Problemi col caminetto

Problemi col caminetto

Bentornati su Lo Spazio Disney!
Oggi faccio una deviazione rispetto al mio consueto bla-bla sui fumetti balzando dall’altra parte della barricata, pur restando sempre in ambito Disney.
Ebbene sì, diamo un occhio all’animazione!
Non parlerò però di tecniche o di altri elementi strettamente relativi all’arte dei disegni animati, non avendone tra l’altro le conoscenze sufficienti. Quello su cui invece voglio concentrarmi riguarda la narrazione, la capacità di scrivere una scena che, nella sua apparente semplicità, per come è stata realizzata e per come si innesta nella sceneggiatura, ha secondo me molto da dire e merita di essere brevemente analizzata.

frollo1Vado con ordine: il film su cui vado a concentrarmi è Il gobbo di Notre Dame (The Hunchback of Notre Dame), pellicola del 1996 diretta da Gary Trousdale e Kirk Wise e scritta da Irene Mecchi, Tab Murphy, Jonathan Roberts, Bob Tzudiker e Noni White su soggetto di Tab Murphy (e ovviamente ispirata al romanzo Notre-Dame de Paris di Victor Hugo).
Si tratta del trentaquattresimo lungometraggio appartenente alla cosiddetta lista dei “Classici” (termine ormai desueto, superato e fuorviante, ma a cui rimango affezionato), vale a dire quei prodotti realizzati direttamente dai Walt Disney Animation Studios, cioè gli studi d’animazione principali.
Per tutti i dettagli del caso rimando alla relativa scheda del Disney Compendium qui linkata.

Io mi voglio soffermare su un passaggio ben preciso, quello che prende avvio con la sequenza musicale Hellfire, numero in cui il villain Frollo è gran mattatore.
Il gobbo di Notre Dame, come tutti i film precedenti usciti dall’Hat Building negli anni Novanta (quelli del Rinascimento disneyano), assume infatti i caratteri del musical, con diverse scene in cui le canzoni dominano la narrazione facendola procedere coerentemente o permettendo di concentrarsi su sentimenti ed emozioni dei vari personaggi, permettendoci di capire il loro retaggio e le loro ambizioni.
Hellfire è il pezzo che mette in evidenza l’animo del cattivo della storia, ma rispetto ad altri casi simili ce ne dà un’interpretazione più torbida, tormentata e ambigua rispetto a quello che potevamo desumere da quanto visto fino a quel momento: il perfido giudice Frollo governa col pugno di ferro la città di Parigi e dimostra disprezzo per la comunità degli zingari, in particolare della ballerina Esmeralda, colpevole di atteggiamenti sediziosi, lussuriosi e lascivi.
Nel magistrale brano che interpreta verso metà film, però, Frollo palesa di essere stato suo malgrado irretito dall’avvenenza della provocante gitana: le parole, sostanzialmente un’invocazione in musica alla Vergine Maria, palesano il turbamento del magistrato nei confronti di Esmeralda, che odia ma dalla quale è irrimediabilmente attratto.
Trattandosi di un personaggio negativo, il sentimento di Frollo assume i contorni di una bramosia malsana ed egoista, nella quale non c’è posto per la partner della coppia ma solo per la soddisfazione del proprio desiderio.
Tale elemento assume addirittura connotati vagamente sessuali: l’attrazione di Frollo è verso il corpo della donna, verso le sue forme e tende a un appagamento che ha esplicitamente a che fare con l’odore – si veda ad esempio il rapporto quasi morboso con il foulard di Esmeralda, che stringe a sé e in cui affonda il naso, o l’ossessione per i suoi capelli – e con il tatto, con qualcosa quindi di molto carnale.
Connotati decisamente inusuali in un prodotto disneyano, ma eravamo in anni in cui c’era un certo margine per osare un tantino di più, in alcuni frangenti e settori.

frollo2La gravitas della canzone e tutto il sottotesto che si porta dietro si traduce in una composizione davvero encomiabile, merito di quella mente musicalmente geniale che è Alan Menken il quale, coerentemente con il contesto narrativo, imbastisce delle note che riecheggiano chiaramente canti liturgici e contribuiscono quindi, oltre a un tappeto musicale sontuoso, ad atmosfere ricche di sacralità e riverenza.
Infine il connubio tra il testo del paroliere Stephen Schwartz e l’animazione – che si pone qui ad altissimi livelli – esemplifica chiaramente e mirabilmente la metafora della scena: il fuoco diventa elemento cardine, sia come sinonimo dell’erotismo di cui è portatrice la zingara che come scenario infernale nel quale Frollo colloca questi sentimenti che prova e di conseguenza Esmeralda e tutta la sua genia.
Non è un caso che la sequenza si svolga davanti a un camino, al quale il ministro rivolge le proprie invocazioni: da lì si sprigionano le immagini oniriche di cui è preda, tra altissime fiamme che lo circondano e un consesso di incappucciati pronto a giudicarlo.
Si tratta di “proiezioni mentali” che lo spettatore di quegli anni era avvezzo a vedere, perché chiave di volta sulla quale gli artisti Disney innestavano i numeri musicali delle pellicole da La Sirenetta in avanti: il concetto stesso di musical permetteva che durante le canzoni si visualizzassero scene irreali, figlie della fantasia dei protagonisti o escamotage permessi dal contesto o dalla storia – in Aladdin, per esempio, molti voli pindarici erano giustificati dalla magia del Genio – e nessuno spettatore si stupiva quindi di vedere certe derive visive, a prescindere dalla propria conoscenza del messo musical: la presenza di una canzone giustificava ogni metafora.

Tutto questo preambolo serve però ad arrivare alla scena immediatamente successiva a Hellfire, che ho sempre trovato una rottura della quarta parete tanto sottile quanto geniale, di una finezza e di un’ironia davvero sopraffine.
Ritroviamo infatti Frollo, la mattina successiva, scendere dalla sua carrozza con il volto visibilmente provato: alla domanda del capo delle guardie Febo che gli chiedeva se stesse bene, egli risponde:

Problemi col caminetto.

Se andiamo a vedere la linea di testo originale, scopriamo che la traduzione è fedele pressoché alla lettera:

I had a little trouble with the fireplace.

frollo3Questa affermazione assume un connotato particolarissimo all’interno del racconto: nella realtà dei fatti le immagini che tormentavano Frollo non si erano sprigionate davvero dal camino, il quale non rappresentava niente di più di una parte dell’arredamento davanti al quale si è trovato a riflettere sui propri sentimenti e sui propri dubbi. Erano queste emozioni impalpabili, che musica e animazione hanno trasformato a favor di pubblico in figure e fantasmi, ad angosciare piuttosto il villain, che quindi avrebbe avuto poco da incolpare il focolare per la sua notte insonne.
La battuta di Frollo strizza quindi l’occhio allo spettatore riuscendo a sdrammatizzare la cupezza della scena appena vista, ma senza snaturarla o impoverirla, giacché viene posta in maniera assai elegante e intelligente.

Certo, c’è anche la possibilità che nella sua follia il giudice abbia effettivamente immaginato di vedere visioni infernali scaturire dal caminetto, ma anche in questo caso un’allusione così sibillina fatta a Febo viene senza dubbio rivolta più a chi sta guardando il film che al personaggio all’interno della narrazione.

Come la si voglia vedere, dunque, Problemi col caminetto resta per un me un esempio di scrittura brillante e sagace, pur nella sua semplicità.