Il “Topo” di gennaio 2024
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Il “Topo” di gennaio 2024

Bentornati su Lo Spazio Disney!
Ci siamo ormai lasciati definitivamente alle spalle il 2023 e siamo entrati di prepotenza nel nuovo anno. E si sa, superate le Feste il pensiero è già alle ferie estive 😁
Ma visto che è presto per pensarci e a contare i giorni che mancano ci viene male, trastulliamoci con le storie uscite su Topolino nel corso di questo freddo – ma neanche tanto – gennaio 😉

Gennaio 2024: le storie da Topolino

Iniziamo con la saga del mese: Le Giovani Marmotte e la pietra che parla/di paragone/miliare/della fortuna, di Bruno Enna e Alessandro Perina (nn. 3554-3555-3556-3557), è un’atipica avventura delle GM a spasso nel tempo in una strana caccia al tesoro, dove il tesoro sono delle pietre particolari.
Storia che peraltro complicherà un po’ la vita agli indicizzatori Inducks per come è stata gestita nella titolazione 😛

Spicca innanzitutto la comprensione da parte di Enna dell’attuale scenario del magazine: il primo episodio è un crocevia di elementi presi da vari filoni recenti, a partire dal redivivo Bob Tycoon creato dallo stesso sceneggiatore in Megaricchi passando per il personaggio di Newton Pitagorico e arrivando ai retroocchiali presentati da Alessandro Sisti nelle ultime due storie ambientate in Italia.
È forse il modo più sano e meno forzato di intendere il sincretismo complessivo che il direttore Alex Bertani ha spinto in questi ultimi anni.

Per quanto riguarda la trama… se lo spunto può lasciare disorientati, lo sviluppo non è da meno: trovare nel passato frammenti di specifiche pietre che, fusi insieme, possano ricreare la Pietra che parla, prezioso monile di Tycoon in grado di fargli sentire voci da una dimensione favolistica ma ora disgraziatamente scomparso.

È una storia… strana, ecco. Se il primo episodio funziona molto bene grazie alla sua costruzione in crescendo che riesce a stupire – nonostante possa sbigottire un po’ la rivelazione della passione pietrosa del magnate, spinta al punto da averne una specie di deposito alla Paperone – sono i successivi che non colpiscono particolarmente: le mini-quest piuttosto ripetitive, i personaggi storici con le fattezze di Paperone, Paperino e Gastone, la facilità con cui i protagonisti si infilano in palazzi e stanze private, la modalità del viaggio nel tempo… diversi piccoli elementi che col senno di poi stonano un po’.

Non è un brutto racconto, ma a metà mi ha “perso” e il finale non mi ha convinto: che Bob Tycoon “senta le voci” delle pietre perché anima candida legata alla terra mi sembra una svolta eccessivamente new age che non mi sembra si cucia bene addosso a questa figura e alla sua carica.
Quello che funziona molto bene sono i dialoghi, scritti con mestiere, capacità e competenza, e i rapporti tra il quintetto di protagonisti in azione, che risulta credibile e affiatato.
Anche Perina fa la sua parte, riconfermandosi come una delle migliori matite tra gli artisti di lungo corso all’opera sul “Topo”: in quest’occasione in particolare si può ammirare il lavoro fatto sull’aspetto di queste “varianti” passate dei paperi, che presentano piccoli tocchi nelle acconciature, nel taglio degli occhi o nel viso in generale, capaci di renderle diverse e riconoscibili allo stesso tempo, tutte esteticamente affascinanti.

Il corsaro, di Vito Stabile e Mario Ferracina (n. 3555), è forse il primo vero grande progetto dell’amico Vito sotto la gestione Bertani, se non consideriamo Pianeta Paperone (che è però un semplice cappello sopra a una serie di storie classiche).
Spinta con convinzione dal direttore e spammata molto dall’autore, evidentemente su questa storia si puntava forte, ma l’esito non può dirsi completamente riuscito.

