Il “Topo” di agosto 2024
Bentornati su Lo Spazio Disney!
È ormai terminato il mese vacanziero per eccellenza, ottima parentesi dell’anno in cui buona parte del nostro Paese sembra rallentare, tra saracinesche abbassate e uffici chiusi.
Personalmente sono riuscito a ritagliarmi un po’ di relax, riposando e divertendomi e riuscendo a fare anche una decina di giorni di vacanza.
Non solo, ho anche potuto darci dentro con le letture, spaziando tra varie cose nuove e vecchie come non riuscivo più a fare da troppo tempo.
E poi c’è il “Topo”, che in realtà non ha rallentato granché potendo offrire ai lettori diverse cosine interessanti e ambiziose: andiamo a vederle assieme.
Agosto 2024: le storie da Topolino
Impossibile non partire da Sandopaper, di Alessandro Sisti e Andrea Freccero (nn. 3586-3587), remake della parodia di Sandokan che esordì nel 1976 grazie a Michele Gazzarri e Giovan Battista Carpi.
Ammetto senza problemi che la mia prima reazione all’annuncio era tutto fuorché positiva: andare a rimettere mano a quell’ottima storia, dovendo procedere a tutta quella serie di aggiustamenti necessari al contesto attuale mi pareva una mossa suicida e poco saggia, nonostante Sisti e Freccero abbiano generalmente sempre la mia fiducia.
Il risultato è stato però molto più indolore del previsto: la storia risulta infatti simpatica e godibile, scorrevole e divertente. La sceneggiatura è sostanzialmente “innocua”, oltre a schivare i vari elementi “a rischio” compie un’operazione sul protagonista che si distanzia dalla caratterizzazione che lo stesso aveva nelle due storie carpiane degli anni Settanta e Ottanta: più “piacione”, se vogliamo, perdendo quasi del tutto la carica volitiva e arrembante di allora, che qui diventa una mera velleità del pirata ma senza riconoscimento da parte di nessun altro.
La Tigre della Malesia è così piuttosto un gattino imbranato che si dà arie da gaglioffo senza avvicinarsi minimamente a certe skills. Una visione sicuramente coerente con un certo (buon) modo di scrivere Paperino, ma che secondo me aveva trovato un miglior punto di caduta nelle versioni di quarant’anni fa. In particolare, l’idea che Sandopaper non rubi niente davvero ma paghi a tutti gli effetti il bottino frutto delle sue scorrerie mi ha lasciato un po’ disorientato.
Al netto di ciò, mi è piaciuto il rapporto tra il protagonista e Marianna, il ruolo di Qui, Quo, Qua, il modo in cui vengono descritti i Tigrotti e soprattutto la volontà di aggiungere il background di Sandopaper, completamente assente dalla storia di Gazzarri e che in questo caso contestualizza invece in maniera più completa il personaggio.
Il valore aggiunto assoluto di questa nuova avventura risiede comunque – e non me ne voglia Sisti – nei disegni di un Freccero sontuoso: in una sorta di omaggio sentito al suo maestro G.B. Carpi, il disegnatore lavora di fino sul proprio stile per avvicinarlo ulteriormente a quello del decano degli artisti Disney, con una mimesi smaccata, voluta e raggiunta brillantemente.
Si nota da tantissimi elementi, in primis il modo di rappresentare i paperi ovviamente, ma se vorrete guardare un po’ più a fondo vi accorgerete che la mano carpiana si ritrova anche e soprattutto nell’aspetto dei comprimari e delle figure sullo sfondo, nel modo di rappresentare gli edifici e gli ambienti, nelle piccole raffinatezze da fumetto umoristico d’antan come il sole con la faccia o da piccole scenette comiche sullo sfondo delle vignette.
Ad un modo classico di fare fumetto disneyano Freccero guarda anche nell’impostazione della griglia, che appare decisamente tradizionale nella scansione del ritmo e nella suddivisione dei riquadri, senza voli pindarici e post-moderni tipici dell’evoluzione del linguaggio. Dulcis in fundo anche la colorazione di Irene Fornari e Andrea Stracchi segue quell’andamento, con una palette priva di ombre ed effetti ma che ricalca in tutto e per tutto i cromatismi basilari e un po’ naif dei decenni passati.
