Topolino e la magia del Natale, tra animazione e fumetti
Bentornati su Lo Spazio Disney, e buon Natale!
Quest’anno ho pensato di farvi i miei personali auguri disneyani attraverso una breve analisi delle similitudini e differenze tra i contesti narrativi presenti in due film animati natalizi e quello dei fumetti Disney, un discorso piuttosto ampio che ho sempre trovato assai interessante e che in questa occasione cercherò di sintetizzare, sperando di interessare anche voi.
La disamina mi dà anche il pretesto per parlare di due opere che mi hanno fatto compagnia per diversi anni, sotto le Feste: Topolino e la magia del Natale e Topolino – Strepitoso Natale.
Al primo in particolare sono affettivamente molto legato, avendo letteralmente consumato la VHS che uscì nel dicembre del 1999 (sì, sono vecchio 😛 )
Affinità-divergenze fra il compagno fumetto e l’animazione
Tra animazione e fumetto Disney c’è sempre stato un certo divario nel modo di rappresentare il setting in cui si muovono gli standard characters, una particolarità che non rileva solo l’appassionato ma che coglie istintivamente anche il bambino che abbia una minima infarinatura di entrambi i medium.
Tale scarto è nato fin dallo sviluppo delle strisce giornaliere pubblicate sui quotidiani statunitensi con protagonisti Topolino e i suoi amici: se le primissime strip-stories seguivano il mood dei coevi cortometraggi animati, soprattutto nella grande attenzione alle gag di tipo slapstick, ben presto – grazie in particolare al lavoro di Floyd Gottfredson e degli sceneggiatori con cui collaborò – le avventure su carta di Mickey si sarebbero complicate, diventando dei veri fuilettons a puntate caratterizzati da trame lunghe e intricate, dove certo non mancava l’umorismo ma coniugato in maniera diversa dai cartoon.
Non variavano però particolarmente le ambientazioni, inizialmente rurali e poi specchio di una società urbana piuttosto semplice ed essenziale, che nelle trame dei cortometraggi comunque aveva poche occasioni di emergere.
Con l’avvento dei comic books, e soprattutto con l’avvio della carriera di Carl Barks sui paperi disneyani tra la metà degli anni Quaranta e la metà degli anni Sessanta, le cose cambiarono radicalmente: l’artista trasformò presto Paperino nel protagonista di avventure di largo respiro, approfondendone la personalità oltre il carattere bizzoso e le avversità della vita quotidiana e costruendogli man mano attorno un microcosmo coerente e complesso, trovando il suo punto nodale nella creazione dello zio Paperon de’ Paperoni, che sarebbe presto diventato nuovo motore e fulcro centrale delle storie a fumetti con i paperi.
Con l’ideazione di Paperopoli come città in cui far risiedere il cast beccuto, formalizzando di fatto una separazione con la realtà di Mickey Mouse e compagni, la distanza rispetto a quanto visto nell’animazione era definitiva e inoppugnabile, istituzionalizzata – dopo primi tentennamenti e incertezze – dalla produzione della scuola italiana del Dopoguerra, considerando il predominio quantitativo che avrebbe presto conquistato.
Parallelamente, eravamo ormai verso il tramonto del format dei cortometraggi animati proiettati al cinema – per la serie Donald Duck il 1955 fu l’ultimo anno di intensa produzione, che avrebbe poi visto solo alcuni speciali tra il 1956 e il 1961, mentre per Mickey Mouse l’ultimo corto uscì nel 1953 – e questo portò a far sì che il medium di elezione per vedere questi personaggi in azione diventasse di fatto solo e unicamente il fumetto, specialmente in Italia.
Questo almeno fino alla fine degli anni Ottanta, quando il settore dell’animazione disneyana televisiva – lontano quindi dal centro della produzione blasonata degli Studios di Burbank – iniziò a creare serie per il piccolo schermo in cui rilanciare alcuni standard characters: DuckTales, dichiaratamente ispirata alle storie di Barks, e successivamente Cip & Ciop Agenti Speciali, Ecco Pippo! e Quack Pack.
In tutti questi titoli le differenze con il contesto fumettistico però abbondavano e apparivano ancora più ingigantite rispetto al passato, complice il formato da venti minuti degli episodi che permetteva una narrazione maggiormente impostata e quindi più vicina alle avventure su carta che ai cortometraggi incentrati sulle gag (spirito che, per inciso, sarebbe stato riscoperto poco tempo dopo, sempre dalla produzione televisiva, con il progetto Mickey Mouseworks).