Certo appare chiaro il sentiment entro cui si iscrive: riprendere un personaggio secondario appartenente a un lontano passato, nominato in qualche storia ma di cui si sa poco, per svilupparlo in nuove avventure.
È uno stratagemma utile al fine poter scrivere con maggior libertà, perché lavorando su una figura quasi del tutto vergine c’è molto margine per creare quasi tutto da zero. È quello che ha fatto Marco Gervasio con Fantomius e che Alessandro Sisti ha impostato recentemente con Cornelius Coot.

I punti di contatto proprio con la saga di Cornelius sono molteplici, e questo è forse il primo neo che evidenzio: il plot-base de Il corsaro ricorda da vicin(issim)o la struttura vista ne L’esilio dei Van Coot. C’è un giovane che vuole esplorare il mondo, andare oltre l’attività di famiglia che gli sembra destinata di default e che riesce a fare il primo passo verso il proprio sogno.
Non che l’idea sistiana sia particolarmente originale di per sé, beninteso, dato che si rifà al classico topos del romanzo di formazione di un giovane protagonista, ma rivederlo a stretto giro applicato a un’operazione simile fa saltare inevitabilmente all’occhio questo copione.

Non riscontro un’oncia di originalità nella vicenda del giovane Malcolm de’ Paperoni, antenato corsaro di Zio Paperone – introdotto da Carl Barks in Zio Paperone e il tesoro della regina – che anela la vita in mare: dall’Isola del tesoro passando per Pirati dei Caraibi e One Piece e arrivando ai Classici Disney anni Novanta, Stabile raccoglie mille suggestioni e le frulla insieme.
Il risultato riesce in qualche modo a stare in piedi, perché ormai lo sceneggiatore ha un certo mestiere dalla sua, ma barcolla sotto il peso del già visto e di un eccesso di intimismo, che ruba spazio alla risoluzione della quest finale (che appare infatti piuttosto sbrigativa e meccanica nel suo dispiegarsi).
Nulla voglio dire invece sull’antenato di un certo rivale dello Zione, che qui Malcolm incontra: non mi ha dato fastidio come ad altri lettori, ma reputo la scelta piuttosto di comodo; peraltro il rapporto tra i due è anch’esso ricalcato su dinamiche fin troppo prevedibili, tanto che era evidente l’evoluzione che, a prescindere dall’identità del comprimario, avrebbe conosciuto il loro rapporto, che richiama decisamente quello tra Jim Hawkins e Long John Silver nel romanzo di Robert Louis Stevenson e soprattutto nell’adattamento disneyano de Il pianeta del tesoro.

Insomma, sono un po’ deluso: il ciclo dedicato al personaggio continuerà e di questo sono contento perché così c’è la possibilità di fare meglio: sganciandosi dagli obblighi della origin story magari ci sarà modo di raccontare qualcosa di nuovo e più interessante.
Intanto posso perlomeno bearmi dei disegni di Ferracina, che si lancia in vedute mozzafiato, panorami fantastici e in linee eleganti per ogni scenario. Buoni anche i suoi paperi, per quanto ci siano ogni tanto delle soluzioni nel loro aspetto che mi non convincono del tutto.

Lord Hatequack presenta… L’ora del terrore: Topolino e le nebbie di Meyrink, di Marco Nucci e Fabio Celoni (n. 3556), segna il ritorno del Dottor Piuma, il sinistro commerciante di cui tutto saprete se avete letto il mio recente approfondimento.
Come anticipavo in quell’occasione, questa sua ultima apparizione è quella che mi ha soddisfatto meno: a fronte infatti di una trama coinvolgente in virtù delle brumose atmosfere impostate, lo sviluppo mi è sembrato un po’ depotenziato rispetto ai precedenti. Il desiderio di Topolino di vivere nella città di Meyrink (dove si trova in vacanza con Minni e Pippo) un secolo prima esce così dal nulla da lasciare quantomeno perplessi, e questo a prescindere dal fatto che l’abbia detto pour parler.
Anche la presenza della fidanzata e dell’amico appare pretestuosa, non aggiungendo di fatto nulla alla trama in sé o a quello che la storia vuole trasmettere. Va detto però che Pippo garantisce perlomeno quella quota comica che altrimenti sarebbe mancata.
Spiace inoltre che Piuma stesso sia poco presente e lasci ben poco il segno, al di là degli effetti provocati dal suo artefatto.

