In gabbia! #9 – “Il Dottor Paperus”
Bentornati su Lo Spazio Disney!
Torna “In gabbia!”, la rubrica che in questo blog tenta – coi modesti strumenti cognitivi in mio possesso – di analizzare in maniera chirurgica la costruzione delle tavole a fumetti disegnate da alcuni degli artisti disneyani più interessanti di sempre.
L’iniziativa latita da un po’ di mesi su questi schermi e me ne scuso ma, come ho già avuto modo di dire, si tratta di un lavoro di analisi e scrittura che mi richiede tempo e concentrazione perché possa avere un senso, e questo porta purtroppo a lunghi iati temporali.
Ad ogni modo, oggi mi occupo di un artista sopraffino, che è stato capace di lasciare il segno non solo nel mondo Disney ma nel fumetto umoristico italiano a tutto tondo: Luciano Bottaro.
L’autore, classe 1931, approdò in Mondadori per occuparsi dei personaggi Disney nei primi anni Cinquanta, dopo alcune prime esperienze nel fumetto umoristico.
La sua carriera tra Topi e Paperi proseguì fino agli anni Ottanta parallelamente ad altre collaborazioni, come quella con la casa editrice Alpe per la quale realizzò il pirata Pepito, quella con Il Giornalino e le diverse esperienze per la Francia.
Alle soglie degli anni Sessanta raccolse attorno a sé diversi autori liguri con cui portò avanti vari progetti, formando la cosiddetta Scuola di Rapallo.
Per Topolino realizzò un alto numero di storie di grande interesse, spesso in tandem con lo sceneggiatore Carlo Chendi ma di sovente come autore completo, occupandosi con una certa frequenza di illustrare parodie disneyane di celeberrime opere della letteratura mondiale.
Dopo circa un quindicennio di assenza dalle pubblicazioni Disney, a metà anni Novanta tornò sul settimanale scrivendo e disegnando un filotto di storie caratterizzate da un segno lisergico, sperimentale e fuori dagli schemi, peraltro all’interno di avventure che si ponevano come seguiti di alcuni suoi classici; questa rentrée proseguì fino al 2006, anno della sua scomparsa.
Per questa puntata di “In gabbia!” ho scelto una delle sue storie più celebri, un riconosciuto capolavoro disneyano e una delle grandi parodie più riuscite: Il Dottor Paperus, realizzata con la collaborazione ai testi di Carlo Chendi e pubblicata originariamente su Topolino #188-189 del 1958.
Proprio in questi giorni, peraltro, Panini la ristampa in un prestigioso volume della collana De Luxe assieme al suo sequel Paperino e il seguito della storia, e quindi è anche l’occasione perfetta per far venire voglia a qualcuno che non la conosca di procurarsela in modo semplice e immediato, nonché in un’edizione che sicuramente valorizza l’opera.
Il Dottor Paperus
La storia si pone come la versione paperesca del Faust di Goethe, che narrava del patto con il demoniaco Mefistofele siglato dall’erudito protagonista per poter godere pienamente della vita per un certo numero di anni, al termine dei quali avrebbe dovuto cedere l’anima al diavolo.
Ancor di più, l’opera parodiava il Faust di Federico Pedrocchi e Rino Albertarelli, reinterpretazione a fumetti dell’originale leggenda medievale, pubblicato nel 1939 sul Topolino giornale e che rimase impresso nel piccolo Bottaro che lo lesse da bambino.
Analogamente, un Paperino in versione attempata anela di riottenere la forza degli anni giovanili per poter mettere fine all’annosa guerra tra il regno di Paperone e quello dei Bassotti, sfruttando le proprie conoscenze da studioso. La strega Nocciola – vero “feticcio” della produzione bottariana – e il luciferino Mefistofele, emissario dell’inferno, tendono quindi una trappola al protagonista per impedirgli di ristabilire la pace.
L’abilità di Chendi e Bottaro risiede nel distillare un concept così “spinoso” all’interno della poetica disneyana, riuscendo a inserire diverse trovate brillanti e deliziosamente comiche a far da contrappunto a temi così borderline: un successo ottenuto anche grazie allo stile di disegno, sontuoso e ricco di trovate intriganti.
