Il “Topo” di agosto 2023

Il “Topo” di agosto 2023

Bentornati su Lo Spazio Disney!
Agosto è ormai solo un ricordo, con il suo piacevole carico di leggerezza e quella sensazione generalizzata di “pit stop dell’anno”, che viene colta anche da chi non è andato in ferie nel corso del mese vacanziero per eccellenza.
Figuriamoci per chi invece le vacanze è riuscito a farle, come il sottoscritto, e che in villeggiatura ci ha lasciato un pezzettino di cuore.
Ormai siamo stabilmente entrati in settembre, sorta di lungo lunedì dell’anima e dell’anno, e il logorio della vita moderna ha già ripreso ad attanagliarci, in particolare con tutte le incombenze che avevamo rimandato a questo mese, quando sembrava ancora lontano nel tempo.
Stop! Prima di tuffarci con coraggio nella nuova stagione – scolastica o lavorativa che sia – possiamo goderci un ultimo scampolo agostano ripercorrendo quanto Topolino ha proposto sulle sue pagine nel corso di quelle calde settimane.
Enjoy!

Agosto 2023: le storie da Topolino

Comincio con I cieli di Farmtown, di Marco Nucci e Stefano Zanchi (nn. 3532-3533), nuovo capitolo del rilancio/riadattamento del personaggio di Gastone per gli anni ‘20 dopo La solitudine del quadrifoglio, e che vede ai testi e ai disegni i medesimi autori.
Ai tempi, pur riconoscendo all’operazione un certo valore, non avevo risparmiato critiche a quell’avventura, che in alcuni passaggi fondanti “tradiva” le caratteristiche proprie del protagonista e che peccava di un finale veramente eccessivo nell’esaltazione della sua figura, assumendo tratti quasi cristologici.

Nucci stavolta aggiusta il tiro e scrive una storia sicuramente migliore, in grado di dare una versione più profonda di Gastone senza per forza travisarne determinate sfumature. Certo, alcune di queste evoluzioni vengono mantenute trattandosi di un seguito diretto, ma sceglie di concentrarsi su altro e in tal modo viene attenuato il senso di straniamento: in particolare troviamo un Gladstone profondamente egoista, anche nelle faccende di cuore, elemento che a mio avviso ben si confà al personaggio.
Il fortunello ha trovato infatti la sua dimensione ideale nella placida Farmtown, paesino bucolico nel quale perde il favore della buona sorte ma dove può fare il pieno di genuini rapporti umani, coltivando un dolce sentimento con l’affascinante Priscilla. Quando quest’ultima si trasferisce però a Paperopoli per aprire una libreria, Gastone decide di boicottare l’impresa per evitare che le sue due realtà si contaminino.
Una trovata tutto sommato semplice e lineare, ma così cristallina nella sua crudeltà da essere materiale prezioso su cui costruire la trama, nonostante il suo esito fin troppo prevedibile.

Interessante la creazione di un’inedita zia di Gastone, fortunatissima e capace di togliere la buona sorte al nipote nel momento in cui condividono la stessa città; dico “interessante” perché, attribuendo a questo nuovo parente la fonte della fortuna di Gastone, Nucci crea una corrente alternativa rispetto a quanto veniva raccontato da Don Rosa in Paperino e lo scalognofugo triplo e dribbla al contempo qualunque riferimento alla madre Daphne: pur senza essere un fissato donrosiano e ritenendo sano che nel fumetto Disney, anche contemporaneo, possano convivere versioni parallele e financo contraddittorie di certi elementi secondari, non ho potuto fare a meno di chiedermi come mai lo sceneggiatore, grande estimatore di Don Rosa, non abbia ripescato fatti già narrati per costruire il proprio racconto, che avrebbe funzionato egualmente. Ma poco male.

