
Il “Topo” di aprile 2025
Bentornati su Lo Spazio Disney!
Un mese a dir poco ricco di situazioni, quello che ci lasciamo alle spalle! Note liete se pensiamo ai diversi giorni di festa e ai relativi ponti, che hanno permesso una seconda metà di aprile piuttosto alleggerita dai consueti impegni lavorativi; novità decisamente meno felice è invece la morte di Papa Francesco, che al di là della fede e di come la si possa pensare resta sempre un evento luttuoso e spartiacque a livello sociale… se non ci credevate, la totalizzazione sull’argomento attraverso i media tradizionali deve avervene convinto 😛
C’è stata inoltre la ricorrenza degli 80 anni dalla Liberazione dal nazifascismo: un nuovo 25 aprile, data di grande spessore e importanza che anche quest’anno, nonostante tutto, non ha mancato di essere giustamente ricordata e celebrata, per poi arrivare al 1° Maggio e con lui la doverosa occasione per ricordare come anche nel 2025 la situazione lavorativa ha ancora molta strada da fare per dirsi accettabile.
Un mese così ricco si riflette anche sulla produzione disneyana, che subisce in particolare l’inizio della stagione fieristica primaverile: in occasione di Torino Comics e in vista di Napoli Comicon, in particolare, la redazione ha cercato di attirare l’attenzione con varie storie, nonché con una nuova testata da edicola dall’emblematico titolo Le storie di Topolino.
Nomen omen, direi, e pertanto andiamo a vedere cosa hanno offerto le storie di Topolino… non il bimestrale, però, ma quelle pubblicate sul libretto nel corso di aprile 😉
Aprile 2025: le storie da Topolino
Terravento, di Alex Bertani, Luca Barbieri e Mario Ferracina (nn. 3620-3621-3622-3623), è la testa d’ariete del settimanale per questa primavera, il centravanti di sfondamento che il direttore Alex Bertani – non a caso co-autore di soggetto e sceneggiatura – ha schierato per giocarsi le più importanti fiere della stagione.
Debiti pesantissimi dalla poetica di Hayao Miyazaki, Nausicaä della Valle del vento in particolare, con qualche riferimento a Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry e con un titolo che richiama – per non farsi mancare nulla – il ciclo di Terramare firmato da Ursula K. Le Guin (adattato peraltro proprio in un film d’animazione dello Studio Ghibli), Terravento si presenta come una saga ambiziosa, sulla falsariga di altri progetti simili nei quali Bertani ha messo lo zampino, ripresentando non a caso certi stilemi: una certa lentezza narrativa, che si prende i suoi tempi forse con qualche eccesso, una buona dose di introspezione, ambientazioni inedite, partenza in medias res, molti misteri da risolvere, personaggi che interpretano ruoli diversi dalla consuetudine e una comparto visivo moderno e che può permettersi soluzioni ardite e d’impatto, sia nel disegno che nella colorazione.
È la classica saga su cui si punta molto e che a una frangia di lettori risulta certamente indigesta, ma che ha il merito di provare a battere nuove strade, formali prima ancora che narrative.
Nel momento in cui scrivo manca ancora un episodio alla conclusione: il ritmo è stato in effetti un po’ troppo lento, dilatando eccessivamente il racconto ottenendo singoli episodi che saziavano a malapena (a parte le ultime pagine del terzo e la seconda parte del quarto), con il controsenso di avere tante pagine a disposizione ma di non aver ancora spiegato quasi nulla a un episodio dalla fine per quanto riguarda le premesse che hanno portato a questo futuro, chi sono i Saggi, com’è effettivamente strutturata la società e la natura delle misteriose Ombre. Sicuramente in questo modo gli autori sono riusciti a lavorare efficacemente sull’atmosfera, su una certa narrazione contemplativa, ma tutto questo mi fa già pensare all’esigenza di una seconda stagione per poter svolgere coerentemente il discorso.
Sono convinto che una lettura unitaria farà guadagnare diversi punti all’operazione, che comunque recepisco con una sobria positività, avendo se non altro permesso uno spaccato alternativo con questi personaggi. Anche l’inedito team-up con questa versione di Topesio a mio avviso funziona, al di là dell’ovvio (e sterile?) gioco dello shock nel rendere un villain la spalla di Topolino, funziona per le dinamiche che va a creare; peccato che sia sparito quasi subito e se ne siano già perse le tracce, nel disinteresse del protagonista!
