Non mi è piaciuto XIII nella stessa misura in cui non mi è piaciuto I maestri dell’orzo, l’altro fumetto sceneggiato da Van Hamme proposto nella serie dei Classici di Repubblica. Ma poiché non sono fumetti privi di qualità, non è facile liquidarli così. Non mi sono piaciuti con un po’ di disappunto, perché avrebbero invece potuto.
Raccogliere in un unico volume un’intera saga, pur avendo il pregio di tirarne le somme, nello stesso tempo snatura lo stesso concetto di saga, ovvero di una storia ramificata e dilatata nel tempo. Raccoglierne, come nel caso di “XIII”, soltanto gli episodi iniziali, lascia certamente insoddisfatti. Ma questo rientra nella discutibilità delle scelte editoriali, che tra l’altro, personalmente, non discuto, perché non vedrei altro modo di presentare una saga lunghissima pur se conclusa, in un appuntamento come quello dei Classici di Repubblica. Anzi, una scelta del genere stimola la voglia di cercare edizioni più complete del fumetto, per cui si rivela un’operazione di marketing azzeccata. Le ragioni della mia insoddisfazione nella lettura di “XIII” vanno cercate piuttosto nello stile delle sceneggiature di Van Hamme.
Di solito mi piacciono i generi scelti da Van Hamme, come l’epopea familiare degli Steenfort e le avventure di XIII, proiettate in avanti dalla forza propulsiva di ciò da cui si fugge, e seguendo una vaga ed indeterminata destinazione reinventata giorno dopo giorno, per chiarire un mistero di cui non si posseggono le coordinate. Ma le sue sceneggiature assomigliano troppo a congegni ad orologeria messi a punto per ottenere determinati effetti, in determinati momenti. È come la differenza fra una buona commedia americana e una commedia scritta da I.A.L. Diamond (il regista di Buddy Buddy, ndr). Nel primo caso ci si diverte e ci si emoziona, ma con la sensazione di essere radiocomandati e di poter prevedere gli esiti comici delle situazioni presentate. Nel secondo caso si viene catturati in una girandola stravolta e spiazzante, centrifugati e strizzati, per poi uscirne felicemente strapazzati. Van Hamme non riesce, insomma, a disperdere la sensazione che il motore del racconto non sia un’emozione, ma semplicemente il risultato di un calcolo preciso ed efficace dei tempi. Anche il tratto del disegno, estremamente realistico ma piatto e privo di espressività, lascia freddi e delusi.
“XIII” nasce nel 1984, in un’epoca in cui la televisione comincia a diventare un mezzo di intrattenimento anche per le generazioni più giovani e per i bambini. Il fumetto di Van Hamme, pertanto, capta il nuovo linguaggio e ne tenta una ricodificazione fumettistica, ma trasforma le sue storie in una sorta di storyboard raffinato di una serie televisiva.