Il “Topo” di luglio 2022
Bentornati su Lo Spazio Disney!
Avete mai la sensazione di non aver voglia di fare nulla? Né di uscire né di stare in casa, né di andare al lavoro né di dedicarvi a quello che vi piace, né di stare con gli amici né di stare da soli?
Ecco, io ho dato un nome a questa sensazione. L’ho chiamata… estate.
Dannata stagione col suo dannato caldo 😛
Siamo entrati nel mese estivo per eccellenza, anche se – ancora una volta – non lo facciamo forse con la miglior predisposizione d’animo.
Oltre ai problemi che già affliggono il pianeta da vari mesi, e dei quali chissà perché faccio mensilmente il punto in queste introduzioni, si aggiunge anche una crisi di governo nel nostro Paese in un momento, per l’appunto, già di per sé abbastanza critico e carico di tensioni, nel bel mezzo di un’estate infuocata in cui le colonnine di mercurio schizzano preoccupantemente verso l’alto e al termine della quale ci aspettano per giunta le urne.
Come i cittadini di Paperopoli in Megaricchi, la storia di Bruno Enna e Alessandro Perina di cui vi andrò a parlare fra poco, anche noi saremo presto chiamati al voto, ma al contrario di loro temo che non avremo, tra vari candidati litigiosi, un pacifico Bob Tycoon a cui affidarci.
Insomma, è vero che ci aspettano settimane in cui molti tra noi avranno l’opportunità di staccare la spina dal lavoro e dagli impegni quotidiani per concedersi qualche giorno di ferie e di meritato riposo, ma si preannunciano anche due mesi di campagna elettorale di fatto già partita e che invaderà ben presto la maggior parte degli spazi televisivi e giornalistici.
Ma ormai sappiamo bene qual è l’antidoto per abbuffate di questo tipo, vero? Quando avvertiremo che sarà semplicemente troppo, potremo andare con la testa nell’universo cartaceo di Paperi e Topi, nel quale ritrovare anche solo per una mezz’oretta quella serenità troppo spesso insidiata dagli eventi dell’attualità, quando non da situazioni personali.
Era l’ago della mia bussola, quando ho deciso di aprire questo blog, e – dannazione! – in quasi due anni continuo a percepirlo come un bisogno.
E allora mi diverto anche stavolta a commentare le storie uscite su Topolino nell’ultimo mese, condividendo con voi generosi lettori i miei panegirici.
Luglio 2022: le storie da Topolino
Megaricchi – Una poltrona per tre, di Bruno Enna e Alessandro Perina (nn. 3475-3476-3477-3478) è una storia che partiva da premesse non proprio rassicuranti ma che invece mi ha saputo coinvolgere fin dal prologo e per tutta la sua durata, grazie a una gestione molto intelligente di uno spunto debole che viceversa è servito come base per costruire una trama con vari pregi nel suo svolgimento e nel corpo centrale, nella quale paradossalmente i punti di forza non si rintracciano nella tema portante.
L’idea di un reality show dedicato ai ricconi di Paperopoli con una competizione soggetta a televoto per scegliere il nuovo presidente del Club dei Miliardari mi aveva fatto scendere vari brividi lungo la schiena, ma fortunatamente lo sceneggiatore ha saputo giocare molto bene le sue carte e ha imbastito un intreccio dai molteplici sviluppi che ha saputo offrire un bellissimo Paperone, approfondire in maniera interessante Rockerduck e mettere in scena dinamiche familiari tra i Paperi molto azzeccate, riuscite e coerenti. Gli episodi, pur ovviamente tutti collegati tra loro, contenevano ciascuno elementi di indipendenza che li rendevano apprezzabili almeno parzialmente anche singolarmente, come il siparietto tra Paperino e Paperoga nel primo episodio o la parentesi nella redazione del Papersera. Una struttura che mi ha ricordato in parte quella corale di Zio Paperone e l’ultima avventura e in parte quella più classica delle storie a puntate degli anni Ottanta-Novanta che facevano da traino a gadget e carte allegate al settimanale, e che sono stato contento di ritrovare qui così gestita.
Megaricchi mi ha quindi divertito e intrattenuto grazie a una scrittura pulita e briosa, condita da dialoghi freschi e piacevolissimi da leggere.