Per quanto riguarda i disegni, Ferracina sta crescendo a vista d’occhio, ma forse avrei affidato ad altre mani una storia come questa: la caratteristica estetica di Terravento è data dagli ampi panorami desertici, rischiando di rendere le tavole – spesso strutturate con vignette molto ampie o addirittura con spread e splash page – un po’ vuote. Il che è chiaramente un effetto scenico voluto, ma occorre altresì un tratto capace di non far percepire l’assenza di qualcosa e non sempre a mio avviso Ferracina ci riesce. Gli effetti grafici per rendere lo sterminato terreno sabbioso o il cielo terso e infinito sono interessanti e valorizzati dalla colorazione efficace di Irene Fornari, ma in alcuni passaggi emerge un senso di vacuo che non convince.
Il terzo episodio in realtà sembra trovare un maggior equilibrio nelle scene ambientate all’interno della tempesta di sabbia, con risultati assai suggestivi e intriganti sia per la gabbia che per come vengono riempite le vignette, e così anche per il lussureggiante giardino sotterraneo trovato dai protagonisti che appare convincente.
Negli interni, invece, non sempre il tratto dell’artista riesce a rendere in maniera puntuale la tecnologia del popolo di Topolino… alianti a parte, che di contro nella loro semplicità funzionano.
Giudizio complessivo sospeso in attesa del gran finale, per ora lo reputo un progetto solidamente al di sopra della sufficienza ma che non arriva a lambire i risultati che chiaramente voleva raggiungere.
Re Gambadilegno – Per l’onore di Ducktopia, di Francesco Artibani, Licia Troisi e Lorenzo Pastrovicchio (n. 3623), inaugura lo spin-off “midquel” di Ducktopia, dedicato a raccontare in quattro storie autoconclusive i mesi in cui Gambadilegno è rimasto in quella dimensione.
Idea molto interessante per riprendere la serie senza (per ora) inerpicarsi in una nuova saga, anche perché permette già di fare luce sulla scelta del vecchio Pietro di rimanere a Ducktopia alla fine della seconda stagione, elemento mai davvero spiegato (cosa che avevo in effetti criticato ai tempi).
Artibani e Troisi tornano così a raccontare del mondo da loro creato e utilizzano a mio avviso molto bene Gamba in qualità di protagonista: guascone, spigliato, canaglia… tutti elementi che lo rendono carismatico, ma senza mai dimenticare di mostrare il lato puramente bieco, opportunista e delinquente. Avere un “eroe” di questo tipo a capo di una società non è ahimè una visione così irrealistica, ma l’atmosfera disneyana rende tutto più divertente. Scrittura sontuosa come sempre, belle trovate, ottimo episodio introduttivo che copre un piccolo gap precedentemente risolto con un bel “lo dimo”, per cui ho molto apprezzato.
Ai disegni non ritroviamo Francesco D’Ippolito, bensì Lorenzo Pastrovicchio: un segno di discontinuità che ritengo sensato per differenziare questo progetto della saga principale. Il Pastro ha comunque guardato con attenzione all’impostazione grafica data dal collega, e la cosa si nota dal rispetto verso il character design di comprimari noti e inediti pur mantenendo ovviamente la sua impronta stilistica, dall’attenzione agli abiti e soprattutto dalla gabbia, che in più occasioni sfrutta quelle soluzioni per cui alberi ed elementi scenici fungono anche da contorni delle vignette. Ottimo lavoro!
Topolino e il ponte sull’oceano, di Alessandro Sisti e Marco Gervasio (n. 3619), è la seconda storia utilizzata per l’operazione sui dialetti, nella quale stavolta non sono stato coinvolto dato che il lombardo era già nella quaterna dello scorso gennaio. Mi sono quindi letto la storia nella classica versione italiana, e questo ahimè ha tolto quel poco di interesse che poteva riservare l’opera: se infatti con Zio Paperone e il PdP 6000 avevamo un racconto decisamente valido anche preso di per sé e senza la curiosità pittoresca e divertente della resa dialettale, non posso dire altrettanto di una sceneggiatura piatta, sciapa e banale, costruita in maniera artificiosa e nella quale i personaggi in scena si muovono col pilota automatico. Non c’è coinvolgimento, non c’è thrilling, mi stupisce alquanto che sia stata scritta da Sisti il quale, anche nelle prove meno riuscite, ha sempre saputo riservare un minimo di guizzo. Stavolta non è così e la situazione non migliora nemmeno sul fronte dei disegni, con un Gervasio che priva i personaggi di qualunque barlume di tridimensionalità e di dinamismo, rendendoli figurine ingessate che anche nelle espressioni tradiscono una certa fissità di cui non mi capacito. L’artista non è mai stato tra i miei disegnatori preferiti, e l’ho sempre trovato meno efficace con i Topi che con i Paperi, ma nonostante ciò ha più volte consegnato tavole ben migliori di quelle viste in questa storia, nella quale anche le ambientazioni – tanto interne quanto esterne – appaiono povere e mero accessorio di sfondo.
