Il “Topo” di maggio 2025
Bentornati su Lo Spazio Disney!
Maggio è stato per me un mese impegnativo e stimolante: quello in cui ho trovato un appartamento in affitto in cui andare a convivere con la mia compagna Anna! Tra fine giugno e inizio luglio mi trasferirò, quindi, con tutti i cambiamenti che ne conseguiranno: questo potrebbe portare, specialmente nell’immediato, a un rallentamento della mia attività online, in particolare proprio per quanto riguarda il blog, le live (cambierà il setting, uuuuuh… chissà se rimarrà il Paperone di Don Rosa sullo sfondo? 😛 ) e Instagram, ma l’obiettivo è quello di non sparire troppo a lungo. È un “sacrificio” che vale assolutamente la pena di affrontare, per quanto mi riguarda, in vista di questo nuovo ed emozionante capitolo della mia vita.
Per ora, comunque, beccatevi il mio recap del “Topo” di maggio 😉
Maggio 2025: le storie da Topolino
Terravento – Capitolo Quinto, di Alex Bertani, Luca Barbieri e Mario Ferracina (n. 3624), porta a compimento quella che si è confermata essere solo la prima stagione del progetto; un finale non-finale, a dirla tutta, e la cosa mi ha lasciato un po’ stranito perché, pur accettando l’idea che in futuro la storia continuerà, mi sarei aspettato una chiusura vagamente più compiuta. Invece, anche tralasciando le ultimissime tavole che sembrano a tutti gli effetti un “ponte” con la season 2, quanto accade nell’episodio è sostanzialmente interlocutorio, se non nei fatti perlomeno nel modo di raccontare: l’escamotage classico è quello di una grande battaglia con l’avversario, in questo caso le Ombre, ma a parte qualche intuizione interessante è avvenuto senza troppo clamore e sottraendogli quindi quell’aura di magniloquenza che mi aspettavo a questo punto.
Non tutto è da buttare, in particolare ho trovato un ottimo Pippo (supporto comico della trama e non solo) e un modo molto azzeccato e perturbante di raccontare i rapporti tra i personaggi (Topolino e Minni, Topolino e i razziatori, Topolino e Jill), ma mi aspettavo di più.
Anche Ferracina non brilla, come se avesse riservato il meglio ai capitoli precedenti e qui si fosse frenato, a parte un paio di splash molto ispirate.
Terravento, nel suo complesso, risulta quindi un esperimento riuscito a metà, che nel risultato non ripaga compiutamente l’ambizione che lo guidava; ci sono però molti elementi promettenti, che confido possano essere sviluppati ulteriormente nel prosieguo.
Le altre storie di Pippo Novecento, di Alessandro Baricco, Tito Faraci e Giorgio Cavazzano (n. 3625), è un piccolo evento editoriale, per Topolino… questo sia detto in senso generale ma anche personale. Sotto il primo aspetto è infatti bene ricordare che La vera storia di Novecento è stato un evento di grande impatto in sé e per sé ma anche a livello simbolico: è stato uno dei primissimi progetti di punta varati dalla direzione di Valentina De Poli e, centrando in maniera così efficace l’obiettivo, ha in qualche modo rappresentato la pietra angolare di buona parte della sua gestione, dando il “la” a tante storie di altissima qualità e, in particolare, al nuovo filone di Parodie Disney che reinterpreta l’opera di partenza in maniera più fedele all’originale rispetto a un tempo.
Per quanto riguarda me nello specifico, invece, il Novecento disneyano è stata una delle storie che mi hanno spinto a riavvicinarmi a Topolino e al fumetto Disney dopo alcuni anni di totale allontanamento: incuriosito dal modo in cui sarebbe stato adattato il testo di Baricco e attratto dai disegni di Cavazzano, uscii estasiato dalla lettura e da allora ricominciai a tenere d’occhio quello che il settimanale avrebbe proposto.
Riprendere in mano quell’ambientazione e quei personaggi oggi, a 16 anni di distanza, era qualcosa di assolutamente rischioso: il Faraci e il Cavazzano odierni non son più quelli di allora e il pericolo era di consegnare qualcosa di molto lontano dalla prima avventura.