La trama parte nel presente, con Paperino che racconta le gesta del suo avo Paperus a Qui, Qui, Qua. Da lì parte un flashback lungo tutta l’avventura, che Bottaro introduce con una tavola molto ariosa: l’azione inizia sì con una semplice doppia, nella quale Re Paperone cavalca risoluto e irato verso il castello dei Bassotti, ma la gestione dello spazio in quella vignetta offre al lettore tutto il necessario per immergerlo immediatamente nel contesto, dando centralità al personaggio in scena ma dedicando comunque un buon focus al maniero, complice l’idea di arroccarlo sulla sommità di un canyon, collegato alla terraferma solo da una passerella in pietra, imponendosi sulla parte sinistra del riquadro. L’insieme visivo offre uno scenario favolistico molto azzeccato e cala immediatamente il lettore nelle giuste atmosfere, presentando in un semplice rettangolo molto del setting che si sta per raccontare.
A seguire troviamo una stupefacente quadrupla, che sposta l’azione all’interno dell’edificio.
Qui l’ariosità viene comunicata dalle alte volte della struttura, che suggeriscono subito l’altezza e di conseguenza l’opulenza del palazzo. Le molteplici colonne, le arcate, le armature – che ricordano quelle che Carl Barks piazzò nella dimora degli avi di Zio Paperone ne Il segreto del vecchio castello – e la disposizione del salone sono tutti elementi archetipici che il disegnatore dispone con sapienza perché si collochi istintivamente la scena nel suo ambito.
Si noti infine il parallelo tra il Paperone che entra a passo di marcia nella stanza e quello della vignetta precedente, a cavallo: pur con lievi differenze (i denti snudati nella doppia, per esempio), la risolutezza del sovrano è perfettamente coerente nei due riquadri.
Notevole anche il Bassotto, che in tutto questo compare piccolino dall’altro lato della vignetta ma senza per questo risultare nascosto: al contrario, il suo essere seduto sul trono e sotto le arcate lo fa comunque spiccare come un elemento che porta l’occhio del lettore ad interessarsene nel momento giusto, cioè dopo aver visto tutto il resto ed essere pronto a passare alla pagina successiva.
Le due tavole consecutive, che raccontano le premesse della storia e il contesto guerresco della vicenda, sono un florilegio visivo di idee e inventiva sfrenata, peraltro strutturate in maniera complementare.
In entrambe infatti c’è una quadrupla iniziale, utilizzata per mostrare appieno lo scenario, e la striscia finale gestita invece in maniera più convenzionale: una doppia nel primo caso e due vignette singole nel secondo. Tutte e due le quadruple, peraltro, sono accompagnate da una didascalia riassuntiva incasellata nella forma di una piccola pergamena srotolata e caratterizzata da un font corsivo ed elegante, escamotage grafici che suggeriscono il racconto di antiche gesta.
Questi due grossi riquadri sono il punto forte delle pagine prese in esame: Bottaro sfrutta l’ampio spazio a disposizione per inserire un sacco di dettagli divertenti e paradossali che impreziosiscono il disegno e che sono la più genuina espressione di fumetto umoristico, nel miglior senso del termine.
La prima peraltro ricorda da vicino l’approccio delle Mattaglie, le “matte battaglie” che il disegnatore ligure avrebbe articolato in futuro in una serie di illustrazioni non disneyane e che giocavano il loro fascino proprio sull’affollamento di soldati e armi di varia risma che riempivano caoticamente e spassosamente la pagina.
Così è ne Il Dottor Paperus, tra martelli, catapulte e mazze ferrate che fioccano da ogni angolo e combattenti di foggia papera e bassottesca a impegnati a darsele di santa ragione, in un guazzabuglio visivo che è una gioia per gli occhi e che prosegue anche nella vignetta sottostante mostrando con squisita goliardia lo spirito combattivo ormai smorzato.
L’altra quadrupla è invece ambientata in una taverna: giocoforza c’è minore occasione di sbizzarrirsi, però si può apprezzare anche qui l’attenzione per i dettagli da parte di Bottaro, come nella struttura del locale con le travi a vista che si incastrano perfettamente tra loro, nella forma del tavolo, nella botte con il rubinetto e nel gatto appollaiato in alto, a osservare furbo la stanza.
Interessante notare anche l’ingombro delle figure in scene, tanto nella vignettona quanto nei riquadri della parte inferiore della pagina: i Bassotti di Bottaro, complici le armature, risultano piuttosto massicci, soprattutto se confrontati con il soldato paperesco ben più minuto.
Questa tavola è interamente occupata da una sontuosa splash-page ambientata nello studio del Dottor Paperus, che il disegnatore struttura tutta sulla verticalità: le scale, le librerie, le volte ad arco, le punte del leggio e perfino lo schienale della sedia tendono insistentemente verso l’alto, scegliendo quindi di suggerire l’imponenza dell’antro attraverso la sua altezza, percepita come decisamente vertiginosa.