Esteticamente il risultato è qualcosa di dolcemente retrò, con un impatto diverso dal resto del numero e in grado di far spiccare l’opera rispetto all’offerta attuale. Complimenti vivissimi.
Sisti ammette che non gli dispiacerebbe, da fan dei romanzi di Emilio Salgari, poter adattare anche altre avventure del pirata malese in versione papera, un po’ come capitato con il Nemo di Artibani/Pastrovicchio e come promette di succedere al Pippo Holmes di Enna/Mottura in una sorta di nuovo filone di adattamenti letterari seriali: non sarò dispiaciuto di rivedere questo Sandopaper del Nuovo Millennio, ad ogni modo 😉
What if – Paperino diventa Wolverine, di Luca Barbieri e Giada Perissinotto (n. 3585), è senz’altro l’altro grande evento del mese, stavolta di caratura internazionale: è infatti la seconda storia nata Oltreoceano dalla collaborazione tra Disney e Marvel Comics dopo Zio Paperone e il decino dell’infinito e la prima della serie What If dedicata a immaginare i personaggi disneyani nei panni dei supereroi della Casa delle Idee.
Pubblicata rovesciata sul primo numero di agosto di Topolino, si presenta come una lettura che può risultare piacevole se accolta in un certo modo o irritante se inquadrata sotto un altro punto di vista.
L’habitué disneyano che conosce poco o nulla del mondo Marvel potrebbe trovarsi spiazzato dalla storia di Barbieri: in sole 24 paginette vengono infatti condensati uno spunto ambizioso, uno sviluppo articolato, una conclusione action, avvenimenti vari e citazioni sparse che potrebbero risultare qualcosa senza capo né coda.
L’appassionato marvelliano ha invece modo di godere dei vari riferimenti che lo sceneggiatore ha disseminato, a partire ovviamente dall’ispirazione primaria, quell’Old Man Logan di Mark Millar e Steve McNiven che rappresenta una delle storie più celebri di Wolverine.
L’omaggio al mutante artigliato irrompe del resto anche nei disegni di Perissinotto, che ha per esempio modo di ritrarre – in una spread-page da mascella spalancata – tutta una serie di costumi indossati dal personaggio in vari archi narrativi della sua carriera a fumetti.
A mio avviso occorre prendere questa operazione per quello che è: un grande esperimento per entrambi gli universi narrativi, che al di là della completa riuscita o meno del singolo tassello costituisce una preziosa opportunità di incontro tra talenti e case editrici, oltre che tra personaggi di carta. Il ponte è stato gettato, ormai, e prosegue con i già annunciati What If tra Paperino e Thor e tra Minni e Captain Marvel: sono i primi semi di tanto altro che probabilmente vedremo in futuro, magari sganciandoci dal rapporto diretto con i celebri supereroi Marvel – anche perché altrimenti, in tal senso, il passo successivo sarebbero i crossover e non so quanto vorrei vederli… – e portando a opportunità inimmaginabili fino anche solo a un anno fa, quando ormai sembrava consolidato che l’acquisizione di Marvel da parte di Disney Company non avrebbe significato commistioni di sorta.
Queste prime storie cambiano tutto, e il fatto che artisti bravissimi di casa nostra come Perissinotto e Pastrovicchio inizino a essere conosciuti anche dal mercato americano è solo che bene.
Digressioni a parte, tornando a Paperino diventa Wolverine posso dire di averla preferita a Infinity Dime perché in questo caso ho compreso meglio l’operazione: la sceneggiatura di Barbieri, in particolare a causa della brevità, è ben lungi dall’essere ottimale, risulta troppo accelerata in più punti, in un paio di passaggi è caotica e che richiede un patto col lettore per trovare la sua vera dimensione. Ma tutti queste condizioni sono secondo me in qualche modo “dichiarate” fin dall’inizio per la natura stessa dell’iniziativa, mentre con Il decino dell’infinito c’era l’illusione di avere una storia Disney indipendente ma filtrata attraverso sensibilità e punti marvelliani… ottenendo però un lavoro decisamente perfettibile a livello complessivo.
Con questa fusione tra Donald e Logan ho colto tali “clausole” e così inquadrata la parodia-omaggio regge e intrattiene.