Dettagli a parte, comunque, la storia scorre bene e ha diversi momenti pregnanti e d’azione; una grossa mano viene senza dubbio dai disegni di Fabio Celoni, il quale imprime il proprio tratto gotico al racconto trasportando il lettore direttamente nelle nebbie praghesi, ispirazione dichiarata per le suggestioni della cittadina inventata da Nucci.
A un Hatequack e un Piuma dall’aspetto più vissuto di quanto osservato nelle precedenti apparizioni e in tal modo ancora più sinistro, fanno eco il trio di protagonisti, il misterioso e inquietante tagliatore d’ombre in cui incappa Mickey e qualunque sfondo e ambiente interno raffigurato nelle vignette, per i quali non si può che rimirare lo stupefacente risultato finale, in grado di trasferire efficacemente su carta quanto aveva in testa lo sceneggiatore.

Topolino in: rumori nel silenzio, di Pietro B. Zemelo e Mattia Surroz (n. 3557), riporta lo sceneggiatore sulle pagine del settimanale con uno dei suoi plot da brividi, ai quali ci ha già abituato in passato: stavolta conduce Topolino in una sperduta baita montana nella quale sembra aggirarsi un’entità misteriosa.

È una storia fatta tutta di contesto: il panorama solitario e innevato, la frustrazione dovuta all’impossibilità di Pippo di raggiungere l’amico a causa della condizione delle strade, una casa sinistra e piena di strani scricchiolii… vari ingredienti poco concreti ma piuttosto suggestivi che la sceneggiatura di Zemelo è abile nel trasmettere al lettore, il quale in almeno un paio di punti sarà così coinvolto da sentirsi al fianco di Topolino. O almeno, a me è capitato così.
Ecco, diciamo che forse avere anche qualche momento un po’ meno etereo non mi sarebbe dispiaciuto; capisco che ultimamente lavorare di sottrazione è un must, ma ogni tanto un intreccio che non si possa riassumere in una riga non sarebbe male.
Peccato inoltre che tutto si sgonfi nel finale: la risoluzione del caso mi è apparsa deludente, eccessivamente semplicistica e non all’altezza delle aspettative create. Insomma, il percorso è stato superiore alla meta.
Complimenti ai disegni di Surroz: il suo tratto disneyano sta crescendo e trovando una sua strada. Il suo approccio alla linea si avvicina a quello di Libero Ermetti – tratto molto veloce e dinamico, forme tondeggianti e cura nelle ambientazioni – e porta a un risultato esteticamente rassicurante e piacevole. La sfida era coniugare queste caratteristiche con il tenore della storia, ma Surroz ci riesce in particolare grazie alla location: il candore della neve, nella sua immagine di arma a doppio taglio, si sposa bene con entrambe le “campane”.