Certo, non è esente da un paio di nei, nemmeno secondari: il “terzo polo” della competizione risulta praticamente non pervenuto, per esempio. Red Duckan appare purtroppo veramente poco in azione, e pur capendo che sia una figura nuova e ancora pienamente da interpretare da parte di autori che non siano il suo creatore (cioè Marco Gervasio), è un po’ un peccato perché questo poteva essere il contesto che lo avrebbe consacrato nell’universo paperopolese.
Inoltre, altro punto debole è il finale, che era praticamente annunciato a caratteri cubitali fin dall’inizio. La stessa gestione “low profile” del personaggio di Bob Tycoon, quarto contendente all’ambita poltrona, motivo addirittura di tormentoni ricorrenti e meme interni alla narrazione, portava inevitabilmente a a pensare che il suo ruolo nella storia non potesse che essere quello che poi è stato, altrimenti non avrebbe avuto senso come figura. E in qualche modo, anche le motivazioni dietro a quel finale erano intuibili, per quanto lodevoli come “morale”.
Peccato, anche se a mio avviso non sono difetti tali da minare la riuscita di un’avventura che ho seguito con vivo interesse, e peraltro sorretta dai disegni di un Alessandro Perina davvero in forma: l’artista è ormai stabilmente tra i veterani del libretto, ma negli ultimi tempi direi che per me è entrato definitivamente nella cerchia dei nuovi Maestri Disney grazie al suo tratto morbidissimo e fresco, che ha saputo raffinarsi sulle espressioni dei personaggi e che mi ricorda da vicino il miglior Cavazzano pur mantenendo una sua forte personalità.
Foglie rosse – Un lungo inverno, di Claudio Sciarrone (nn. 3474-3475-3476-3477) costituisce la seconda e ultima (?) stagione del primo progetto di Sciarrone come autore unico, chiaramente e dichiaratamente ispirato alla narrazione della serialità televisiva con un occhio particolare al fenomeno di Stranger Things e di conseguenza all’immaginario anni Ottanta dal quale la serie Netflix ha attinto a piene mani.
La season 1 mi era piaciuta, pur con qualche riserva sull’aspetto e sul ruolo stereotipato degli alieni cattivi; ma il punto forte era il setting costruito, l’atmosfera impostata e il rapporto fresco e credibile tra i ragazzini protagonisti.
Questa nuova avventura riconferma sostanzialmente sia i pregi che i difetti appena illustrati, però esasperandoli. Lo Sciarrone sceneggiatore sta ancora evidentemente prendendo le misure con la scrittura, e questo si vede soprattutto nella gestione del ritmo narrativo e nello sviluppo della trama, che anche in questo caso procede “a scatti”, con alcuni momenti particolarmente indovinati (il secondo episodio, le ultime tavole del terzo) e altri che rallentano un po’ la velocità. Si punta molto sulle scene madri, che effettivamente funzionano, ma l’affresco complessivo viene un po’ penalizzato, cosa che si rileva in particolare nell’episodio finale, con un confronto tra le due fazioni che si risolve fin troppo repentinamente e un commiato altrettanto affrettato e anticlimatico da parte di Philly.
Di contro, l’affiatamento tra i giovani protagonisti funziona ancora di brutto, è armonico e ben gestito, rendendo vivi i rapporti interpersonali e mantenendo ancora la centralità della musica, anche se solo in un passaggio (ma fondamentale). Anche una presenza maggiore di Topolino all’interno dell’azione permette degli inserti ulteriori e interessanti che arricchiscono le dinamiche complessive.
Lato disegni, siamo di fronte a uno dei lavori più ambiziosi di Claudio: si vede che teneva moltissimo a questo progetto e che ci ha profuso una cura particolare, prendendosi anche tutto il tempo che gli serviva. Il risultato è maestoso, ricco di sperimentazioni sulla griglia, di tavole che si aprono in splash e spread pages, e anche il tratto accelera e regala ai personaggi forme morbide e snodate molto apprezzabili. Riuscite anche le scene spaziali e quella dello scontro finale, così come i colori che appaiono veramente azzeccati per i vari punti narrativi, grazie all’ottimo lavoro di Irene Fornari e dello stesso Sciarrone.
Foglie rosse, nel suo complesso, si rivela probabilmente il progetto-simbolo di quello di cui Topolino avrebbe bisogno più spesso: è vero che in effetti progetti su questa falsariga sono ormai all’ordine del giorno nella rivista di Alex Bertani, ma è anche vero che difficilmente riescono ad avere un approccio così aderente al mood narrativo che tira in questo periodo. Ma, ancora più di quello, è molto raro vedere uno stile di disegno così moderno, non esente da pecche (a volte il vecchio Mickey non era immediatamente distinguibile dai suoi nipotini, solo per dirne una) ma innegabilmente calato nei tempi e capace di dare quell’appeal grafico moderno e catchy.