In ogni caso, anche stavolta è il lato estetico quello che spicca maggiormente: la disegnatrice romana si supera e realizza un lavoro maiuscolo, con un character design perfetto per il protagonista così come Topolino Occhio di Falco e per Pippo Hulk e con una bella e vitale gestione della griglia.
Topolino e il mistero dei giganti, di Bruno Enna e Luca Usai (n. 3585), è la causa del veloce esaurimento delle copie di Topolino di quella settimana in Sardegna, almeno leggendo alcuni articoli. Ambientata sull’isola e dedicata, da due autori sardi DOC, ai Giganti di Mont’e Prama nel Sinis di Cabras, un gruppo di statue nel cuore della Sardegna di importanza archeologica e dalle origini non ancora del tutto chiare, l’avventura immagina perché siano state erette grazie a un racconto in costume con Topolino, Pippo (pardon, Pippebbu Beddu: colpo di genio di Enna! XD ) e Minni, sospeso a metà tra fantasia e realtà e narrato dal professor Zapotec a una sua collega italiana.
Avvincente, divertente, scritta molto bene e appassionante, si tratta di fumetto Disney nella sua forma più pura e semplice al contempo, ben espressa anche dal tratto di Usai che accentua rotondità e un segno molto morbido e fresco. Gradita assai.
Topolino Giramondo – Topolino incontra un gatto, di Giuseppe Zironi (n. 3586), per un amante dei felini come me è deliziosa. Sarò quindi di parte nel ritenerla una delle migliori di tutto il ciclo, al pari delle prime, ma nella sua struttura ho ritrovato il nocciolo della serie, quello che teoricamente avrebbe dovuto darle un quid rispetto alla classica narrativa disneyana: racconti sostanzialmente staccati dalla necessità di azione o di una trama che proceda canonicamente, capaci invece di concentrarsi maggiormente sulle sensazioni.
Tale artificio è espresso qui all’ennesima potenza: lo spunto è semplicissimo – durante un’inondazione un micino (chiamato semplicemente Gatto) viene portato via dall’acqua e Topolino decide di gettarsi al salvataggio tra mille difficoltà – e proprio per questo consente di costruire uno svolgimento non certo lento, visto che l’adrenalina corre a mille, ma capace di far assaporare l’ambiente, la natura, il pericolo, lo sforzo, anche l’ansia in un certo senso.
Zironi comunica tutto ciò dosando dialoghi e silenzi e dando il 100% sui disegni, che diventano ora più che mai il principale veicolo narrativo: le vignette si arricchiscono degli elementi che ostacolano il protagonista nella sua ricerca – tronchi d’albero, fiumi in piena, foreste fitte – e che si prendono prepotentemente i propri spazi nei riquadri, nonché di un Topolino rappresentato in maniera vivida, dagli abiti che man mano si sbrindellano man mano e dal ciuffetto scompigliato, a dimostrazione di quanto il personaggio sia provato di fronte alle privazioni e alla fame. In tal senso gioca un ruolo importante anche la regia delle sequenze, sempre giocate con una “camera” che sa essere movimentata nei momenti più concitati quanto attenta a tagli particolari nei passaggi di relativa calma. Le inquadrature sono varie e interessanti, aiutate peraltro da una gabbia fantasiosa e cangiante, che stravolge più volte la regolare scansione della pagina ma mai gratuitamente, piuttosto per comunicare ancora più efficacemente i momenti action, come nelle tavole mute in cui Topolino e Gatto sono travolti dalle acque, passaggio che rappresenta uno dei punti artisticamente più alti del Topolino di questo 2024: sembra quasi che la griglia stessa venga travolta dalla piena.
Bella bella bella!
Le Tops Stories – Top de Tops e il segreto dei Montignac, di Giorgio Pezzin e Davide Cesarello (n. 3587), non mi ha convinto del tutto, lo ammetto. L’ho apprezzata di più della precedente dello scorso novembre con un de Tops più giovinetto, ma decisamente meno delle prime due del revival moderno della serie.