Qualche sbavatura la riscontro anche in questa storia, in particolare nel rapporto della zia con il resto del parentado e in una vaga vuotezza di avvenimenti veri e propri che riempiano le due puntate della storia, ma nel complesso ritengo che il risultato sia decisamente godibile e di rilievo.
Merito anche dei disegni spaziali di Stefano Zanchi: l’artista gioca innanzitutto con le tavole con la grazia e la spregiudicatezza di un disegnatore navigato, sistemando le vignette sempre con soluzioni diverse ma mai gratuite, e modificando dimensioni e “pesi” all’interno della pagina. Le inquadrature cambiano continuamente e non si risparmiano primi piani carichi di dramma.
A livello di disegno, infatti, Zanchi pone un’attenzione certosina ai volti dei personaggi, Gastone in particolare, regalando loro tutte le sfumature delle emozioni che provano in quel frangente. Ho notato poi un uso più parco del caratteristico riflesso che Zanchi inserisce negli occhi, che in alcune prove passate mi appariva troppo insistito e che qui viene invece meglio modulato.
La plasticità dei corpi infine fa il resto, regalando a tutta la storia una dinamicità invidiabile senza sacrificare la trasmissione di sentimenti più intimi e complessi. Un lavoro coi fiocchi.

Blue Peaks Valley: Un commerciante + Un barbiere, di Corrado Mastantuono (nn. 3532-3533), sono i due episodi che concludono questo atipico ciclo sul passato di Paperone.
Come visto nella disamina di luglio, la mini racconta i primi passi del Papersera, le cui origini Mastantuono colloca negli anni giovanili del Klondike. Avevo già espresso le mie perplessità per la scelta di questo periodo che, pur non contraddicendo direttamente quanto sappiamo della biografia paperoniana, a mio avviso certamente vi si collocava un po’ a forza, e questo senza voler essere oltranzisti donrosiani nemmeno in questo caso.

Nelle ultime due storie un paio di scelte potrebbero far storcere il naso ai lettori di lungo corso “duri e puri”: l’introduzione di un Battista bambino e la nascita del Deposito.
Personalmente ho fatto ben presto pace con la seconda, che sembra invece essere stata quella più difficilmente accettata: in effetti il Money Bin rappresenta uno dei pochi punti fissi assoluti su Zio Paperone, che sarebbe meglio non andare a modificare a cuor leggero. Porne le basi in quegli anni e soprattutto in una zona geografica ben distinta da Paperopoli appare un azzardo… ma io ho inteso quella scena in maniera meno letterale, ritenendo quell’edificio in legno un “proto-Deposito”, una specie di modello che anni dopo Paperone avrebbe potuto replicare e sviluppare in maniera compiuta sulla Collina Ammazzamuli (e poi Ammazzamotori). Rimane una bizzarria aver dato alla serie, a posteriori, lo scopo di raccontare le origini del Deposito, come esplicitamente detto nella didascalia finale, ma inquadrandola in questa lente riesco ad accettarla comunque.
Sul piccolo Battista che nutrirebbe riconoscenza verso Paperone perché ha aiutato il padre faccio invece già più fatica e mi piace meno come trovata, che sembra giocare più sul colpo di scena che su un’idea vera e propria, con tutti i crismi del caso.

Ma fortunatamente, al di là di questi elementi “problematici” di continuity – di cui a un certo punto anche chissenefrega 😛 – Blue Peaks Valley rimane apprezzabile nel suo intento di dire la sua sulla stampa, sui suoi diritti e doveri, sulla difficoltà da parte di un editore/giornalista di essere imparziale e al servizio della verità, anche quando va contro i suoi interessi. La scelta di concentrarsi di volta in volta su una figura diversa che si rapporta con Paperone e con le sue cronache stampate è vincente, diversifica gli episodi in maniera riuscita senza rinunciare al suo filo rosso e offre un ampio ventaglio di soggetti e situazioni su cui l’autore pone le proprie riflessioni. Insomma, ai vari episodi non manca il contenuto, anche con risvolti maturi e tutt’altro che banali, e questa è forse la cosa più importante.
Raffinati come sempre i disegni del Masta, che realizza pose plastiche per i personaggi e ambientazioni ricche di elementi e paesaggi immaginifici. Nota di merito per il volto di Paperone, molto comunicativo e capace di far trasparire le emozioni molto umane di dubbio e perplessità che prova ogni volta che si trova ad affrontare dilemmi morali, professionali o personali che siano.