Non tutto funziona, nell’opera di Claudio Sciarrone, ma ci sono molti spunti degni di nota sulle potenzialità che il fumetto Disney può raggiungere.
Topolino e l’incubo dell’isola di corallo, di Marco Nucci e Casty (nn. 3478-3479), non è ancora conclusa ma a due terzi del racconto posso già iniziare a dire qualcosa al riguardo, riservandomi di tirare le fila in maniera completa nel post del mese prossimo, alla luce dell’ultimo episodio.
A mio avviso qui Nucci ha fatto centro: non tanto nell’ottica della restaurazione del personaggio di Macchia Nera, che addirittura nella seconda puntata non appare mai, quanto nella gestione del racconto e della tensione, aiutato in particolare dei disegni di un ispirato ed evocativo Casty.
In questa Incubo dell’isola di corallo c’è l’orrore (ovviamente ben dentro i limiti del consentito in Disney), l’ansia, il mistero e un Topolino veramente ben scritto e ben reso, che non si arrende nemmeno nella situazione più complicata e assurda, pronto a tentare l’impossibile per cavarsi d’impiccio. Dimostra così le proprie qualità senza rischiare di risultare pedante e in questo modo assume un ruolo molto ben definito e apprezzabile; anche il suo rapporto con il detenuto gentile con cui lega e la figura del secondino intransigente funzionano bene per creare l’atmosfera, insieme alla claustrofobica ambientazione carceraria e alle fantastiche tavole del Castellan e di Michela Frare: ricche di dettagli, con inquadrature mai banali, una ricercatezza e un’eleganza di fondo che si sposano però bene con il tratto classico dell’artista.
Fantastici i panorami e le architetture, in particolare della prigione, e gli effetti cromatici sullo sfondo di alcune tavole, come la prima, nei quali ci ha messo lo zampino anche il colorista Manuel Giarolli contribuendo a far spiccare le pagine così caratterizzate.
Questa storia promette insomma di essere un instant classic, sperando che l’ultimo tassello non diluisca quanto di buono visto fin qui, come accadde con Il bianco e il nero.
Topolino Giramondo – Topolino e la sabbia di luna, di Giuseppe Zironi (n. 3476), è un’altra piccola perla dell’autore, che questa volta fa arrivare il protagonista su una particolare spiaggia della Sardegna (anche se l’isola, per qualche motivo, non viene mai esplicitamente nominata).
Siamo sul buonissimo livello delle precedenti avventure del ciclo, e anche se il main plot non ha un gran mordente ha il pregio di essere raccontato con il giusto piglio e facendo percepire un minimo del pericolo corso da Topolino, nel momento in cui viene rapito da alcuni brutti ceffi.
Altro merito della storia sono le due ragazze in vacanza che incrociano la strada con Mickey e decidono di aiutarlo: una caratterizzazione forse vagamente isterica ma che contribuisce tutto sommato a renderle simpatiche e a fornire al protagonista una coppia di spalle per lui inusuale.
I disegni sono sempre un altro grande punto a favore di questo progetto: anche in questo caso le vedute la fanno da padrone, c’è una bellissima splash page che rende perfettamente l’idea degli scenari idilliaci visitati, ma gli scorci abbondano anche nelle vignette più tradizionali. Apprezzabilmente “zironiano” il character design delle due comprimarie e dei cattivi, sempre piacevolmente “ruvido” l’aspetto di Topolino, nel volto e negli abiti, ma scattante nei movimenti.
Promossa!
Con Zio Paperone re del Klondike, di Marco Gervasio e Stefano Zanchi (n. 3479), il fumettista romano attinge a piene mani dalla mitologia del giovane Paperone cercatore d’oro nello Yukon. Se quindici anni fa una cosa del genere sarebbe stata trattata senza grossi punti fermi ma restando sul generico, ora un segno che i tempi sono cambiati lo dà anche questa storia, che riprende fedelmente (o quasi) alcuni capisaldi come Zio Paperone e la Stella del Polo di Carl Barks e Cuori nello Yukon di Don Rosa, dando loro un parziale nuovo sviluppo.