Topolino fuori dai radar, di Tito Faraci e Casty (n. 3554), segna la riappropriazione da parte dello sceneggiatore del genere poliziesco da diversi anni a questa parte, perlomeno sulle pagine di Topolino. Dopo PK, insomma, un altro ritorno alle origini.
Lo fa ripescando un comprimario creato qualche anno fa da Blasco Pisapia e mai più ripreso, l’ispettore Irk, sviluppando in maniera logica il rapporto tra lui e Topolino, due “galli nel pollaio” che difficilmente si sopportano.
Faraci imposta la trama come un buddy movie che, come da regola, accoppia due protagonisti incompatibili obbligati dalle circostanze a collaborare: aspetto che funziona e che, insieme ad alcuni dialoghi piuttosto azzeccati, è il motivo di interesse di una buona sceneggiatura, che non riesce mai ad eccellere ma che si mantiene saldamente sopra la sufficienza.
Plauso alla parentesi in cui guadagnano le luci della ribalta Manetta e Rock Sassi, una doppia pagina spassosissima che spezza il ritmo narrativo in maniera assolutamente pertinente e funzionale, ricordandoci che l’autore conosce ancora benissimo i due ispettori e sa gestire perfettamente i loro tempi comici.
Al contrario, alcuni passaggi qua e là sembrano girare un po’ a vuoto nell’indagine “clandestina” di Topolino e, soprattutto, il finale arriva all’improvviso, quasi troncando la naturale evoluzione narrativa della sceneggiatura, una mossa che mi ha lasciato con l’amaro in bocca “strappandomi” di forza dalla lettura.

Resta comunque una buona prova che non mi è affatto dispiaciuto leggere e che voglio inquadrare in una sorta di “episodio zero” di un nuovo filone giallo-thriller per il Faraci disneyano
Il vero anello debole, per quanto mi riguarda, stavolta è Casty: il disegnatore non appare in forma, con alcune vignette poco curate, pose dei personaggi quantomeno curiose, scarso dinamismo e nel complesso un tratto al di sotto delle potenzialità dell’artista friulano, che negli ultimi anni sembrava invece aver intrapreso un percorso di crescita nel ciclo di Macchia Nera. Qui ravviso invece una brusca marcia indietro: è vero che il tono della storia ben si prestava a un tratto rassicurante e scarpiano, ma l’esito è piuttosto deludente, andando a depotenziare anche il ritmo della sceneggiatura.

Paperino e l’artista in crisi, di Giulio Gualtieri, Marco Nucci e Blasco Pisapia (n. 3558), è forse il punto genuinamente più alto di questo gennaio per Topolino.
Lo dico un po’ a sorpresa e forse spiazzando qualcuno, nell’affermare una cosa simile per una storia autoconclusiva di una trentina di pagine inserita in mezzo al numero che la ospita, e in effetti è un po’ una provocazione.
Nel mare magnum di saghe e progetti ambiziosi, accompagnati da riempitive dimenticabili e prive di interesse quando non irritanti, trovare una storia semplice, senza grandi velleità se non quella di intrattenere in maniera simpatica, intelligente e riuscita facendo un buon servizio tanto al lettore quanto a Paperino, personaggio drammaticamente incompreso da moltissimi autori negli ultimi decenni, è un piccolo miracolo da celebrare e sottolineare.
Gualtieri e Nucci ottengono un ottimo risultato e sfornano una storia che sembra venire dalle migliori penne del passato: abbiamo il Donald pasticcione ma anche quello che si fa irretire facilmente dalle improvvise sirene della notorietà, abbiamo una sottile satira sul mondo dell’arte e soprattutto su alcuni dei suoi alfieri e abbiamo un personaggio fenomenale nella sua caratterizzazione, gustosa e divertentissima fin dalla parlata vacuamente aulica che sfoggia.
Un vero gioiellino, al quale ben si presta il tratto di Pisapia, classico e in grado di imprimere personalità ed espressività ai personaggi.

Paperino nullafare d’eccezione, di Giorgio Fontana e Emmanuele Baccinelli (n. 3554), è un’altra bella storia “come una volta” che funziona, intrattiene e diverte senza troppi fronzoli, anche se meno d’impatto di quella appena analizzata.
Paperino decide di mettere a frutto la sua attitudine al riposo diventando una specie di guru, pronto a insegnare ai suoi concittadini come vivere con meno stress e più “sciallezza”. Gli affari vanno benone, ma… insomma, un plot che più lineare di così non si può, ma proprio per questo funziona deliziosamente e ci restituisce un Donald Duck piuttosto in parte.
Ottimo anche il rapporto delineato tra il papero e lo Zione, così come i disegni di un Bacci sempre apprezzabile, che anche in occasione di storie più tradizionali non si tira indietro e compie un lavoro elegante e curato: la prima tavola è mirabile, ma anche finezze come il character design di alcuni clienti di Paperino e altre soluzioni della griglia impreziosiscono l’avventura.