Paperino Paperotto e la spia che viene dal cielo, di Bruno Enna e Nicola Tosolini (n. 3619), mi riporta invece il sorriso: torna la versione bambina di Paperino e torna a muoverlo il suo padre putativo, sapendo riprendere le caratteristiche che hanno fatto la fortuna di questo ciclo ma con la capacità di variare quanto basta gli ingredienti per portare qualcosa di nuovo. Questa formula permette di avere i personaggi fedeli a sé stessi e al contempo avventure sempre nuove, un ottimo modo per rendere vivo questo scenario: dai ragazzini allo sceriffo, dal sindaco a Nonna Papera, tutti hanno il loro ruolo che, lungi dall’essere una macchietta, li rende riconoscibili e spendibili sempre al meglio nelle varie trame.
Lo spunto del misterioso aviatore che precipita a Quack Town con il suo carico di segreti, nella fattispecie, non è un’idea così dirompente ma viene applicata brillantemente al contesto e al cast, ottenendo un risultato vincente sotto tutti i profili: avventura, umorismo, simpatia e mistero.
Anche il fatto di aver saputo intrecciare questo evento con la side-story del film amatoriale che i protagonisti stanno girando sotto la regia di Millicent è un altro punto a favore, che denota intelligenza ed equilibrio creativo, nonché l’ennesimo tributo alla fantasia infantile di cui Paperino Paperotto è sempre stato portatore.
Tosolini ai disegni funziona sempre, ormai promosso a illustratore “ufficiale” del ciclo e probabilmente matita maggiormente coinvolta, a livello quantitativo, nella serie; il suo punto di forza è dato proprio dai ragazzini, resi ormai con perizia e fluidità.
Paperinik e la maschera di Frida, di Bruno Enna e Alessandro Perina (n. 3621), segna un altro colpo riuscito di Enna, che davvero da un paio d’anni non ne sbaglia una.
Lo sceneggiatore sardo eredita il diabolico vendicatore da Marco Gervasio, ma anziché cercare banalmente di porsi sulla scia del rilancio di questi ultimi anni cerca una sua strada specifica, che riesca a preservare l’elemento “supereroico” senza sconfessare la ritrovata anima da vendicatore di torti personali. Approccio complesso, chiaramente, e forse l’equilibrio in questo caso non può dirsi del tutto riuscito (con la bilancia che pende più verso l’avventura da paladino), ma è una strada interessante che ha il merito di rinfrescare ulteriormente il percorso del personaggio. Il fatto che Paperinik sia inviso alle forze dell’ordine e che intervenga certamente per ritrovare l’oro di Paperone, ma anche per difendere Miss Paperett da un’ingiusta accusa, sono fattori che ricollocano comunque il personaggio in un alveo “ai margini della legalità”, che vengono ben mixati con l’indagine sul furto al Deposito e soprattutto con la figura di questa ladra trasformista – peraltro introdotta in Megaricchi dallo stesso Enna – che profumano di letteratura supereroistica.
Perina ai disegni ha il tratto giusto per una storia dall’impianto piacevolmente classico e porta a casa un buon risultato; nel complesso mi sono goduto molto la lettura.
Lord Hatequack presenta – Topolino e il gatto con la G maiuscola, di Pietro B. Zemelo e Francesco D’Ippolito (n. 3620), riporta finalmente le giuste atmosfere all’interno del ciclo! Ci voleva Zemelo, che nello scorso decennio ha firmato un paio di storie effettivamente dai toni vagamente ansiogeni come Topolino e l’inquietante Nyappo e Topolino e gli incubi a occhi aperti, per ripristinare quel velo che caratterizzava i racconti del lord in vestaglia e che nelle ultime storie non si erano più ravvisato.