Si citano esplicitamente fatti narrati in quelle due avventure (ma anche ne L’ultima slitta per Dawson, sempre del Don), si riutilizza Soapy Slick – che, ricordo, vedremo anche per mano di Nucci nel prossimo episodio della Road to World Cup – e si amalgama il tutto: attenzione, non per raccontare una nuova storia, ma per celebrare i personaggi di Paperone e Doretta Doremì, il loro rapporto burrascoso e intrigante, le spigolosità di entrambi che hanno sempre impedito che tra i due le cose evolvessero in qualcosa di ufficiale.
Gervasio dà prova di saper gestire in maniera efficace queste sensazioni, questo tipo di narrazione che si svolge più sulle sensazioni che su situazioni concrete e anche se di fatto non fa altro che riprendere suggestioni già codificate proprio da Don Rosa, il risultato è apprezzabile, non fosse altro per la possibilità di riportare un po’ di quelle atmosfere nel fumetto Disney, alle quali personalmente sono piuttosto sensibile.
Un more of the same che però ho ben accolto, perché mi è apparso genuino e sentito e che si avvale inoltre dei disegni fenomenali di Stefano Zanchi, uno dei disegnatori più interessanti della sua generazione, come ho già avuto modo di dire recentemente. La fluidità del suo tratto rende i personaggi vivi come non mai, morbidi e scattanti, dinamici e adorabili. Il loro aspetto, unito a una regia veramente capace e consapevole, regala tavole magnifiche che portano a soffermarsi sulle singole vignette per diversi secondi, la costruzione delle tavole è interessante, non sempre con esiti convincenti al 100%, ma con soluzioni che denotano un certo gusto per la sperimentazione. Il taglio cinematografico delle vignette orizzontali strette, quelle verticali in cui si dà risalto alla fisicità dei personaggi e la gabbia libera restituiscono movimento alla vicenda e la rendono spumeggiante, riuscendo a rallentare il ritmo nel giusto modo per sottolineare invece i momenti più intensi.
Non poteva filare però tutto liscio 😛
E qui devo fare uno spoiler sul finale, quindi affrontate questo paragrafo solo dopo la lettura della storia, se non volete anticipazioni.
Le ultime tre tavole mettono in scena, a sorpresa e in maniera deliberata, il tentativo da parte di Gervasio di effettuare una sintesi tra la lore di Barks e Rosa e quella di… Guido Martina, riproponendo un elemento nato in una storia del primissimo Paperinik che l’autore ha ripreso nell’ultimo anno in diverse occasioni, sia nella sua saga di Fantomius che nel suo ciclo sul vendicatore mascherato. Ebbene sì, è ancora La Bella Addormentata a fungere da MacGuffin della situazione, un particolare di sfondo che viene assurto per qualche motivo non molto chiaro a fulcro attorno al quale girano i pensieri di Paperone.
Era già strano che tornasse in auge nelle storie dell’eroe e del ladro gentiluomo, ed era insolito che si suggerisse che per lo Zione avesse un significato importante, ma legare questa intuizione alla Bolla d’Oro e al rapporto tra Paperone e Doretta mi sembra un volo pindarico eccessivamente fantasioso, che dal mio punto di vista – beninteso – non aggiunge nulla a nessuna delle avventure tirate in ballo. È una vera e propria retcon, e per quanto di per sé non ci sia nulla di male, diciamo che di solito si attua per elementi un po’ più portanti all’interno di una continuity o presunta tale.
Capisco la volontà di mostrare quanto Paperone voglia conservare il ricordo di quel periodo e della sua fiamma, e comprendo anche l’idea di costruire un percorso coerente e unitario seguendo “le tracce” di questo quadro disseminate nel corso dei mesi e di varie storie; anzi, a dirla tutta mi spingo addirittura a lodare questo approccio trasversale, ma per come è stato utilizzato mi è apparso pretestuoso e forzato.
Di più, in un periodo in cui l’interconnessione tra storie, anche di diversi personaggi, serie e autori, è presente in maniera massiccia, non mi sarebbe spiaciuto avere una storia autonoma in questo caso specifico, al netto ovviamente dei richiami alle avventure barksian-donrosiane di cui sopra, senza per forza il colpo di scena-rivelazione che si collega alle precedenti vicissitudini di quel dipinto.