Una storia che invece affonda le mani nella mitologia barksian-donrosiana è Zio Paperone e la prova di scozzesità, di Vito Stabile e Libero Ermetti (n. 3536): non è certo la prima lettera d’amore che lo sceneggiatore campano scrive per il suo personaggio del cuore, ma è una delle prove più riuscite e per certi versi ambiziosa della sua carriera. Unendo le forze con Libero Ermetti, assieme al quale ha proposto il soggetto alla redazione (nato da uno spunto condiviso e dalla comune passione per Zio Paperone), Vito non ha solo fatto tornare il vecchio cilindro nella natia Scozia, ma l’ha fatto reincontrare con la sorella Matilda che, coerentemente con quanto raccontato da Don Rosa in Una lettera da casa, abita nel castello di famiglia a Colle Fosco, riportando in scena pertanto un personaggio secondario e sconosciuto a moltissimi lettori “comuni”, che da diversi anni veniva al massimo citato o mostrato attraverso brevi flashback dell’infanzia.

La storia non brilla per ricchezza di elementi nella trama: l’autore sceglie scientemente di non costruire una vicenda particolarmente articolata, la quale sostanzialmente ruota attorno alla volontà del protagonista di dimostrare di essere ancora uno scozzese purosangue e alla folle decisione di trasferire la propria residenza nel vecchio maniero dei suoi avi.
Per quanto riguarda il primo elemento, sempre a proposito di debiti donrosiani non ho potuto evitare di pensare al nono capitolo della $aga di Paperon de’ Paperoni, nel quale Paperone tornava a casa dopo aver finalmente iniziato la propria scalata alla ricchezza e decideva di affrontare delle prove tipiche delle highlands quale esponente del proprio clan. Naturalmente sono solo influenze, il soggetto imbastito da Vito va in un’altra direzione e la folle “sbandata” che il personaggio prende è particolarmente appropriata per lo spirito paperoniano.

Insomma, è una storia fatta più di sensazioni che di avvenimenti, come già l’autore aveva avuto modo di sperimentare in qualche altra occasione (vedi L’ultima avventura di Reginella) e come una certa parte della produzione dell’era Bertani ha iniziato a fare da qualche anno. Non è un male, se si sa come farlo, e Stabile dimostra di saperlo fare eccome, grazie a una certa delicatezza nella scrittura e a un’intima conoscenza di queste figure.
Aiutano molto i disegni di un ispiratissimo Ermetti, che presta il suo tratto plastico a tutti i personaggi in gioco, si applica nel ritrarre tartan e costumi tipici scozzesi, ci offre un’ottima versione di Matilda e si sbizzarrisce nel ritrarre ambienti ed interni mutuati da quelle memorabili storie americane in cui erano presenti ma facendoli anche suoi.
L’estetica era fondamentale con un soggetto del genere e il disegnatore, forse anche per via del suo coinvolgimento fin dalle prime fasi dell’opera, dà tutto sé stesso ottenendo un buonissimo risultato.

Operazione Zeus, di Marco Gervasio e Emmanuele Baccinelli (nn. 3534-3535-3536), è l’avventura a puntate legata al concorso dell’estate volto a coinvolgere e fidelizzare i lettori con un mistero, indizi disseminati nei vari episodi e premi a estrazione per chi indovina l’identità del cattivo.
Da questo punto di vista non mi sembra che l’operazione si dimostri particolarmente riuscita, nel senso che non mi è parso durante la lettura di intercettare chissà quali informazioni utili per arrivare alla soluzione, soprattutto nelle prime due parti.

Il terzo tassello spinge maggiormente su questo lato, invece, mostrando spudoratamente un rebus che… comunque non avevo saputo decifrare, mi hanno dovuto aiutare per farmici arrivare! ^^’’
Fortunatamente, a me del concorso non fregava nulla, e mi concentro quindi sulla qualità della narrazione: devo dire che, a parte qualche faciloneria di troppo su cui occorre passare sopra (il fatto che un’associazione a delinquere segreta spammi il proprio logo a destra e a manca, il fatto che Pippo e Minni siano improvvisamente degli abilissimi solutori di enigmistica, il fatto che il terzo episodio riavvolga il nastro per mostrarci pedissequamente come sono andate alcune vicende), la storia finora non è stata malaccio.

Flashback a parte, che è un po’ gratuito, i primi due episodi funzionano nel loro essere di fatto due avventure quasi autonome e parallele, una con Topolino-Pippo e una con Paperone-Paperina, godibili e piacevoli. L’oro di Drake, in particolare, funziona molto bene, sorretta da un impianto solido e con un discreto uso dei personaggi. Ho adorato poi l’ingresso in scena di un Paperinik più tosto che mai, veramente convincente.