Ebbene, così non è stato: non so dire se il merito sia da ascrivere all’attenzione di Alessandro Baricco, alla magia di questo testo magnifico o al fatto che Tito abbia saputo ritrovare quella ispiratissima vena grazie all’insieme dell’opera, ma il risultato mi ha soddisfatto quasi completamente.
Pippo Novecento è ancora perfettamente in parte, con la sua genuina svagatezza e la sua levità che lo fa camminare sopra le miserie della vita, oltre che col suo enorme talento; l’inserimento di Gambadilegno e Trudy risulta ben amalgamato col contesto e gli spunti tematici sono funzionali, riuscendo a riprendere anche alcuni elementi del monologo di Baricco che non avevano trovato spazio nell’avventura (come il concetto della prima persona su una nave che avvista terra).
L’umorismo è ben presente – specialmente grazie alla coppia di criminali – ma senza pestare i piedi alla poesia di cui la storia si fa naturale portatrice, in un gioco di scambi virtuoso che rappresenta pienamente l’approccio disneyano alla scrittura: le battute non sono mai fuori posto, la comicità non è mai crassa ma portata con una certa intelligenza di fondo, anche quando gioca su elementi più “sciocchini”.
Il neo principale dell’operazione risulta dunque essere il disegno: chi mi legge da un po’ ormai sa che nell’ultimo paio d’anni ho riscontrato un certo calo nella qualità dei lavori di Giorgio Cavazzano. Il Maestro da una parte sta offrendo un lavoro sopraffino per quanto riguarda ambientazioni, edifici e mezzi di trasporto, ma dall’altra sta presentando dei personaggi a mio avviso graficamente quasi irriconoscibili, con vari dettagli che li penalizzano a livello estetico. Un cambio di passo che per me è un’involuzione e che purtroppo, vertendo sui principali attori in gioco, salta facilmente all’occhio, nonostante anche la bellezza di certi sfondi catturi lo sguardo.
È un problema che ravviso in particolare sui Paperi e su Topolino-Minni: in questo caso, quindi, a parte il buon Mickey che in alcune pose e alcune raffigurazioni del volto appare abbastanza “strano” o decollato, devo dire che Le altre storie di Pippo Novecento si configura come una delle prove cavazzaniane meglio riuscite degli ultimi mesi. La copertina del numero che ospita la storia mi aveva fatto temere assai per Pippo, ma nelle tavole l’ho trovato in forma decisamente migliore rispetto all’illustrazione di cover, per quanto lontano dai fasti del 2008. Per Gambadilegno ci sono maggiori criticità, in particolare nel viso, che lo deformano senza pietà… ma nel complesso tiro un sospiro di sollievo.
Menzione particolare alle prime due tavole lasciate a matita, nelle quali è facile intravedere che Re Giorgio non ha perso del tutto lo smalto e che da quella mano riesce ancora a far emergere scintille di magia sui personaggi.
Zio Paperone e l’indesiderata maglia rosa, di Niccolò Testi e Alessandro Perina (n. 3624), non mi ha affatto convinto, forse il primo passo falso di questo sceneggiatore per quanto mi riguarda.
La storia sportiva-marchettara è sempre un genere pericoloso, ma negli ultimi anni la redazione era riuscita a declinarla in maniera vincente mettendo la narrazione prima di tutto.
In un certo qual modo anche Testi lo fa, il problema è che attinge a siparietti e dinamiche trite e ritrite che non sembrano trovare nuovi modi di essere messi su carta: penso allo scontro tra Paperone e Rockerduck, penso al modo di descrivere di Paperino e Paperoga, penso all’uso piuttosto piatto e gratuito del vip paperizzato di turno (al contrario di quanto accaduto l’anno scorso con Sinner)… piacevoli i disegni di Perina, ma per il resto mi è parsa un buco nell’acqua.
Re Gambadilegno: Inseparabili – La corona di ghiaccio – Il mio regno per una struzzertola, di Francesco Artibani, Licia Troisi e Lorenzo Pastrovicchio (nn. 3624-3625-3626), sono i tre ulteriori episodi che compongono questo brillante spin-off di Ducktopia dopo l’esordio di cui vi ho parlato nel post sulle uscite di aprile.