Ma tant’è; vero è che si tratta di un particolare che anche il lettore occasionale può assimilare senza per forza conoscere vita, morte e miracoli del ritratto in questione (tutto quel che serve sapere ai fini della storia è quanto dice Battista), e se provo a vederla in quest’ottica non mi dà neanche così fastidio. Però non è chiaro perché tra i tanti oggetti del saloon Paperone si sia fissato proprio con quel quadro e perché egoisticamente lo tenga lui, una volta rintracciato, invece di mandarlo a Doretta. Sappiamo che il personaggio dà grande valore a oggetti che possono non averlo intrinsecamente, ma c’è sempre dietro una ragione, mentre qui mi sembra un po’ gratuito. Quasi quasi digerisco meglio l’idea che abbia l’altarino in camera con il dipinto di Doretta a cui dà la buonanotte, o la famosa ciocca bionda nella cassetta di sicurezza ^^’’
Ad ogni modo, quanto di buono c’era per tutto il resto del racconto rimane, per fortuna, e perlomeno posso sperare che la saga della Bella Addormentata sia giunta al termine.
Paperino cercatesori fai da te, di Pier Giuseppe Giunta e Francesco Guerrini (n. 3476), è un’autoconclusiva nella quale lo sceneggiatore si diverte a ribaltare un topos classico del fumetto Disney “per vedere l’effetto che fa”.
In alcuni casi idee del genere sono risultate cringe o comunque fuori luogo e spia di poche idee, ma in quest’occasione Giunta scrive un racconto piuttosto simpatico perché punta tutto sulla genuinità di Paperino, riuscendo in una storia molto semplice e far emergere meglio di altri alcune caratteristiche del personaggio: l’ostinazione, l’entusiasmo eccessivo, il crederci fino all’ottusità. Lo svolgimento si muove più a gag che in maniera unitaria, ma per una semi-breve come questa è una costruzione che funziona, e che porta al paradossale finale che mi ha sorpreso.
Azzeccata l’idea di rendere Paperina la spalla del protagonista, anche perché l’eterna fidanzata viene scritta piuttosto bene e il duo funziona in maniera affiatata.
Infine encomi come se piovesse ai disegni di Guerrini, un artista che vorrei vedere molto più spesso su Topolino: vignette ricche di movimento, un tratto particolareggiato, personaggi vivi e simpatici, attenzione ai dettagli (negli abiti, negli sfondi, nei mezzi di trasporto) e la sempre piacevole varietà animalesca nei personaggi secondari. Ah, che bello!
Zio Paperone e le acque marziane, di Francesco Vacca e Alessandro Perina (n. 3477) è la prima storia del progetto “Comics & Science” nella quale la collaborazione si sviluppa addirittura con il CERN e con la Dott.ssa Teresa Fornaro di INAF!
Vacca scrive bene e continua a dimostrare, senza particolari exploit ma lavorando di fino, di essere un nome interessante (al netto delle sue GM, a cui non ho risparmiato critiche).
Qui se la cava con una trama piuttosto lineare, che incastra in maniera tutto sommato naturale il tema dell’acqua sul pianeta rosso con la narrazione ideata, che prende avvio addirittura dalle velleità di Paperino come cuoco da Masterchef. Il finale forse è un po’ low profile, ma la storia si fa leggere senza sforzo, aiutata dei disegni morbidi e curati di Perina.
Brigitta e l’impresa 3D, di Marco Bosco e Giampaolo Soldati (n. 3478) fa sempre parte dell’etichetta “Comics & Science”, ma in questo caso si riconferma il legame con la rivista Nature. In realtà, però, stavolta l’elemento scientifico che fa da sfondo è forse… troppo sullo sfondo! Di fatto questa è più che altro una classica storia di Filo e Brigitta che si industriano in una nuova impresa, ma non ci si sofferma troppo sulle reali applicazioni della tecnologia su cui si basa questo progetto (cioè la stampante 3D alimentare), che viene invece approfondita nell’articolo a corredo.
Beninteso, la storia è scritta con mestiere, fila molto bene e mi ha fatto sorridere nel complesso… ma rispetto ad altre di questo filone, ho percepito meno il suo intento divulgativo.
Ciccio 2.0, di Carlo Panaro e Marco Palazzi (n. 3477) è evidentemente una storia di trent’anni fa finita in un wormhole e catapultata nel 2022. Le sceneggiature di Panaro, per ovvi motivi, hanno quasi sempre un’impronta molto classica, ma questo è un esempio di come “classico” non faccia sempre rima come “valido”.