Così in DuckTales abbiamo Bassotti dall’aspetto diverso, personaggi inediti, l’assenza di Paperino e un maggiordomo che non è il “nostro” Battista, giusto per fare degli esempi, mentre nel cartone animato di Pippo il protagonista vive in una città diversa da Topolinia, ha come vicino di casa un imborghesito Pietro Gambadilegno – infido e truffaldino, ma non certo un criminale – e soprattutto ha un figlio di nome Max.
Topolino e la magia del Natale
Arriviamo alla fine del 1999, quando i Toon Studios – nome assunto nel frattempo da questa branca disneyana – pubblicarono per il mercato dell’home video un lungometraggio animato di poco più di un’ora a tema natalizio: intitolato originariamente Mickey’s Once Upon a Christmas, la pellicola si compone di tre spezzoni da circa venti minuti uniti insieme da una cornice e da una voce narrante, utili per fare un discorso sul succo del Natale, ma le storie in questione mostrano una versione piuttosto distante rispetto a quella che i lettori conoscono.
Il segmento con Paperino è forse quello più scioccante: innanzitutto il protagonista sembra infatti alloggiare in una grande villa di campagna insieme a Qui, Qui, Qua, invece che nella loro casetta paperopolese, e Zio Paperone viene mostrato con una personalità decisamente appiattita, senza nessun accenno alla sua ricchezza ma inusualmente appassionato di canti natalizi.
Compare anche un’inedita zia Gertie, dalle forme generose ed eccessivamente affettuosa, che non ha precedenti né corrispettivi in alcuna produzione disneyana.
Nulla da obiettare sul carattere monello dei nipotini: per quanto fosse differente da quello generalmente più assennato che i ragazzi mostravano nei fumetti anni Novanta, era comunque una rappresentazione fedele alle origini più pestifere del terzetto, che funziona in particolare in ambito animato. In questo caso, poi, il timing della narrazione permette anche una maturazione che tiene conto delle due anime dei nipotini.
Il secondo racconto ha una distanza siderale rispetto ai comics, ma shocka di meno perché è sostanzialmente un episodio extra di Ecco Pippo!
Il setting è esattamente quello della serie animata, in particolare nella vita del protagonista da padre single, e questo pone per ovvi motivi tutta la storia come un enorme universo alternativo.
La derivazione diretta dal cartone animato dei primi ‘90s, però, permette a chi l’aveva seguito qualche anno prima di non sentirsi troppo disorientato, non andando a creare un contesto inedito.
Scelta che invece compie l’ultimo spezzone, Gift of the Magi: in esso vediamo uno squattrinato Topolino che sbarca il lunario lavorando presso una rivendita di alberi di Natale – di proprietà di Gambadilegno! – e una Minni impiegata presso un centro commerciale insieme a Paperina, alle dipendenze del Signor Mortimer (personaggio nato nei corti classici come rivale in amore di Mickey).
La distanza con la realtà fumettistica è totale, ma in questo caso il racconto può essere visto più come una storia in costume che come una ordinaria, una specie di parodia dell’opera originaria di O. Henry che gli sceneggiatori hanno adattato sui personaggi Disney, e questo attenua la sensazione di spaesamento.
Topolino – Strepitoso Natale
Qualche anno dopo (per la precisione nel 2004) La magia del Natale uscì in DVD un “seguito spirituale”, chiaro fin dal titolo originale: Mickey’s Twice Upon a Christmas.
L’elemento di maggior novità era la tecnica utilizzata: i sommovimenti di quel periodo nel mondo dell’animazione avevano infatti portato la Disney ad abbracciare convintamente la computer graphic, e questo sia a Burbank (presso cui erano contemporaneamente aperti i cantieri per realizzare Chicken Little, primo lungometraggio WDAS interamente animato al computer che sarebbe uscito al cinema l’anno successivo) che nei Toon Studios.
Il primo approccio agli standard characters in CGI non fu in realtà dei migliori, complici le forme particolari dei personaggi, i problemi a padroneggiare la nuova tecnica e il budget limitato. Fattore, quest’ultimo, che da sempre colpiva i reparti televisivi ma che in animazione tradizionale, almeno per Topi e Paperi, incideva in maniera esteticamente meno disastrosa.
A parte ciò, la struttura narrativa prende una direzione diversa rispetto al predecessore, con un maggior numero di segmenti di diversa durata, cosa che sulla carta avrebbe dovuto permettere un maggior equilibrio narrativo ma che in realtà porta a 2-3 spezzoni un po’ deludenti.