Le ottime considerazioni fatte il mese scorso vengono qui ribadite e moltiplicate: il concept è fresco e accattivante, rappresenta un ottimo modo di tornare alle atmosfere della saga fantasy senza impegnarsi in un nuovo arco narrativo e ci restituiscono un Gambadilegno in forma smagliante. Oserei direi che erano anni che non vedevo il vecchio Pietro scritto così bene, in maniera tanto sfaccettata e realistica senza per questo andare a depotenziare il proprio lato negativo: non era semplice, considerando il ruolo inedito in cui gli autori l’hanno calato. Si riesce a non mandare tutto in burletta con facili mezzucci, mantenendo però ben salda la comicità a mò di valido supporto ad una narrazione fortemente ritmata e non priva anche di spunti di riflessione.
Un lavoro che conferma l’altissimo livello di Artibani, ribadisce la raffinatezza e la conoscenza disneyana di quella che poteva essere solo una semplice guest di lusso come Troisi ma che riesce ad essere ben di più e permette al grande Pastro di scatenarsi in tavole immaginifiche, che guardano direttamente al lavoro del “predecessore” Francesco D’Ippolito sulla griglia fondendolo con la sua indole (che già di suo è avvezza a rompere la scansione classica delle vignette). Il risultato estetico è un estroso pot-pourri di elementi naturali che, complice la sceneggiatura che ambienta ogni episodio in una diversa stagione, sono cangianti e ricchi di fascino. Per quanto riguarda Gambadilegno, l’artista guarda direttamente all’animazione disneyana degli anni Quaranta e Cinquanta, ispirazione che risulta chiara da certi primi piani sul volto per dettagli della bocca e per il taglio di talune espressioni.
Un lavoro mai fermo, mai domo e sempre stimolante, tanto per l’artista quanto per il lettore, forse una delle cose migliori di Lorenzo Pastrovicchio dai tempi di L’orizzonte degli eventi o, perlomeno, da Il regno di cristallo, terzo capitolo di Pippo-Nemo.
Applausi a scena aperta a tutti, quindi!
Paperino Paperotto e l’avventura davvero avventurosa, di Bruno Enna e Nicola Tosolini (n. 3627), riconferma la volontà da parte della redazione di riportare con una certa regolarità sulle pagine del settimanale la versione bambina di Donald, in seguito a anni di assenza. Dopo un timido ritorno nel 2022, anche a traino del numero de I Classici dedicato, e la miniserie Un magico mondo alla fattoria, con La spia che venne dal cielo del mese scorso sembra che si sia aperto un nuovo ciclo per questo universo narrativo, per mano del suo “padrino” Bruno Enna: lo sceneggiatore sardo firma infatti anche questa Avventura davvero avventurosa, che appare legata con coerenza alla precedente per via della new entry Harold Duckes, bizzarro imprenditore sui generis introdotto proprio in quell’occasione e stabilitosi a Quack Town.
In questa nuova storia il personaggio dimostra di essersi già integrato nel paesino di campagna e soprattutto di aver legato molto con i ragazzini, giocando con loro e portandoli in viaggio; per quanto concerne quest’ultimo punto, in realtà, Duckes mostra una personalità a tratti ambigua negli scopi e negli atteggiamenti, che lo rende una figura sicuramente sfaccettata e interessante.
Al di là di questo, però, rispetto al racconto pubblicato ad aprile il risultato mi è apparso meno riuscito: bella l’idea di finire per far vivere nella realtà a Paperino, Louis e gli altri un’avventura piratesca come le tante che hanno interpretato nella finzione dei loro giochi, ma per il resto la trama procede in maniera tutto sommato piatto e senza troppi scossoni, se non per la caratterizzazione sempre brillante del Paperotto. Degno di nota è però il risvolto a livello di continuity interna alla serie, per quanto riguarda il rapporto tra lo sceriffo Marble e la maestra Witchcraft, che a questo punto dovrebbe interessare anche le prossime storie…
Ritrovo con contentezza Tosolini alle matite, che dimostra ancora una volta di riuscire a calarsi benissimo nelle atmosfere rurali e bucoliche di Quack Town con un certo feeling verso questo filone e questi personaggi; il suo stile è forse atipico rispetto al panorama attuale, un po’ meno “preciso”, ma proprio questo approccio vagamente più “dissonante” contribuisce a dare un’identità alla serie.