Di base mettere Ciccio al centro di una trama è sempre stata una mossa rischiosa, vista la diffusa difficoltà nel renderlo interessante e diverso dal solito e stantio binomio fame-sonno; qui l’autore tenta di smarcarsi da tale rischio ma per farlo cerca di rilanciare il personaggio mostrandolo mentre tira fuori il proprio orgoglio in quanto aiutante di Nonna Papera, nel momento in cui gli sembra che la nonnina voglia sostituirlo con un collaboratore più attivo. Il plot appare però modesto e prevedibile tanto nella struttura quanto nel finale, la vicenda procede col pilota automatico, il povero Ciccio non sembra avere più un’identità precisa e il comprimario che dovrebbe soffiargli il posto assume una caratterizzazione incoerente e inutilmente ambigua nel giro di poche pagine. A nulla valgono il tentativo di aggiungere feels con la chiosa finale di Nonna Papera o i disegni di un buon Palazzi – dallo stile sicuramente adatto al tipo di storia – per risollevare le sorti di un’avventura poco ispirata e che trova i suoi limiti principali proprio nel protagonista.
“Finestra sul mondo” è il nome di un nuovo filone che apparirà sul “Topo” nel corso dell’estate per proporre ai lettori del settimanale delle brevi inedite straniere per dare risalto ad autori esteri che il pubblico italiano – perlomeno quello generalista e meno appassionato – conosce poco o nulla.
Un’idea sulla carta interessante, e che potrebbe anche fare da traino ad Almanacco Topolino, sede naturale per questo tipo di proposta sulla quale alcuni lettori del pocket potrebbero approdare spinti da questa contaminazione.
Certo, non basta avere un’idea del genere, la vera differenza la fa la scelta delle storie da presentare nell’ambito di questo progetto, e i primi due esempi non sono di grande conforto in tal senso, il primo in particolare…
Paperino e il deserto da disertare di William Van Horn (n. 3478) è una riempitiva nel senso più letterale del termine, con una non-trama che avvicina il ritmo più a quello di un cortometraggio animato che a quello di un fumetto. Niente di male in questo, se non fosse che il risultato appare frammentario, in sostanza una sequenza di gag collegate dal tema del deserto in cui si trovano Paperino e nipotini, soprattutto con la “colpa” di essere davvero poco ispirate e originali.
Anche il tratto di questo tardo Van Horn (siamo nel 2016) non è dei migliori: rigido e quasi abbozzato, si discosta molto dall’estetica del resto del numero e non propriamente in maniera positiva. È troppo grezzo e credo poco appetibile per il grande pubblico, che difficilmente partendo da questa prova potrebbe essere invogliato a leggere qualcos’altro dell’autore. Il che è un peccato, considerando che l’artista americano è un nome di un certo spessore tra i Disney extra-italiani, e chi leggeva Zio Paperone tra la fine degli anni Novanta e i primi anni 2000 lo sa bene.
Per quanto riguarda invece Paperino e il granchio truffaldino, di Janet Gilbert e Francisco Rodriguez Peinado (n. 3479), si tratta di una 3-pages semplicina ma assai carina. In sostanza è un simpatico dispetto di Qui, Quo, Qua allo zio, poco più di una gag, ma gestita in maniera leggera e piacevole, con disegni puliti ed eleganti. Insomma, un esito sicuramente migliore della precedente avventura estera proposta, anche se ovviamente non ha certo ambizioni di colpire in maniera particolare il lettore, per motivi insiti nel tipo stesso di racconto.
Bene, credo di aver detto tutto.
L’appuntamento è ora fra un paio di giorni con il post che riguarda le pubblicazioni di luglio.
Ciao!
“Megaricchi” poteva essere l’occasione per inserire nel “Topo” dei gadget a tema. Per ese6delle spillette pubblicitarie dei quattro candidati, una o due per numero. In passato era stato fatto, e apprezzavo queste iniziative.
RenaCoMics
Ciao Renato.
Io in realtà non sono un grande fan di gadget e ammennicoli vari allegati al giornale, lo ammetto. O meglio, una volta ero più sensibile a iniziative di questo tipo, ora mi lasciano indifferente ^^”
Ma certamente, analizzando la cosa da un punto di vista commerciale, avrebbe potuto avere senso. C’è da dire comunque che veniamo da un lungo periodo – che mi pare non accenni a finire – di vari oggetti in allegato, anche ambiziosi e curati; se non si è pensato di sfruttare “Megaricchi” per un’iniziativa del genere (ricordando che hanno comunque realizzato una doppia copertina) potrebbe essere stato per non pestare i piedi ad altre simili e ravvicinate o per qualche altro motivo per noi insondabile 😛
Grazie per essere passato e aver voluto commentare, a presto!