Paperino, Jones e la sfida dei biscotti, di Daan Jippes (n. 3558), offre un altro ottimo spunto di discussione a proposito del papero vestito alla marinara, in questo caso grazie alla visione nordeuropea.
Per la prima volta infatti compare su Topolino una storia di Jippes, autore ben noto a chi venticinque anni fa seguiva il mensile Zio Paperone e a chi attualmente compra Almanacco Topolino ma che per il lettore medio del settimanale rischia di essere sconosciuto.
In tal senso è molto apprezzabile la scelta di introdurre la storia con un articoletto che inquadri lo stile del fumettista e di farla seguire da una lunga intervista a Jippes, dove ha modo di parlare della sua formazione e del suo lavoro.
Di questa parte divulgativa si è occupato in prima persona Davide Del Gusto, con la consueta perizia e precisione di cui lo ringrazio sentitamente, perché a mio parere ha fornito un servizio utile e ben fatto ai lettori ignari.
La storia è un classico scontro tra Paperino e il vicino Jones, nel quale lo spunto è un semplice pretesto per far guerreggiare i due nonostante gli sconfortati e disperati tentativi di Qui, Quo, Qua di ridurli alla ragione. Ottima gestione dei tempi comici, gusto per lo slapstick e scene roboanti sono gli ingredienti principali di un’ottima breve dal sapore barksiano, tanto più efficace grazie al tratto affascinante, dinamico e curato dell’artista norvegese, e dotata nel finale di un divertente contrappasso.
Spero di rivederlo presto su Topolino, brevi di questo tipo danno lustro alla produzione Egmont che invece troppo spesso non ha brillato sul “Topo” a causa di selezioni poco ispirate.

Cavezza – Strade future, di Giuseppe Zironi (n. 3556), si occupa di varare un nuovo progetto, che darà modo a Zironi di concentrarsi ancora più che in passato su Orazio, personaggio per cui ha sempre avuto un debole riuscendo a valorizzarlo in diverse occasioni, ridandogli una centralità sia autonoma che come spalla di Topolino.
Per farlo, anche lui cade vittima delle sirene da young story: torniamo così indietro nel tempo per osservare gli anni giovanili dell’equino, quando finite le scuole superiori deve capire che strada prendere per il suo futuro.
Il tema, a ben vedere, possiede un certo spessore e potrebbe toccare le corde dei ragazzini, ma personalmente l’ho trovato trattato in maniera poco interessante: sarà la realtà rurale, saranno alcuni elementi strani come la “rivolta degli elettrodomestici” che hanno reso la linea narrativa un po’ indecisa e straniante, ma questo primo capitolo non mi ha conquistato.
La perenne indecisione di Orazio, peraltro, per quanto lo renda in qualche misura realistico mi consegna di contro un protagonista poco forte e questo incide su quanto riesce ad avere attrattiva la trama.
Buoni i disegni, anche se nella gabbia rilevo alcune scelte strutturali un po’ strane: vedasi la composizione della prima tavola, ma anche una vignettona con il protagonista… coperto da una vignetta sovrapposta, soluzione che mi ha fatto alzare bruscamente un sopracciglio.
Vedremo prossimamente come proseguirà questo approfondimento dello Young Horace: condivido infatti con Zironi il bisogno di farlo emergere dallo sfondo in cui è relegato da tantissimo tempo, sfruttandone le potenzialità intrinseche, e spero quindi che un progetto ad hoc possa servire allo scopo.