Paperinik contro il terribile Prolissus, di Roberto Gagnor e Marco Mazzarello (n. 3626), è una boutade, una deriva prettamente umoristica… la linea comica del personaggio, per dirla alla Boris 😛 Una scelta sicuramente in netta controtendenza rispetto alla gestione del Vendicatore Mascherato negli ultimi anni (perlomeno sul “Topo”, forse c’è meno stacco con la visione proposta dal mensile), dato che qui ritroviamo un Paperinik puramente “paladino” e per di più coinvolto in una trama piuttosto paradossale, per non dire delirante.
La complessità nel valutare questa storia si deve anche al collegamento con l’iniziativa di cui si fa portatrice, vale a dire la celebrazione della Treccani; come accadeva diversi anni fa, Paperinik diventa così testimonial di qualcosa piuttosto lontano da lui, con esiti non proprio riusciti… capisco che altre figure più calzanti – come Pico de Paperis, che pure compare nella vicenda – avrebbero magari avuto meno appeal, ma in una visione sincretista come è quella di Alex Bertani è strano vedere un’interpretazione così dissonante rispetto a quella cui ero ormai abituato.
Anche volendo soprassedere su tutto questo, la trama in sé non si rivela particolarmente efficace, bensì piuttosto debole nell’apparire come un mero pretesto costruito sopra le tematiche di base, vale a dire la valorizzazione dei neologismi.
La matita poco ispirata di Mazzarello, che qui soffre una spaccatura ancora più evidente che in altre occasioni tra il suo tratto originale e quello figlio dei suggerimenti di Andrea Freccero, non aiuta; invero, ci sono alcune vignette riuscite particolarmente bene e capaci di infondere atmosfera alla situazione e fascino alla figura del protagonista, ma nel complesso non si tratta di un risultato eccelso.
Lord Hatequack presenta… l’ora del terrore – Topolino, Pippo e il ripostiglio interminabile, di Francesco Pelosi e Luca Usai (n. 3626), è una degna rappresentante del ciclo “brividoso” del baronetto in vestaglia. Lo spunto di partenza è affascinante, forse un pizzico troppo all’acqua di rose rispetto a quello che mi aspetterei dalla serie, ma stuzzicante il giusto.
Viene sviluppato con una costruzione che denota mestiere, ma che a un certo punto smorza un po’ l’atmosfera… la quale si riprende però fortemente grazie ai ben due colpi di scena ben giocati da Pelosi e che devo dire riescono a dare una svolta alla narrazione complessiva. Il secondo, in particolare, col suo senso di straniamento, colpisce nel segno… ma quello che è mancato è un vero e proprio brivido dietro la schiena. La storia è solida, intrigante e vagamente sinistra, ma non del tutto inquietante.
L’approccio però è quello giusto e rispetto a diversi altri recenti episodi del progetto, qui siamo diverse spanne sopra… se lo sceneggiatore avrà modo di cimentarsi ancora con L’ora del terrore, suppongo che possa ulteriormente migliorare.
Efficaci i disegni di Usai: il suo stile è in realtà un po’ troppo solare per i racconti di Lord Hatequack, ma è pur vero che l’artista riesce a calibrare il tratto grazie a qualche tratteggio e a un buon gioco di ombre, nonché con un uso sapiente della prospettiva e delle inquadrature. Valido anche il lavoro su alcuni sguardi, siano essi spiritati o smarriti, in grado di settare bene l’atmosfera.
I Bassotti e la leggendaria Big Bass Band, di Francesco Pelosi e Mattia Surroz (n. 3624), è un’altra solida prova del neo-assunto Pelosi. Di tenore diverso dalla precedente, per ovvi motivi, l’autore sceglie di muovere i Bassotti, un compito meno facile di quanto potrebbe sembrare viste quante interpretazioni – non sempre felici – ha conosciuto la scalcinata banda di delinquenti.