Ciao!
Per fortuna io vivo in un luogo abbastanza ventilato, quindi per quanto faccia caldo c’è sempre una bella arietta. Comunque, essendo io freddolosa, soffro più d’estate che d’inverno xD poi, onestamente, la campagna elettorale mi scivola di dosso senza toccarmi minimamente…tanto sappiamo che molte sono soltanto parole al vento…
Comunque, questo mese è stato ricco di storie, alcune mi sono piaciute, altre un po’ meno.
“Megaricchi” mi ha molto divertita. Penso che nessuno si sia stupito di vedere quel finale, ma credo che nemmeno Enna abbia concepito la storia per infilarci un finale ad effetto. Credo che le intenzioni dell’autore fossero mirate ad ironizzare sui reality show e sulle logiche spietate di mercato – ben incarnate dal presidente uscente del club. Infatti, il vero “colpo di scena” della storia è scoprire che non c’è Duckan, bensì l’ex presidente, dietro all’infangamento di Paperone e Rockerduck. Inoltre, la storia in sé è molto divertente nei vari siparietti -come hai detto tu- e nelle gag.
Anche a me sono piaciuti molto i disegni di Perina, con un tratto pulito e semplice.
La seconda stagione di “Foglie rosse” mi è piaciuta, mi è sembrata più centrata la caratterizzazione degli Sgharooz rispetto a prima, e i rapporti tra amici mi sono piaciuti per la loro naturalezza. Ho trovato efficace il ritmo del tempo quando Topolino viene interrogato dagli uomini dello Stato di quando c’è stata la fuga dall’edificio, ma alcuni passaggi mi sono sembrati affrettati, come il finale. Avrei preferito un addio più emotivo e “di persona” tra Philly e Tip e Tap.
Dal punto di vista dei disegni, onestamente preferivo lo Sciarrone degli anni 90-primi Duemila, quello di PKNA e PK2 per interderci. Negli ultimi anni il suo tratto mi è sembrato più “rigido” (avevo già riscontrato questa caratteristica quando ha disegnato per la PKNE, specialmente “Gli argini del tempo”), e “Foglie rosse” non è da meno. Comunque, mi sembra che stia imparando a contenere la legnosità dei personaggi, quindi non posso che essere contenta della nuova direzione che sta prendendo.
“L’incubo dell’isola di Corallo” mi sta piacendo molto, mi ricorda molto le atmosfere di alcuni film vecchi ambientati in contesti simili (del resto spesso Nucci inserisce dettagli quasi “cinematografici” nelle sue storie). Ho trovato azzeccato lo spunto e anche ben sviluppato, spero che il finale mantenga le aspettative. Ho trovato particolarmente azzeccate quanto inquietanti le guardie carcerarie, in un contesto di “ribaltamento dei ruoli” (sono quasi più malvagi i secondini dei detenuti) che mi piace molto.
I disegni di Casty sono perfetti per questa sceneggiatura. Come fatto notare sul Papersera da alcuni utenti, ho notato anch’io un “cambio” di prospettive dei disegni e dei piani d’inquadratura tra le storie di Casty autore completo e Casty solo disegnatore.
Continua a piacermi il ciclo “Topolino giramondo” di Zironi, e in particolare questa storia è orchestrata molto bene tra l’inizio in medias res e la presenza di due personaggi – le sorelle – particolari e ben caratterizzati.
“Zio Paperone re del Klondike” è una storia controversa. Da un lato ha il pregio di rispolverare la vera Doretta, quella barksian-donrosiana, la donna grintosa e testarda che ha un rapporto difficile con Paperone (questo approccio alla Doremì si era del tutto perso nelle storie italiane). Di contro però s’infila tutto nella “saga” della Bella Addormentata. Non mi sento di considerarlo un difetto, onestamente, perché chiude il cerchio sull’ossessione di Paperone, ma devo riconoscere che è un po’ forzato il fatto che Paperone si fissi su un oggetto perché appartenuto al saloon di Doretta. Comunque, ciò non rovina affatto la lettura, anzi. La storia rimane una delle mie preferite del 2022, un po’ perché ho un debole per il rapporto tra Paperone e Doretta, forse anche grazie agli stupendi disegni di Zanchi che conferiscono sempre lirismo alle atmosfere, e per la sceneggiatura di Gervasio che mi ha restituito atmosfere e sentimenti che mi mancavano un po’. Nel quadro di sentimentalismo e approfondimento psicologico di vari personaggi (Gastone, Amelia, Rockerduck, ecc) finalmente tale trattamento viene riservato anche a Paperone, assenza che prima lamentavo.