Di questi, il più lontano dalla realtà fumettistica è quello con protagonisti Qui, Qui, Qua: i ragazzi, insieme e Paperino e Paperina, sono ospiti di Zio Paperone nella sua villona per le Feste, e fin qui nulla di male dal momento che una McDuck Manor è canonica fin dalla storia d’esordio di Paperon de’ Paperoni, comparsa in varie occasioni anche sul Topolino italiano e, fuor di fumetto, riconfermata ovviamente dalle DuckTales.
Il problema sta semmai nel carattere dello Zione: un anziano un po’ confuso, rammaricato di non essere mai stato inserito nella lista dei buoni di Babbo Natale, che prepara biscotti, dotato di una certa eccentricità di fondo data dal suo denaro ma difforme dalle caratteristiche note del personaggio e con il segreto desiderio di ricevere una cornamusa che non sa suonare. Insomma, bene il richiamo alle origini scozzesi e alla ricchezza (assenti nel primo film), ma su tutto il resto siamo quasi di fronte a un altro personaggio.
I nipotini sono qui ancora più indisciplinati e “da riformatorio” rispetto sia al primo film che a molte altre opere, una scelta a favore di trama che però eccede in tal senso, rendendoli quasi insopportabili in alcuni passaggi.
Il breve intermezzo musicale con Pippo riprende l’ambientazione di Ecco Pippo! ma soprattutto dei lungometraggi In viaggio con Pippo e Estremamente Pippo, nei quali il piccolo Max era diventato adolescente e studente universitario.
Lo troviamo infatti in questa situazione, in procinto di tornare a casa per le Feste insieme alla sua ragazza e preoccupato dell’impressione che il padre farà su di lei. Idea carina e ben gestita, anche se più che mettere in difficoltà i fan dei fumetti crea in realtà problemi a coloro che hanno seguito le gesta di Max nel corso della breve carriera animata: la Mona con cui si accompagna è infatti una new entry del cast, che va a rimpiazzare Roxanne, la ragazza per cui spasimava nel primo film cinematografico (ma che comunque non compariva nemmeno nel sequel direct-to-video, per quanto fosse ricomparsa nella serie House of Mouse – Il Topoclub).
L’apertura del film è dedicata invece a un’improbabile sfida sul ghiaccio tra due amiche competitive: Minni e Paperina. Il rapporto tra le due donne non è mai stato granché esplorato su carta, anche nelle varie occasioni in cui i mondi di Topolinia e Paperopoli si sono uniti; questo, unito all’ambientazione da gara di pattinaggio su un’apposita pista, fa sì che non ci siano particolari contraddizioni con i comics, anche se le strizzatine d’occhio sono tutte per l’animazione considerando la presenza di ippopotami e coccodrilli provenienti direttamente da Fantasia.
Non pesta granché i piedi ai fumetti nemmeno lo spezzone conclusivo, che per gran parte del tempo vede Pluto tra le renne di Babbo Natale al Polo Nord. Nei suoi primi minuti, comunque, l’abitazione di Topolino risulta piuttosto aderente con quella fumettistica, considerando ad ogni modo che non è mai stata dotata di chissà quali elementi distintivi. Semmai il finale, che vede giungere da Mickey anche Zio Paperone e nipoti, potrebbe fare pensare al vecchio concetto di unica città, ma in fondo non necessariamente (lo spazzaneve su cui arrivano potrebbe aver loro permesso di percorrere anche i chilometri tra le due metropoli).
L’episodio più felice dell’opera rimane però quello con protagonista Paperino, comicamente perseguitato dalle note di We wish you a merry Christmas. L’umorismo spassoso dovuto alla reiterazione folle di un concetto, e la naturale comicità del Donald Duck animato, preda delle proprie escandescenze, consente comunque di avere spazio per un’evoluzione del suo carattere: rispetto al comportamento pigro e scontroso iniziale, il personaggio capisce di aver esagerato e rimedia con un gesto altruistico e natalizio che si lega alla stessa melodia che lo stressava. Una perfetta chiusura del cerchio che permette di avere un Paperino più umano e tridimensionale, per questo vicino alla visione dei migliori sceneggiatori che lo hanno sviluppato nei fumetti.
Bene, spero che questo viaggio in La magia del Natale e Strepitoso Natale in un’ottica di confronto con la tradizione fumettistica possa avervi felicemente accompagnato nei giorni di preparativi per le Feste.
Da parte mia non resta che rivolgervi i miei migliori auguri di buon Natale!
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