Nel momento in cui questo post sarà online sarà già uscita la conclusione della vicenda, io rimando però al post del prossimo mese il tirare le somme sull’Operazione Zeus nel complesso.
Nel frattempo posso però già sbilanciarmi sull’estro artistico del prode Bacci: il disegnatore offre anche qui il suo tratto fluido e morbido, unito ad alcune trovate grafiche azzeccate che riescono a movimentare le pagine e a sottolineare il ritmo dell’azione. In alcuni passaggi forse l’ho visto meno “in forma” rispetto alle ultime, eccellenti prove, ma si tratta di inciampi assolutamente trascurabili nell’aspetto di un paio di personaggi in qualche occasione, nulla che vada ad inficiare sul lavoro nel complesso, che resta decisamente interessante.

Once upon a mouse… in the future – Attraverso il metaverso, di Francesco Artibani e Francesco D’Ippolito (n. 3534), segna il penultimo appuntamento con questi brevi adattamenti in chiave futuristica dei cortometraggi animati classici.
Stavolta Artibani si ispira a Through the mirror, immaginifico corto nel quale Mickey incrociava la propria strada con le atmosfere di Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll (15 anni prima del lungometraggio d’animazione!) e trasforma Wonderland in uno dei numerosi universi virtuali nei quali la gente può vivere grazie a speciali interfacce, staccandosi per qualche ora dal mondo reale. Ma questo scenario particolare tra i tanti sembra avere dei problemi che Topolino, abile programmatore, è chiamato a risolvere.

Per ritmo, trovate e spunto di base per trasformare i presupposti del racconto originale, questa Attraverso il metaverso si candida ad essere una delle uscite migliori del ciclo dedicato a Disney100. Lo sceneggiatore romano crea un intrigo più complesso di quanto apparisse all’inizio e lo adagia senza graffi all’interno delle pagine a disposizione, creando una lettura coinvolgente, emozionante e addirittura poetica nel risvolto finale.

Ad aumentare la riuscita dell’opera ci pensano i disegni del Dippo, che lasciato a briglie sciolte ci regala un vero capolavoro grafico: in queste tavole l’artista ha modo di dimostrare appieno le proprie capacità e potenzialità, con un tratto che dimostra la perfetta aderenza al canone disneyano, con tanto di richiami evidenti a Floyd Gottfredson e allo stile dell’animazione di fine anni ‘30, ma fortemente personale e con diversi slanci e soluzioni moderne, che si fonda brillantemente alla patina vintage di cui sopra, abbracciando in maniera felicissima uno dei presupposti alla base di questa operazione.
Il design dei personaggi è sontuoso, Topolino e Paperino in particolare, e gli sfondi conoscono virtuosismi grafici che fanno sbarrare gli occhi, anche grazie all’efficace colorazione.
Sono uscito estasiato dalla lettura.

Topolino e la via della storia – I pirati dell’orco, di Francesco Artibani e Alessandro Perina (n. 3536), è l’episodio che chiude questa articolata avventura attraverso il tempo a sostegno della candidatura della Via Appia come patrimonio Unesco.
Come ho già avuto modo di scrivere su queste pagine, il pregio maggiore di questa storia è stato quello di… essere una storia, e non una mera marchetta dai toni didascalici e noiosi.
Artibani ha celebrato questo pezzo di storia urbanistica del nostro Paese con un racconto avvincente, vero fumetto per ragazzi nel senso più puro del termine.
Vorrei dire che il tutto si conclude col botto, ma ahimè ho in realtà trovato quest’ultimo episodio il più debole di tutta la vicenda, con una risoluzione che fila fin troppo liscia e veloce per arrivare alla fine del pasticcio temporale. Resta una buona sceneggiatura che in particolare ha il pregio di far tornare tutto quanto in maniera coerente con ciò che è stato seminato nel pregresso, ma a livello di situazioni mi è parso tutto un po’ “sotto potenzialità”. Topolino resta comunque caratterizzato benissimo, una delle sue migliori versioni perché genuinamente debitrice delle origini, e rimane l’ottimo servigio reso nei confronti dell’Appia.
Così come rimane l’ottimo lavoro di Alessandro Perina ai disegni: l’artista, ormai di diritto tra i decani disneyani, ha da molti anni cristallizzato il suo stile in quella che personalmente considero un’ottima pietra di paragone per l’estetica disneyana, insieme a quella di Andrea Freccero, ma mi sorprende notare ogni volta qualche spunto, qualche idea, qualche linea che denota una continua ricerca pur nel solco di quel tratto piacevole e tondeggiante che è il suo rassicurante marchio di fabbrica.