Mi è piaciuta molto “Paperino cercatesori fai da te”, l’ho trovata un’avventura ricca di brio e divertente. Buona l’idea di vedere le vicende di coppia di Paperino e Paperina in un contesto – quello delle cacce al tesoro – che di solito lo vede in azione con Zio Paperone. I disegni di Guerrini sono strepitosi, ha un tratto personale e davvero gradevole.
“Le acque marziane” è una bella storia, considerato anche l’intento divulgativo. La vicenda scorre bene e mi è piaciuto Paperino nelle vesti del cuoco appassionato. Tra l’altro la stampante 3D usata qua per costruire l’abitazione marziana si collega alla precedente storia “Comics & Science”.
Quest’ultima è “Brigitta e l’impresa 3D”, storia che mi è piaciuta nella sua semplicità. Ma ho notato anch’io che l’elemento scientifico è sullo sfondo. Mi è sembrata una vicenda “La premiata ditta Filo & Brigitta” con uno stratagemma più scientifico del solito. Comunque, un plauso per l’articolo ad approfondimento (anche se non credo sarò una grande utilizzatrice di stampanti 3D in cucina…sono troppo affezionata a quella casalinga).
“Ciccio 2.0” non mi ha colpita molto: sarà per il protagonista, che non mi è mai piaciuto molto, sarà per l’aiutante che dovrebbe essere il fulcro della storia e invece fa tornare tutto allo status quo in poche pagine, rivelandosi un’aggiunta temporanea e non una sostituzione. Per certi versi mi ha ricordato “Nonna Papera e il filtro della laboriosità, storia -credo- degli anni 60 in cui Ciccio diventava uno stacanovista dopo aver bevuto un filtro, soli che in “Ciccio 2.0” non ci sono filtri di mezzo.
Il ciclo “Finestra sul mondo” ha di base una buona idea, ma si dovrebbe scegliere avventure più appetibili.
Quella di Van Horn ha veramente poco da dire, e i disegni certo non compensano.
“Il granchio truffaldino” è molto simpatica e ha un’idea originale, ma è troppo breve per essere un campione delle storie estere.
Comunque sono fiduciosa che il ciclo possa trovare la propria strada.
È tutto, alla prossima!
Grazie come sempre per il tuo parere, Korinna!
Rispondo in merito a “Megaricchi” dicendo che penso tu abbia ragione, non credo che Enna puntasse al colpo di scena con quel finale, motivo per cui mi sono goduto lo sviluppo godendo dei tanti tocchi riusciti, non ultimo la satira su reality a cui alludi.
Per quanto riguarda Sciarrone, anch’io rimango convinto che il suo apice stilistico lo abbia toccato tra il 2000 e il 2001, a mio modo di vedere in quel periodo era al suo meglio. Poi i primi anni in cui è passato al digitale ha dovuto “prendere le misure” del mezzo, secondo me, per assestarsi su un nuovo stile che non mi convinceva appieno. Da 3-4 anni trovo che sia tornato a lavorarci su e qualcosa sta cambiando nuovamente. In fondo è anche questo un sintomo di quella ricercatezza estetica che caratterizza Claudio.
Belle le tue riflessioni sulla Nuccia/Casty 😉
Infine, per quanto riguarda “Il re del Klondike”, credo sia una storia che divida molto. Tutt’ora mi è difficile discernere in maniera definitiva quello che per me è buono da quello che non mi ha convinto, anche se spero di essere riuscito a spiegare quelli che per me sono gli aspetti positivi e quelli negativi all’interno del post. Sicuramente quanto dici sull’uso di Doretta è verissimo e fa parte dei pregi della storia anche per me, comunque 😉
Alla prossima!
Ciao, sono contenta che i miei commenti suscitino riflessioni e scambi tra appassionati del fumetto!
Alla prossima! 🙂