La visione dello sceneggiatore è equidistante un po’ da tutte le principali: si fa riferimento alla “mitica” fama da duri che i Bassotti avevano un tempo, si fa i conti con una versione attuale meno smagliante e si prova a dare la stura alla situazione con un’idea “tutta cuore”, dove Nonno Bassotto gioca un ruolo importante.
Meno significativa de La terribile Banda Bassotti di Vito Stabile del 2024, la storia ha comunque il pregio, senza troppe pretese, di presentare in maniera tutto sommato rispettosa i personaggi e di raccontare l’importanza dei giusti stimoli per dare lo slancio alle persone,
Surroz supporta bene tutti questi input, rappresentando scene dinamiche e graziate da una regia sempre interessante; molto buono anche il lavoro sui costumi degli antenati dei Bassotti.
Zio Paperone e il cartello definitivo, di Vito Stabile e Alessio Coppola (n. 3625), è una ten-page di stampo urbano che, per stessa ammissione dell’autore sui social, poteva benissimo far parte della serie Pianeta Paperone. Alla fine così non è stato, ma effettivamente l’atmosfera che si respira è quella: si prende un elemento-cardine della mitologia paperoniana – in questo caso i cartelli intimidatori che costeggiano la Collina Ammazzamotori – e ci si ricama sopra, magari problematizzandolo, tutto come pretesto per indagare l’animo del protagonista.
L’idea – paradossale, esagerata… e quindi in character con lo Zione – di sostituire i cartelli con un unico cartellone dissuasore che copre l’intera facciata del Deposito è spassosa e Stabile, ormai professionista navigato, sa come portarla avanti con il giusto equilibrio, tra comicità e una direzione narrativa sicura.
Scelta felice quella di Coppola ai disegni: il suo tratto estremamente chiaro e semplice si presta molto bene al tenore di una vicenda tutto sommato classica e posata e accompagna il lettore con la giusta tranquillità visiva, per un racconto che non aveva bisogno di troppi effetti atti a stupire.
Bene così.
Gli allegri mestieri di Paperina – Sostituta d’ufficio, di Tito Faraci e Enrico Faccini (n. 3626), è una godibile variazione sul tema dei lavori paperineschi, spunto che aveva dato vita a una miniserie davvero simpatica e riuscita.
Lo stesso team autoriale cala stavolta Daisy Duck nel complicato mondo professionale contemporaneo, ed è interessante vedere il diverso approccio alla situazione… per quanto, in realtà, abbia rilevato qualche similitudine di troppo proprio in tal senso! La comicità faraciana gioca infatti molto su una certa seraficità sconsolata come reazione a certi risvolti avversi o antipatici, in maniera non molto dissimile da quanto accadeva con Paperino. Una sorta di disarmante rassegnazione che sembra colpire anche Paperina, alle prese con il ruolo di segretaria in un grande ufficio dove nonnismo e maschilismo regnano sovrani; ecco, se dobbiamo trovare un elemento distintivo tra questo spin-off e il ciclo originario, sarebbe senza dubbio la tematica – piuttosto scottante e attuale – di una certa attitudine, dura a morire, nel sottovalutare le figure femminili sui luoghi di lavoro. Far passare questo argomento in una storia Disney prettamente umoristica è sicuramente un buon modo per sdoganare un’attitudine tanto sgradevole quanto anacronistica, per quanto forse le ultime due tavole pecchino un po’ di didascalismo sulla questione.
Nulla da dire invece su Faccini, che fa il suo senza brillare ma mantenendo sempre una media qualitativa invidiabile nel disegno; ottimi gli sguardi dipinti sul volto di Paperina e molto valido anche l’abito che ha fatto indossare alla protagonista, particolarmente coerente con il contesto.