Orazio e Curiazio in: metodi di contenimento, di Francesco Vacca e Lucio Leoni (n. 3555), è un altro ottimo esempio di storia priva di sovrastrutture che regala grandissime soddisfazioni grazie alla perfetta alchimia tra testo e disegni.
Torna a un mese di distanza il cugino Curiazio, dall’innata capacità di distruggere tutto ciò con cui viene a contatto; Orazio è deciso a limitare i danni attraverso varie accortezze tecniche con cui “addobba” il consanguineo, ma queste trovate non riescono ad arginare l’attitudine del personaggio portando a esiti veramente comici.
Ho riso più volte ad alta voce durante la lettura, perché Vacca preme sull’acceleratore della comicità fisica per creare scenette spassosissime, soprattutto per via del geniale tormentone che vede Curiazio distruggere in modi sempre diversi la tenda da campeggio di Topolino e Pippo, senza che questi riescano mai a capire cosa ha provocato tale incidente.
Un umorismo così vicino a quello dei corti animati può funzionare su carta solo se a rappresentarlo viene chiamato il disegnatore adatto: fortunatamente Lucio Leoni lo è e lo dimostra tramite le espressioni di sgomento che raffigura sui volti di Topolino e Pippo, attraverso le surreali ipotesi di Pippo che compaiono nei suoi balloon di pensiero e ovviamente nel modo di illustrare i cataclismi generati da un Curiazio che rotola, cade, sbatte e vola.
Una tipologia di storia che definire riempitiva è veramente riduttivo e che vorrei rivedere più spesso sul settimanale.

Con I modi della moda, di Tito Faraci e Enrico Faccini (n. 3556), ricompare sul libretto la serie Gli allegri mestieri di Paperino, che si era articolata in quattro episodi autoconclusivi a fine 2022. La trovai un’idea semplice e piacevole, e ciò vale anche questa quarta storia nella quale Paperino deve cimentarsi come commesso in un negozio di abbigliamento, cercando di capire come approcciarsi a una clientela imprevedibile ed eccentrica, in una rappresentazione certamente caricaturale ma anche piuttosto credibile di certa “fauna” che popola alcuni esercizi commerciali; un’idea semplice, se vogliamo, ma capace di strappare qualche buon sorriso.
Nella media, senza infamia e senza lode, i disegni di Faccini, che hanno il pregio di accompagnare sobriamente la sceneggiatura.

 

Zio Paperone e la banconota poco nota, di Massimiliano Valentini e Danilo Barozzi (n. 3558), è un’altra storia che sembra guardare a ritmi e impostazioni che una volta andavano per la maggiore ma che da tempo non si vedono più tanto spesso. Se prima si parlava di Paperino, in questo caso è sullo Zione che si concentra questo approccio, dal momento che nella sceneggiatura di Valentini lo troviamo particolarmente coinvolto dalla ricerca in cui si è impegnato, quella dell’unica banconota in legno esistente. Le reazioni catatoniche a esiti negativi e imprevisti che gli si parlano davanti dimostrano infatti come l’autore abbia guardato direttamente a quella versione eccentrica e esagerata del personaggio, che per decenni l’ha fortemente contraddistinto, e anche il facile entusiasmo di cui è preda quando si imbarca in una nuova impresa rende giustizia al Vecchio Cilindro.
Sull’argomento avevo dedicato questo approfondimento, che vi ripropongo per l’occasione 😉

La trama in sé non mi ha colpito altrettanto positivamente, purtroppo, ma si legge comunque con scorrevolezza e non lascia retrogusti amari sul palato: l’autore spiega inoltre sul suo profilo Facebook che si è ispirato a un fatto storico reale, dal momento che davvero (cito dal suo post):

a Tenino, un paese nello Stato di Washington, sul finire degli anni Venti, a causa della dilagante crisi economica, con le banche ormai svuotate di denaro che chiudevano come le moderne edicole, Don Major, l’editore del giornale locale, ebbe un’idea bizzarra: inventarsi una nuova moneta.
Se c’era una materia prima che a Tenino proprio non mancava era il legno. Così, in un giorno di quel lontano 1929 vennero stampate le prime banconote in legno, da 25 e 50 cent.