A livello estetico, Bottaro si scatena nel popolare la scena di elementi riconducibili ad atmosfere pseudo-esoteriche o a nuance horror: un teschio, uno scheletro, pipistrelli svolazzanti, misteriosi alambicchi, fumi sinistri che si diffondono da ampolle e un paio di rettili costituiscono il campionario di Paperus, assimilabile più a uno stregone che a uno studioso e rendendo così l’idea di un personaggio “al limite”, certamente colto e preparato ma capace di flirtare con il mondo dell’alchimia e delle scienze occulte.
Al centro dell’immagine c’è proprio il Dottor Paperus, eppure non richiama immediatamente l’attenzione del lettore, il cui occhio viene invece rapito in prima battuta dal florilegio di oggetti elencati poco sopra.
Ciò costituisce una scelta precisa, perché questa versione di Paperino appare dimessa e debole: è invecchiato non solo nell’aspetto, grazie alla barba lunga che gli spunta da sotto il becco, ma anche nell’animo e la cosa si percepisce dall’espressione stanca e abbacchiata, come se appartenesse a una persona disillusa dalla vita e consapevole che il poco tempo a disposizione su questa Terra sarà troppo poco per raggiungere il proprio obiettivo.
Si tratta di una pagina struggente, per i sentimenti di cui si fa quasi inconsapevolmente portatrice, ennesima dimostrazione del talento purissimo di Luciano Bottaro.
Due tavole affiancate amabilmente speculari, ancorché consequenziali.
Nella prima Paperus è in procinto di compiere l’ennesimo tentativo di distillare il suo siero pacificatore, attorniato dai suoi nipotini-assistenti e dal conforto del suo laboratorio.
Nella quadrupla che ritrae questo momento il protagonista appare ancora più provato che nella splash-page analizzata prima: piegato su sé stesso, la schiena curva e gli occhi a mezz’asta, si fa piccolo-piccolo sulla parte bassa del riquadro quasi fosse schiacciato dal contesto. Gli ilari Qui, Quo, Qua fanno da contrasto, sprizzando invece vitalità da ogni poro.
Le due vignette seguenti costituiscono la quiete prima della tempesta, giusto prologo alla quadrupla della pagina successiva che fa il paio con la precedente: lo stanzone è ora stravolto e semi distrutto dall’esplosione provocato da un dispetto dei paperotti ed è interessante paragonare tutti gli oggetti “prima vs dopo”.
La meticolosità di Bottaro si denota infatti dalla coerenza con cui vari elementi ritornano in questa seconda immagine, come il mappamondo, il leggio, i libri e le borchie della cassaforte, in versione naturalmente stravolta dal botto.
Notevole anche la raffigurazione dell’alchimista: mantiene infatti lo sguardo sofferente, ma tramite lievissimi accorgimenti nella piega del becco e dell’angolazione delle palpebre si può intravedere anche un principio di rabbia, che emerge con maggiore convinzione nella vignette sottostante.
Da rilevare infine che lo spicchio in alto a sinistra della prima pagina e quello in basso a destra della seconda sono complementari, in quanto mostrano Mefistofele che si prepara a recarsi a casa di Paperus e che infine vi giunge.
Si forma una simmetria suggestiva nella grammatica della griglia, non perfetta perché le due vignette in oggetto sono di dimensioni diverse, ma comunque molto riuscita perché comunica efficacemente e senza bisogno di didascalie il movimento compiuto dalla figura.
Di simmetria si può parlare anche e soprattutto in queste altre due tavole prese in esame.
Due sontuose immagini a tutta pagina alle quali viene rubato uno quadrato ciascuna per dare spazio rispettivamente a Qui, Quo, Qua e a Nocciola, piazzati strategicamente – ancora una volta – ai due angoli estremi delle due cornici.
Per quanto riguarda i disegni, non si può che restare a bocca aperta di fronte alla vertiginosa prospettiva data al volo di Mefistofele, che trascina Paperus sul suo mantello e vola verso la rupe della fattucchiera con una flessuosità elegantissima; il contesto attorno ai due personaggi è poi l’ennesimo scenario di strepitosa fantasia, popolato da mostricciattoli di varia foggia, dall’altissimo costone di roccia su cui si trova la catapecchia di Nocciola e dagli alberi rinsecchiti che la circondano.
Nella successiva ci spostiamo all’interno della dimora della strega, nella quale troviamo di nuovo altri esseri infernali che la matita di Bottaro rende più buffi che inquietanti, ma pur sempre con una vena disturbante – anche grazie alla variopinta pigmentazione di cui sono dotati, e sulla falsariga del lavoro di Barks per creature molto simili in Paperino e la forze occulte – e caratterizzata da un’atmosfera intima e antica: con travi in legno, mattoni a vista, nicchie nei muri e un ingresso con scalinata rustica si pone a metà tra l’architettura della taverna vista all’inizio e quella del laboratorio di Paperus.