Il problema in questo caso è che non abbiamo un vero e proprio mistero archeologico o comunque legato a qualche leggenda arcana e conturbante: la sceneggiatura di Pezzin veleggia più nei territori del thriller o di un giallo vagamente gotico ed esoterico, dove però la risoluzione non colpisce particolarmente e porta a qualcosa di fin troppo definito e “basico” come spiegazione, per essere all’altezza dei finali sfumati che hanno fatto la fortuna della serie nei primi anni 2000 e che erano rimasti con La fonte delle giovinezza e con Il X Klum.
Rimane invece convincente Cesarello, sempre più a suo agio con il baronetto e con le versioni alternative del Pippo di turno, così come nei personaggi secondari e negli sfondi, sempre efficaci.
Emily, di Vito Stabile e Federico Franzò (n. 3587), è l’origin story che non ti aspetti, e solo un esperto paperoniano come Stabile avrebbe potuto mettere mano a un elemento cardine della mitologia del personaggio come l’identità e la storia della sua segretaria.
Come già fatto per i vicini di Paperino, infatti, lo sceneggiatore campano dice la sua su Miss Paperett, cercando di risolvere l’incompatibilità tra la versione barksiana e quella italiana: la soluzione che trova è quella di sdoppiare tale figura in zia e nipote.
Fosse solo questo, avrebbe rischiato di risultare uno sterile esercizio di stile: fortunatamente il buon Vito approfitta dello spunto per costruire una storia che, in senso ampio, parla di una giovane donna che vuole farsi strada nella sua vita, vuole affermarsi in una professione per la quale è preparata, ha un obiettivo e si fa in quattro per raggiungerlo mentre contemporaneamente conduce la sua vita tra un lavoretto temporaneo e le serate con le amiche. Una visione a metà tra sit-com, narrazione adolescenziale e spunti realistici che costituiscono un’ossatura forte alla storia e la fanno spiccare, complice ovviamente una protagonista pressoché inedita per l’età in cui viene messa in scena.
Quasi un peccato che l’operazione, per come sia stata strutturata, non permetta di avere un mini-ciclo su Emily Paperett da giovane, ma mi accontento di aver potuto leggere qualcosa di diverso da solito.
Mi compiaccio anche dei disegni di Franzò, buoni pur senza strafare, in grado di accompagnare decorosamente la sceneggiatura.
Fast Track Mickey – Traccia fantasma 3D, di Claudio Sciarrone (n. 3588), segna il ritorno a quasi due anni di distanza delle tre dimensioni su Topolino, con una storia fruibile quindi con gli occhialetti 3D forniti con la rivista e sempre realizzata dall’estro di Sciarrone.
L’intervista a corredo dell’avventura fa intuire la difficoltà insita in un progetto del genere, con la mole di livelli da impostare e tutti gli accorgimenti tecnici da utilizzare per rendere possibile l’effetto tridimensionale: ricordo che per la prova precedente ero rimasto un po’ più freddino sul risultato, ma qui noto un netto miglioramento sotto tutti i fronti.
Grafico in primis: il senso di immersione è stavolta non solo più accentuato, ma a mio avviso anche meglio riuscito come resa, e con la giusta inclinazione dell’albo ci sono parecchi momenti nei quali la profondità dei diversi piani si percepisce pienamente e l’illusione è quindi pressoché perfetta.
Non sono un fan del fumetto in 3D, a dirla tutta (così come non lo sono al cinema), che trovo più che altro un orpello che “fa scena” e fastidioso da fruire, tra occhialetti e vago mal di testa, ma a piccole dosi può starci.
Quello che forse si riesce ad apprezzare meno, in questa visione, è lo stile del disegnatore, che comunque sembra seguire la falsariga dell’ultimo decennio, tanto nei paperi quanto nei topi: la linea è comunque particolarmente adatta a “uscire dalla pagina” grazie all’approccio ultra-dinamico che l’artista imprime ai personaggi e alla morbidezza ipercinetica che contraddistingue il suo segno.
