proibirlo, non risolve il problema (altre dirigenti femminili del partito invece concordano, ovviamente, con la linea del “Migliore”). Anche Marisa Musu, che collaborava col Pioniere, assume posizioni simili, di difesa soprattutto delle letture fumettistiche femminili.
Nel 1955 Togliatti deve tra l’altro ammettere amaramente che il partito non ha strumenti di propaganda efficaci per il pubblico femminile, che preferisce di gran lunga i fotoromanzi all’Unità o alle riviste femminili del partito.
Giuliana Saladino replica ribadendo la necessità di utilizzare la rivista illustrata ma anche il fotoromanzo per penetrare in questa fascia di popolazione, e proprio a partire dal 1955 il PCI cercherà di realizzare dei propri fotoromanzi, dove il tema sentimentale si associ a quello sociale, come in “L’amore vince sempre”, “Non è destino”, “Destino in pugno” (1959), ma anche poi le vite illustrate di Gramsci e Di Vittorio (1958), contrariamente a quanto riteneva Togliatti pochi anni prima (ma queste sono ovviamente “narrazioni illustrate”, non fumetti).
(vedi: Il fotoromanzo, Metamorfosi delle storie lacrimevoli, di Silvana Turzio · 2019; Chissà come chiameremo questi anni, Giuliana Saladino · 2013)
Alla fine, col passare del tempo, la stessa Iotti finì per modificare le sue posizioni, e – stando a Staino, il padre di Bobo, fumetto-coscienza critica del comunismo italiano – nel 1986, presentando in una delle sale della Camera il primo numero di Tango, allegato satirico dell’Unità (da cui nascerà poi “Cuore”), la Iotti fece una autoironica autocritica, ammettendo il superamento delle sue posizioni intransigenti degli anni ’50 (Storia sentimentale del P.C.I, Sergio Staino · 2021).
Non mancano infatti oggi, ovviamente, delle storie del PCI a fumetti: di recente ve ne è stata una di Mabel Morri (vedi qui), e una di Mezzavilla e Salvagno (vedi qui). Curiosamente manca però ancora una tappa, se non erro, alla riconciliazione tra fumetto e Nilde Iotti: un graphic novel biografico dedicato. Chissà che qualche fumettista, in futuro, non provveda.
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