Anche in questo caso è l’uso della prospettiva a regalare le migliori soluzioni visive per rendere particolarmente spaziosa l’ambientazione.
Si tratta di una tavola che nella sua prima parte si pone come più tradizionale, con la prima striscia composta da due riquadri classici.
Le due righe successive si allontanano però dalla scansione canonica: i due terzi inferiori della pagina sono sostanzialmente occupati da una quadrupla, ma in realtà una buona porzione della stessa è impegnata da una vignetta con Nocciola intenta a dare gli ultimi tocchi al suo filtro, con alle spalle un Paperus per nulla dell’idea di bere tale intruglio.
Il riquadro però non adotta la consueta forma quadrata, inclinando il bordo destro di modo da dare più spazio alla scena e permettere nella fattispecie di far entrare nell’inquadratura il papero, che altrimenti sarebbe stato tagliato dall’inquadratura.
Tale accorgimento ad ogni modo contribuisce anche alla vignettona successiva: il lato obliquo segue infatti la direzione del corpo e delle braccia del mostro protese verso il calice, accompagnando in qualche modo anche la direzione della fuga del vecchio studioso.
Non solo: restringendo la parte alta della quadrupla, l’occhio si focalizza su busto e testa di Mefistofele, che trova una centralità della scena per la posizione in cui la domina.
In tal senso è interessante vedere che l’emissario del demonio si pone come il vertice di un immaginario triangolo, di cui Paperus e Nocciola costituiscono l’ipotetica base.
Questa tavola si apre con una doppia nella quale torna il mood delle spassose Mattaglie, con soldati letteralmente accatastati su sé stessi intenti a darsele di santa ragione a suon di torte in faccia, alabarde nel portapiume e mazze ferrate sul cranio.
Ma è a seguire che si trovano gli elementi di maggior interesse: siamo di nuovo nell’antro di Nocciola e tutti gli elementi in scena suggeriscono una tensione irresistibile verso il basso.
Quelle stesse travi che precedentemente portavano la scena a una verticalità che puntava al cielo, ora trascinano in giù l’occhio del lettore grazie alla differente posizione dell’immaginaria telecamera in scena: è un altro capolavoro di prospettiva, che precipita lo spettatore verso il fondo della catapecchia, laddove troviamo non a caso Mefistofele e Nocciola intenti a festeggiare il loro successo nell’angolo a destra della pagina.
Anche il solito codazzo di mostri spinge tutto verso il basso, tra un serpentello che spunta dall’alto e scende dalla trave, uccellacci che planano e le lunghe braccia penzolanti di un strano essere dal naso a trombetta.
Nelle ultime due tavole prese in esame, un Paperus ringiovanito si appresta a salvare la soave Margherita, prigioniera di Mefistofele e Nocciola.
Perfettamente equilibrata è l’idea delle due doppie verticali affiancate, che spezzano in due momenti strettamente consecutivi il procedere del protagonista: l’inizio dell’arrampicata e l’arrivo in cima alla rupe, differenziando peraltro i due Paperus con qualche rapido accorgimento che rende più lento e in difficoltà il primo e più scattante il secondo. Ottima soluzione per contrarre in maniera efficace e veloce questi due momenti narrativi.
Nella doppia sottostante il cavaliere sviluppa ulteriormente il furore che aveva iniziato a pervaderlo nelle vignetta precedente.
La tavola successiva ripropone una più consueta quadrupla, che ci fa tornare all’interno dello stanzone principale della casa di Nocciola: l’ambiente è arioso, si torna a privilegiare la verticalità data da colonne e scale e la centralità di Paperus rende la scena molto ben bilanciata.
Ho concluso così questo breve excursus di Il Dottor Paperus, attraverso una selezione di tavole che ho ritenuto particolarmente significative allo scopo.
Spero che il pezzo possa essere risultato interessante e permettere a chi ha avuto la pazienza di seguirlo di avere nuovi spunti di riflessione, con i quali approcciarsi alla lettura di questa avventura in particolare ma anche delle altre stupefacenti storie disegnate da Luciano Bottaro nel corso della sua carriera.
L’appuntamento con “In gabbia!” tornerà, prima o poi: ho già selezionato autore e storia di cui parlare la prossima volta, e posso già anticipare che si tratta di un gradito ritorno nella rubrica 😉
Nel frattempo, come sempre, sul blog non mancheranno altri tipi di contenuti, dal recap mensile delle storie uscite su Topolino ad approfondimenti estemporanei.
Stay tuned, e a presto!