Lo sceneggiatore usa sagacemente il gatto, animale esoterico per antonomasia ma anche puccioso, come cardine di una vicenda che gira attorno a una vera e propria maledizione che costringe chi ne viene colpito a disegnare mici finché non avrà trovato quello “perfetto”: il primo a vedere quell’illustrazione, però, viene a sua volta colpito dal raptus.
Plot basico, se vogliamo, ma efficace soprattutto per come viene raccontato e per il gusto di una certa messa in scena, aiutato in questo da un D’Ippolito in splendida forma, che gioca con le inquadrature e con i campi lunghi in maniera sempre interessante per suscitare nel lettore sensazioni disallineate e che dipinge sui volti di Topolino e Pippo espressioni sempre calzanti.
Anche per la griglia vengono studiate soluzioni interessanti, in particolare nella disposizione delle vignette sulle pagine e nella struttura cangiante, rendendo il ritmo della lettura vorticoso in tandem con la sceneggiatura.
Se volete approfondire il tema, peraltro, vi rimando alla live che ho condotto proprio insieme a Francesco D’Ippolito a inizio aprile.
Lord Hatequack presenta… L’ora del terrore! – La Banda Bassotti e il modulo fantasma, di Giulio Gualtieri e Carlo Limido (n. 3622), fa invece un leggero passo indietro con il ritorno “in cattedra” di Gualtieri, responsabile di episodi ben poco riusciti da diverso tempo a questa parte.
Rispetto a quelli, però, in questo caso ho trovato il risultato finale migliore: le atmosfere sono sempre un po’ all’acqua di rose, “sporcate” da elementi comici che smorzano l’effetto complessivo (in questo caso l’ironia sulla burocrazia degli uffici pubblici), ma lo svolgimento della trama riesce comunque a ricavare un paio di scene efficaci che, se non propriamente inquietanti, riescono ad ogni modo a coinvolgere il lettore e a far partecipare della tensione provata dai Bassotti, intrappolati nel vecchio catasto senza possibilità di uscirne se non sottoponendosi alle interminabili tempistiche dei solerti impiegati.
In questo ha senz’altro contribuito Limido ai disegni, che dimostra in questo caso la versatilità del suo tratto: tanto tondeggiante e rassicurante nei personaggi standard, quanto in grado di aggiungere nuance meno accoglienti nei contesti che lo richiedono. Emergono così diverse tavole piacevolmente conturbanti per costruzione scenica e per le espressioni rappresentate sui volti malevoli dei fantasmi e su quelli terrorizzati dei Bassotti.
Zio Paperone sull’isola del lupo mannaro, di Marco Nucci e Mario Ferracina (n. 3619), è una classica “nucciata”, diciamocelo! E questo sia nel bene che nel male, eh: c’è la sovrabbondanza di didascalie, c’è il gusto per la ripetizione ricercata di certe frasi, c’è la volontà di prendere uno stereotipo e portarlo coscientemente all’ennesima potenza per destrutturarlo… ma c’è anche la capacità di divertirsi con questi personaggi, di renderli vivi, di usare i generi codificati in decenni di letteratura disneyana per riderci sopra e al contempo per usarli in modo classico.
Un melting pot che trova uno dei suoi apici in questa storia, che è tutto questo e altro ancora pur essendo solo, stringi stringi, una caccia al tesoro di Zio Paperone; rappresenta in realtà un genere un po’ abbandonato durante la gestione Bertani, per cui sono solo contento se qualcuno trova la chiave per riproporlo “al passo con i tempi”, anche se per farlo si piega un po’ troppo la personalità di Paperino – che nelle storie di Rodolfo Cimino, probabile riferimento primario, era recalcitrante, non pavido – e si rende Qui, Quo, Qua eccessivamente petulanti.
Però ho gradito molto il messaggio sul fatto che per chi anela l’avventura l’incubo più grande è la routine della normalità, apprezzando anche il modo umoristico in cui viene posto; di base mi sarebbe piaciuto anche il doppio ribaltamento di prospettiva delle ultime tavole, se non fosse uno stratagemma che lo sceneggiatore ha già usato in più di un’occasione e che quindi inizia ad essere qualcosa di abusato.