Anche narrativamente noto un passo in avanti: in Un viaggio TREmenDamente reale alla fine il plot era un mero pretesto – per carità, intelligente dato lo scopo – per rappresentare scene che si prestassero all’effetto 3D, con uno svolgimento fin troppo lineare e “povero”, mentre stavolta il racconto assume spessore. Certo, lo spazio a disposizione non permette chissà quali trame articolate, ma aver reso Minaccia fantasma un tassello di Fast Track Mickey ha permesso di sfruttare il concept della corsa automobilistica come set perfetto per ambientare diversi momenti tridimensionali e al contempo di creare diversi siparietti tra Paperino e Paperone in sala regia che fornivano un bel contrappunto comico. Dulcis in fundo, la citazione ai fantasmi del corto Lonesome Ghosts presenta un ulteriore livello narrativo a inspessire la vicenda: onestamente pensavo che fossero un inserimento decisamente forzato all’interno di una storia del genere, invece Sciarrone è riuscito a giustificarne la presenza in maniera convincente, con un rimando diretto a quell’avventura animata tramite il ricordo di Paperino e Topolino.
Bene così, insomma!
Paperino baciato dalla sfortuna, di Luca Barbieri e Luca Usai (n. 3588), si poneva subito dopo l’avventura in 3D ma non ne esce con le ossa rotta: Barbieri infatti gioca con l’umanità del protagonista, con le sue debolezze e con la sua natura, restituendoci un Donald Duck decisamente tenero e a cui ci si sente istintivamente vicini e complici. Il coraggio della sua decisione di fronte alla tentazione offertagli da Amelia, poi, ne fa emergere la parte migliore che è anche quella di tutti noi, e che possiamo solo sperare di saper tirare fuori al momento opportuno come ha fatto il nostro eroe. E non uso questo termine a caso: lo sceneggiatore ci ricorda che il personaggio, con novant’anni di carriera alle spalle, non ha bisogno di mascherina e mantello o di gadget spionistici per essere eroico, per dimostrare di avere una tempra morale e la capacità di fronteggiare avversari pericolosi e situazioni complesse. Era così fin dalla ricca epopea barksiana ed è bene che qualcuno riesca a riconfermare tale realtà. C’è spazio infine anche per approfondire in maniera interessante il rapporto ambivalente tra Paperino e Zio Paperone, e ho apprezzato.
Bene Usai, anche se forse l’ho preferito sulla storia sarda: in ogni caso non se la cava affatto male e contribuisce alla piacevolezza della lettura.
Paperino, Paperoga e il Natalestivo, di Roberto Gagnor e Emmanuele Baccinelli (n. 3585), mi ha fatto genuinamente spanciare dal ridere. È questo un esempio del miglior Gagnor, che spara gag a raffica, idee folli e giochi di parole fulminanti. L’accoppiata Paperino-Paperoga si presta particolarmente a queste dinamiche e, come creta nelle mani dell’autore, mette in campo una situazione assurda e proprio per questo geniale e spassosa.
Bacci lo segue alla grande e con il suo tratto aggraziato ha un ruolo per nulla secondario nella riuscita dell’insieme, una piccola gemma di stampo estivo (ma anche natalizio 😛 ): menzione d’onore per la splash-page iniziale con il titolo dentro la facciata del Deposito.
Paperoga new professions – Railway welcomer + Opinion supporter, di Marco Bosco e Francesco Guerrini (nn. 3585-3586), sono un dittico che ripresenta il buon Paperoga ma stavolta in un’accoppiata più anomala: diventa infatti dipendente di Filo Sganga nella sua nuova agenzia, specializzata nel fornire ai propri clienti nuovissime (quanto improbabili) figure professionali.
L’idea di Bosco è caruccia, e per delle brevi come queste possiamo dire che regge più che bene: oso dire che i plot potrebbero essere ancora più deliranti con un effetto comico più roboante, ma tant’è… non mi posso lamentare dell’opportunità di vedere Guerrini all’opera, scatenato come non mai. È un professionista straordinario quello che non si risparmia mai, nemmeno in storielle corte dove altri si limiterebbero a fare il necessario: il disegnatore in questione invece dissemina le vignette di dettagli, manifesti e scritte, si diverte a creare scene ricche di spunti visivi e lavora di fino sull’aspetto dei personaggi e sulle loro espressioni.
Magniloquente.
Le allegre ferie di Paperino – In ferie, di Tito Faraci e Enrico Faccini (n. 3586), poteva suonare come uno spin-off de Gli allegri mestieri, ma si presenta piuttosto come uno “speciale fuori serie” declinato sull’opposto del lavoro, particolarmente adatto a vedere la luce durante agosto.