Un episodio che non conoscevo e che si rivela in effetti sufficientemente curioso da poter diventare un’avventura disneyana.
La storia vale la pena di essere segnalata, infine, anche per il ritorno ai disegni di Danilo Barozzi: presenza quasi fissa nelle inedite per Paperino e altri mensili tra fine anni Novanta e gli anni Duemila, era scomparso dai radar per tornare solo in sporadiche occasioni e perlopiù per one-page. Lo ritrovo ora con piacere: lo stile è fedele a quello che ricordavo, solo leggermente più “composto”, e offre un valore aggiunto all’opera soprattutto grazie al lavoro sulle espressioni del protagonista.

Archimede e l’incomparabile Vanny, di Francesco Vacca e Giovanni Preziosi (n. 3557), è una breve “moraleggiante” che in realtà si pone come la prova meno riuscita di Vacca da due anni a questa parte, per me.
L’idea è fragile come carta velina e avrebbe avuto bisogno di un impianto diverso per poter funzionare: trattata così, in poche pagine, non colpisce in nessuna maniera e si rivela interamente volta alla “lezioncina” finale che mette in allerta sulle fanfaronate.
Un po’ poco, infatti la cosa che spicca di più è la frase di Paperoga che in due parole lo inquadra con una lucidità invidiabile.
I disegni di Preziosi complicano la situazione. Il tratto è estraneo all’omologazione imperante, e questo è da lodare, ma l’artista deve secondo me lavorare ancora molto per trovare maggior equilibrio tra il legittimo estro e uno stile armonico per i personaggi: ci sono infatti diversi dettagli che possono lasciare disorientato il lettore e che risultano quasi respingenti nel modo in cui vengono portati sulla tavola.
Di certo ha una voce piuttosto personale che in futuro potrebbe dare soddisfazioni e segnali di novità interessanti: lo monitorerò nelle sue prossime prove, per quanto stavolta non mi abbia convinto 😉

Credo di aver detto tutto.
Grazie come sempre a chi mi ha letto, e alla prossima!

3 thoughts on “Il “Topo” di gennaio 2024

  1. Ciao Andrea!
    Scusami se non commento il tuo articolo, ma non ho ancora finito di leggere i numeri di gennaio, ho alcuni arretrati😅
    Se posso permettermi, vorrei farti una domanda: tu sai cosa è successo al forum del Papersera? È un po’ di tempo che non è accessibile e mi chiedevo il motivo, dato anche che la loro pagina Facebook continua a postare regolarmente.
    Se vuoi puoi anche rispondermi in privato con l’email.
    Scusa se ti sembro invadente, ma è un dubbio che ho da un po’.
    Grazie!

  2. Buongiorno, Andrea. Riflessioni, come sempre, interessanti.

    Ti lascio solamente uno spunto a proposito della storia con Malcolm. Le similitudini con l’incipit di Cornelius sono apparse chiare pure a me fin da subito, ma l’autore ha smentito un’eventuale correlazione durante una chiacchierata che abbiamo avuto per il mio blog (https://ecodelmondo.blogspot.com/2024/01/si-parla-de-il-corsaro-stabileferracina.html).

    Riporto testualmente:

    “Premesso che la sceneggiatura è stata consegnata prima che uscisse il primo episodio di Cornelius, e che quindi alcuni collegamenti sono solo casuali, come tu dici, si tratta di tematiche classiche presenti in centinaia di racconti di formazione che vogliono mostrare proprio dei personaggi giovani alle prese con il desiderio di emancipazione e rivalsa.”

    Un saluto,
    Simone

    1. Caro Simone, grazie mille per essere passato e aver lasciato un commento!
      Hai fatto benissimo a linkarmi la tua intervista a Vito, che colpevolmente non avevo ancora letto. Ne ho approfittato ora e ho trovato diversi spunti di riflessione interessanti su “Il corsaro”: ti ringrazio!
      A presto!

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