Bravo Ferracina: l’ambientazione aiuta il disegnatore, che in questo caso – rispetto a Terravento – mi ha colpito di più e ha davvero aiutato la resa complessiva del racconto, anche grazie alla colorazione.
Zio Paperone e il centesimo della discordia, di Francesco Vacca e Alessio Coppola (n. 3620), va a braccetto con la precedente nel suo riscoprire sotto una luce diversa, tramite una delle nuove leve in forza al settimanale, un filone ben preciso delle vicende paperoniane.
Se nel caso precedente si trattava delle cacce al tesoro, stavolta è la sfida con Rockerduck il topos di riferimento: il protagonista scompagina le carte con un colpo a effetto, defilandosi dal confronto e indirizzando le mire del rivale in bombetta verso Cuordipietra Famedoro.
Guardando chiaramente alla differenziazione messa nero su bianco da Francesco Artibani con la seminale Zio Paperone e l’ultima avventura, Vacca si diverte a mostrare la distanza tra i due nemici dello Zione mettendoli in diretto confronto e giocando anche sulla tendenza dei due a rivolgersi alla Banda Bassotti.
Coppola non delude: il suo tratto estremamente lineare ben si presta a una trama fondamentalmente classica – pur con le variazioni appena annotate – ed è comunque in grado, pur in una certa assenza di dinamismo, di dare la giusta verve ai disegni, in particolare grazie alla forte espressività che sa dipingere sui volti dei paperi.
Momento top: quando i Bassotti si travestono da Rockerduck, Lusky e Cuordipietra in maniera palesemente goffa e finta, scena che nella sua assurdità mi ha schiantato dalle risate!
Paperino e il caso zero, di Francesco Vacca e Federico Maria Cugliari (n. 3623), è la storia che non ti aspetti: Vacca non è nuovo nel tirare fuori piccole bombette un po’ a sorpresa, sottotraccia, come nella storia in cui riprese la Spia Poeta.
Anche in questo caso riprende un paio di personaggi storici e usati molto poco, gli avvocati Cavillo Busillis (creato da Romano Scarpa) e Sharky (ideato da Carl Barks nel capolavoro Paperino e il cimiero vichingo), utilizzati all’interno di una storia nella quale in effetti l’aspetto legale ha un ruolo di un certo rilievo. E se vogliamo, prima ancora degli illustri recuperi, è proprio questo fattore a spiccare: la volontà di inserire una tematica non certo facile da “spacciare” in maniera avvincente in un fumetto Disney. Il risultato mi ha convinto, grazie a uno Zio Paperone scritto bene, a un Paperino malinconico esponente della “classe operaia”, a un’idea semplice ma efficace come spunto di partenza, alla riflessione assai calzante di come può sentirsi un qualunque ingegnere a confronto con Archimede e all’introduzione della nipote di Cavillo Busillis, Arringa, entusiasta e pasticciona appena affacciatasi alla professione legale.
La questione dello zero del titolo è invece un po’ forzata (così come il cavillo contrattuale sfruttato da Sharky): anche il ruolo di Qui, Quo, Qua versione studenti alle prese con i numeri divisibili per zero mi ha stonato un po’, visto che ormai li colloco su un programma scolastico un po’ più avanzato per l’età che generalmente do loro…
Per il resto, bella lettura: mi aspetto una maggior frequenza dello sceneggiatore su Topolino, però 😉
Il quasi esordiente Cugliari fa un buon lavoro, senza eccellere e senza stupire: si vede la rigidità delle figure, l’incertezza nell’approcciarsi ai personaggi, una fedeltà forse eccessiva ai modelli e un po’ di titubanza in certe occasioni. A livello di personaggi abbiamo un Paperone riuscito e un Paperino un po’ meno, specie nelle espressioni; uno Sharky fedele al design barksiano e un Busillis irriconoscibile se confrontato con quello scarpiano, quasi fosse un altro papero.
Il risultato è comunque più che sufficiente, ma il disegnatore ha sicuramente molto margine di miglioramento; una sceneggiatura di questo tipo è senz’altro stata una palestra bella tosta, per lunghezza e situazioni da illustrare.