Zio Paperone e l’enigma del vecchio castello, di Niccolò Testi e Giampaolo Soldati (n. 3626), è un’altra storia promozionale affidata al Testi, se così possiamo definirla: in questo caso la “marchetta” è la città di Gorizia, nella quale Zio Paperone e Qui, Quo, Qua si recano in una vera e propria caccia al tesoro d’altri tempi. Testi si cimenta con un genere molto classico e al contempo poco battuto in anni recenti, come ho già avuto modo di sottolineare in passato su questo blog, e lo fa in maniera standard ma con solido mestiere. Tra l’altro, togliendo Paperino dall’equazione mantenendo i soli nipotini, sembra quasi rifarsi al mood delle DuckTales anni Ottanta, il che non può che farmi piacere!
Oserei dire senza infamia e senza lode: il sentore “pubblicitario” si avverte fin troppo, ma questo non va a discapito della narrazione e tanto mi basta. La lettura è scorrevole e, nonostante il finale fosse fin troppo telefonato, lo sceneggiatore è in grado di inserirci un inserto “di cuore” piacevole e ben giocato.
Soldati ai disegni è una scelta forse un po’ troppo basica, quasi scontata considerando quante storie di tipo promozionale viene chiamato a illustrare; porta il suo tratto ormai noto e consolidato, né più né meno, ma ammetto che in alcuni passaggi mi è sembrato che fornisse un guizzo in più, per esempio in certi dettagli nei volti dei quattro paperi o nel modo di raffigurare alcuni monumenti della città italiana.
Pico, Paperoga e la tuta del silenzio, di Marco Bosco e Giampaolo Soldati (n. 3627), ha invece il compito di riportare su Topolino il ciclo Comics&Science, dopo una lunga pausa. Il team autoriale è quello che si era già consolidato ai tempi per questa partnership, e si vede che ormai Bosco ha preso le misure per questo tipo di sceneggiature: la storia fa il suo, senza il minimo colpo di testa e andando dritta sul sicuro. Lo spunto scientifico viene utilizzato in maniera estremamente semplice e, a parte un breve inciso di spiegazione scientifica, per il resto si tratta di un’avventura di Paperoga che fa pasticci. Scorre via senza impegnare ma senza senza indisporre il lettore più attento.
Zio Paperone e le vendite impossibili, di Gorm Transgaard e Andrea Ferraris (n. 3625), è una egmontiana lunga, bestia rara in un panorama che – perlomeno per quanto arriva sul libretto – mostra sempre storie che vanno dalle 4 alle 10 pagine al massimo. Le vendite impossibili dimostra che, con il giusto respiro, anche gli sceneggiatori nordeuropei possono dire la loro con storie avventurose e ricercate; certo, il plot non è niente di trascendentale e anche lo sviluppo in alcuni punti è perlomeno prevedibile, ma il tutto viene raccontato con un certo mestiere e riesce a non far annoiare il lettore, anche quello meno giovane. Complici peraltro i disegni di un Ferraris meno fermamente barksiano del solito, sembra quasi di leggere una storia nata in Italia: il lavoro del disegnatore sembra in effetti trovare qui un equilibrio interessante tra il proprio tratto e la classicità richiesta da Egmont, una sintesi probabilmente aiutata anche dalle esperienze autoriali in stile verista che Ferraris sta portando avanti negli ultimi anni.
Paperino, Zio Paperone e il tappo filosofale, di Stefan Petrucha e Diego Bernardo (n. 3627), rientra invece in quel lotto di straniere brevi a cui facevo cenno poco sopra. Come già in Zio Paperone e l’iper mega Numero Uno pubblicata ad aprile, la coppia Petrucha-Bernardo punta in alto con una trama ambiziosa e dagli effetti narrativi esagerati… “in un minuscolo spazio vitale” (ct)!
È un problema: condensare sviluppi roboanti e di livello globale nell’ambito di una breve non può portare a un risultato soddisfacente, e così è anche in questo caso. Se ci aggiungiamo che l’idea di partenza appare inoltre banale da una parte e paradossale dall’altra, ecco che esco deluso dalla lettura, premiando di fatto solo i disegni di Bernardo (che pure presentano delle vignette con personaggi un po’ approssimativi).
Su Topolino e l’effetto omega, di Alessandro Pastrovicchio (n. 3627) non mi esprimo ancora: è uscita solo la prima parte di tre e pertanto rimando ogni considerazione al post di giugno, valutando la storia completa.
Bene, direi che per questo mese è tutto.
Alla prossima!