La struttura è piacevolmente atipica, suddivisa in sottocapitoli dedicati a vari aspetti (e sfighe) del periodo di ferie che Paperino si prende tra quelle accumulate nei vari lavoretti interinali degli scorsi mesi, che poi cambiano addirittura impostazione verso la conclusione. Plaudo alla fantasia sperimentale anche in queste piccole gemme, a parere personale ho trovato però la verve umoristica meno riuscita rispetto ai vari episodi dedicati alle professioni. Sempre belle le matite di Faccini.
Paperino e Qui, Quo, Qua pet sitter d’eccezione, di Knut Narum, Tormod Lokling e Arild Midthun (n. 3587), ci ripresenta il Donald by Egmont: un Paperino pasticcione ma volenteroso, un po’ sperso ma senza perdersi d’animo pur di rimediare al proprio errore e di aiutare i nipotini nella loro mansione di pet sitter per vari animali del vicinato.
Mi sono divertito, ho apprezzato come sempre il tratto sinuoso di Midthun e in definitiva ci stanno sempre queste proposte extra-italiane sul libretto, nonostante i disegni risultino sacrificati dal formato pocket.
Topolino e le demolizioni a catena, di Francesco Vacca e Lucio Leoni (n. 3588), segna il graditissimo (almeno per me) ritorno di Curiazio, il disastroso cugino di Orazio. Ahimè, rispetto alle precedenti incursioni di questa new entry topolinese, stavolta mi sono trovato ad apprezzare meno: soprattutto l’ultima apparizione era stata una perla di comicità riuscitissima e gustosissima, in questo caso purtroppo non bissiamo quei livelli e abbiamo “solo” una buona storia. Se vogliamo è anche una intelligente variazione sul tema, che va a contaminare con un suo senso il personaggio con altri ben radicati – Gambadilegno, in questo caso – ma l’esito è carino a poco più. Nota di merito a Pippo, che con le sue uscite surreali un paio di ghignate me le ha sapute strappare 😛 e a Leoni, che fa come sempre un ottimo lavoro.
Zio Paperone e l’affare in concorrenza, di Augusto Macchetto e Marco Mazzarello (n. 3586), è un po’ la nota stonata del mese. Se penso alla storia del co-working tra i due miliardari, uscita a luglio, trovo che ci sia un abisso nell’utilizzo di questi personaggi: in entrambi i casi si esplorano nuove strade nei rapporti tra i due, ma mentre in quell’occasione lo si faceva con un mix di contemporaneità e approfondimento del rapporto tra i due, Macchetto imbastisce una stramba pseudo caccia al tesoro con Paperone e Rockerduck nella giungla e il primo che dà lezioni si sopravvivenza in ambienti estremi al secondo. Notare bene: entrambi vestiti con le loro mise abituali, come se fossero nel centro di Paperopoli…
Il risultato sono dialoghi pedanti e noiosi, reazioni fuori da ogni logica da parte del pivello e un’atmosfera complessivamente poco centrata con la quale è difficile entrare in sintonia. Purtroppo i disegni di Mazzarello non aiutano a migliorare le cose, con un tratto poco dinamico e una sensazione generale di ingessamento.
Perfino Qui, Quo, Qua in: ritorno al micromondo, di Sergio Cabella e Giampaolo Soldati (n. 3588), riesce a far meglio! È noto il mio scarso apprezzamento per la lunga storia del micromondo uscita tre anni fa circa, e mi sorprende rivedere questa trama oggi onestamente. Non perché, non essendo piaciuta a me, non dovesse aver riscosso successo generale ovviamente, ma per il lungo lasso di tempo trascorso. Mi viene quasi da pensare che sia stata commissionata a Cabella dalla redazione per creare un gancio con l’articolo sugli insetti che rosicchiano i libri, pubblicato subito dopo la storia.
Ad ogni modo, sarà il suo risolversi in una sola puntata, sarà il suo voler raccontare qualcosa di semplice e lineare, sarà la presenza di Newton, ma tutto sommato il risultato appare più piacevole di quanto fu l’esordio della serie.
Non ho gradito granché il nuovo amico gufetto, ma non crea eccessivo disagio.
Bene, direi che per questo mese è tutto.
Alla prossima!