Ritorno a casa De Pippis, di Alessandro Sisti e Alessandro Perina (n. 3622), riscatta un po’ il buon Sisti che ho massacrato poco sopra! In questo caso, pur non brillando particolarmente, lo sceneggiatore lombardo tira fuori dal cilindro un racconto che perlomeno parte da premesse inusuali, come effettivamente è una grande riunione famigliare dei vari Pippi! Goofy e Gilberto a parte, tutto il parentame presentato risulta inedito e simpaticamente folle: il mio lato nerd avrebbe in realtà gradito che per l’occasione fosse ripescato qualche pippide già noto, quali Sport Goofy, Nonna Peppa e il recente Posidippo, ma tant’è… perlomeno viene citato il più celebre tra i parenti, Indiana Pipps, irraggiungibile telefonicamente perché probabilmente impegnato in qualche avventura in posti sperduti (escamotage che mi fa pensare ci sia una sorta di diktat che vieti di usare il personaggio… che valga lo stesso veto esistente sull’altra proprietà LucasFilm?).
Anyway, tutto questo permette a Sisti di sbizzarrirsi con la fantasia e di inventare figure strambe e divertenti, in una riuscita commedia famigliare con una deriva a metà tra mystery e caccia al tesoro piuttosto godibile.
Valido il lavoro di Perina, che qui si distingue in particolare nel dover illustrare numerose variazioni sul genere pippide cambiando altezze, acconciature e altri dettagli per distinguerli gli uni dagli altri. Degno di nota lo studio sui vari abiti e la splash page in cui si introduce buona parte di questi parenti.
Paperino e l’app beneducata, di Roberto Moscato e Lucio Leoni (n. 3621), è un’ottima medio-breve che unisce un plot ormai desueto – il bisogno di ben figurare nell’alta società fatta di nobili – con l’elemento attuale delle app per tutte le necessità.
Moscato riesce nell’intento di far ridere con gli inevitabili imprevisti a cui va incontro il protagonista, aiutato nell’impresa da un Leoni che con certe situazioni movimentate ci va sempre a nozze.
I mercoledì di Pippo – Missione Pianeta Gemello, di Rudy Salvagnini e Graziano Barbaro (n. 3621), continua i timidi segnali di ripresa della qualità della serie intravisti nel precedente episodio. Sembra che Salvagnini riprenda man mano parte della dimestichezza con il concept da lui stesso creato, ritrovando l’equilibrio che aveva reso questo filone così frizzante negli anni Novanta. In fondo il segreto della riuscita dei Mercoledì stava tutta nella caratterizzazione di Pippo, che deve mantenere il suo usuale candore ma al contempo “imporsi” nella finzione letteraria del suo romanzi come l’eroe, con tutti gli stereotipi del caso su cui giocare. In quest’occasione lo sceneggiatore centra il bersaglio in particolare proprio sotto questo aspetto, e il risultato finale ne risente quindi in meglio.
Certo, occorrerebbe che anche la trama in sé risulti divertente e interessante, e stavolta ci si riesce solo a metà: il pianeta-specchio è un concetto piuttosto abusato anche in salsa comico-satirica e quindi le varie trovate umoristiche messe in scena sanno spesso di già visto. Ne consegue che le risate sono scaturite principalmente da certe uscite di Pippo, ma per quello valgono le considerazioni espresse poco sopra.
Barbaro “adattato ai tempi” in ossequio all’estetica attuale mi ha fatto un effetto piuttosto straniante e respingente, un ibrido che non mi è piaciuto per niente e che spero possa trovare aggiustamenti futuri che portino lo stile dell’artista fuori da questa fase di transizione.
Vita da Pluto – Saggezza canina, di Francesco Pelosi e Mattia Surroz (n. 3619), segna il secondo tassello della miniserie canina introdotta dall’esordiente Pelosi.
Personalmente trovo questa breve ancora più centrata della prima, dove pesava l’esigenza di avere infilato troppe cose in dieci pagine; stavolta ritrovo più equilibrio nel tema e nel modo di esporlo, utilizzando l’indole tranquilla di Pluto per ricavare una sorta di filosofia zen contro il logorio della vita moderna, da cui quasi nessun bipede – Topolino incluso – sembra essere immune. Armonico e fluido al punto giusto il tratto di Surroz.
Gambadilegno e il maxcalzone maximo, di Matteo Venerus e Marco Gervasio (n. 3620), è un’onesta riempitiva (lo so, lo so che non si dice più, fatemi causa : P) che fa il suo lavoro dignitosamente e ha il merito di approfondire un po’ la figura di Sgrinfia, l’eterno complice tonto di Gambadilegno. C’era il bisogno di questa valorizzazione? Probabilmente no, ma devo dire che nel contesto impostato da Venerus – al netto del banalissimo spunto del colpo in testa – la cosa funziona abbastanza e porta a un epilogo sensato e di cuore, quindi non mi lamento. Ai disegni Gervasio offre una performance decisamente migliore de Il ponte sull’oceano, raggiungendo peraltro una mimesi pazzesca col tratto di qualche anno fa di Giorgio Cavazzano.
Zio Paperone e il segreto della pietra buzzurra, di Roberto Gagnor e Federico Franzò (n. 3622), è la classica storia in cui parto prevenuto perché… per Dinamite Bla, sostanzialmente. Gli anni ‘10 mi hanno segnato fortemente su questo personaggio, con un abuso che me l’ha fatto diventare antipatico e che normalmente mi fa ritenere snervanti tutti i tormentoni a lui collegati.
Gagnor, peraltro, è stato uno dei principali fautori di tale approccio, ereditandolo da Fausto Vitaliano, e quindi mi aspettavo il peggio: ebbene, così non è stato.
La storia mi ha divertito e intrattenuto, sono in qualche modo entrato nell’ottica impostata dall’autore fatta di non-sense, situazioni paradossali, trovate volutamente bislacche e sopra le righe che sono state amalgamate insieme in una trama coesa e coerente, che va da un punto A a un punto B fornendo quindi un tappeto unitario per le gag che non risultano slegate tra loro o appese e gratuite.
Paperone in particolare risulta apprezzabile, in un’interpretazione certamente un po’ “laterale” ma che funziona, perché ha senso considerando l’interlocutore con cui ha a che fare. La caccia al tesoro è in sé demenziale, e certamente non la vedo paradigmatica come quella raccontata da Nucci, ma in questo ambito ha il suo perché.
Nota di demerito alla citazione barksiana (capisco la tentazione, visto il genere, ma viene giocata in modo goffo e forzato, senza contare che del viaggio a Cibola lo Zione non dovrebbe avere memoria), nota di merito per il riferimento nel titolo all’anime Il mistero della pietra azzurra e al nome della tribù delle Nubilones buttato lì nell’ultima tavola, che mi ha sinceramente ucciso!
Paperino e gli incontri ravvicinati dello scherzotipo, di Gaute Moe e Arild Midthun (n. 3620), Paperino e la gara floreale, di Frank Jonker, Carmen Pérez e Tony Fernández (n. 3621), Zio Paperone, Paperino e il decino inviolato, di Gaute Moe e Arild Midthun (n. 3622), Zio Paperone e l’iper mega Numero Uno, di Stefan Petrucha e Diego Bernardo (n. 3623), sono le quattro egmontiane proposte da Topolino ad aprile: una quantità importante, rispetto agli standard mensili del giornale!
La prima è una breve nella quale Paperino diventa ufologo un po’ per caso, con i nipotini che decidono di approfittare dell’invasamento per giocargli un tiro mancino: onestamente non mi ha molto convinto, tutto risulta abbastanza forzato.
La seconda, nella sua semplicità, risulta già più riuscita: norvegese e non danese, racconta delle modalità particolari ma vincenti con cui il protagonista cura i propri fiori.
La terza è un’avventura più ritmata e ingaggiante, nella quale i paperi in trasferta a Oslo affrontano un nuovo attacco di Amelia.
La quarta, infine, sarebbe anche interessante se non fosse per la sua brevità, incongrua rispetto alla dimensione degli eventi posti come spunto iniziale; tutto corre così a velocità vertiginosa nonostante in quattro e quattr’otto il mondo intero finisca sull’orlo dell’abisso per colpa di Amelia… ne esce una storia difficile da valutare, in questo modo.
Midthun ai disegni sfoggia il consueto stile particolareggiato e sinuoso, impreziosendo le tavole con personaggi ben disegnati e ambienti illustrati con gusto; Tony Fernández ha un tratto più semplice, quasi grezzo e un po’ bidimensionale, che non è esattamente la mia tazza di tè ma che perlomeno si sposa bene con il tenore della storia; Bernardo, infine, offre una matita classica e piacevole, morbida e dettagliata in particolare per quanto riguarda i volti dei paperi.
Bene, direi che per questo mese è tutto.
Alla prossima!