Lord Hatequack presenta: L’ora del terrore! – Topolino, Macchia Nera e la modalità random, di Marco Nucci e Stefano Intini (n.3535), segna il ritorno non solo di questa atipica serie “horror” ma anche del team-up tra Nucci e Intini.
A dispetto dei toni gotici sbandierati, in quest’occasione più che nelle precedenti è una sottile comicità a farla da padrona: non me ne lamento, perché lo sceneggiatore distilla qui il suo animo più poliedrico, scevro dalle sovrastrutture che mi capita di cogliere quando è alle prese con qualche grande progetto, quindi più spontaneo. Nucci qui si scatena, gioca con i personaggi, con la sua stessa lore, con il concetto di macchina del tempo, con i tormentoni e soprattutto con il lettore, avvincendolo in un loop narrativo col senno di poi prevedibile ma che non si fa intuire se non all’ultimo secondo della prima lettura. Stratagemma peraltro tutt’altro che nuovo quando si parla di viaggi temporali et similia, ma che riesce a contenere in sé quel germe di inquietudine che rende salda la cifra stilistica dell’Ora del terrore.

Stefano Intini si rivela il disegnatore più adatto a una trama così folle, che spara i protagonisti avanti e indietro nel tempo senza regole o logica: il suo stile guizzante e anarchico, che stretcha le figure e le ricompone a piacimento, è perfetto per seguire la sceneggiature nucciana e anche alcune finezze nella gestione della gabbia – che in vari passaggi diventa importante anche a livello narrativo – impreziosiscono quello che ad oggi è forse l’episodio più sperimentale del ciclo e che ne mette a nudo le potenzialità come finora non era ancora emerso a tutti gli effetti.

Zio Paperone e l’esperienza che fa la differenza, di Gaute Moe e Francisco Rodriguez Peinado (n. 3535), rappresenta l’usuale “quota danese” ma è in grado di spiccare con decisione sulle altre storie Egmont che hanno visto la luce su Topolino nel corso degli ultimi due anni.
Una breve decisamente divertente, gestita con tempi comici perfetti grazie all’idea tutta pazza di rendere inaspettatamente Miss Paperett una donna dalle molteplici capacità, che le permettono di difendersi alla grande nella natura selvaggia in forza di una pletora di precedenti lavori che l’avrebbero forgiata ai compiti più improbabili. Sembra una sciocchezza ma lo sceneggiatore è abile nel raccontare con il giusto piglio uno spunto tanto folle, dando freschezza al tutto.
Peinado ai disegni è la ciliegina sulla torta: la bravura dell’artista è nota, specialmente a chi bazzica l’Almanacco Topolino, e qui la dimostra tutta grazie al suo tratto dettagliato ed elegante. In particolare nelle espressioni dei personaggi (ce ne sono alcune di Paperone e di Qui, Quo, Qua veramente da antologia!) il disegnatore eccelle e dà una marcia in più alla trama.

Il clima estivo ha poi permesso di dare spazio come difficilmente accade a una selva di storie medio-brevi made in Italy, adatte per le calde e oziose giornate agostane, con esiti altalenanti.
C’è per esempio Topolino e la malefatta malfatta, di Giulia Lomurno (n. 3532), promettentissimo debutto di Lomurno alla scrittura! La disegnatrice si cimenta infatti anche con i testi di questa simpatica storiella, tutto sommato innocua e dall’esito certamente telefonato, ma nella quale mi è parso di notare il giusto rispetto verso i personaggi e un buon uso della comicità, in particolare di quella verbale. Sono curioso di poter leggere in futuro altri tentativi in questa direzione per la giovane artista 😉

Paperino e la sfida rotolante, di Massimiliano Valentini e Giulia La Torre (n. 3534), è una innocua commediola che vede il suo punto di forza nel numero di personaggi attivi (Paperino, Anacleto, Paperoga, Gastone) e nel riuscito connubio tra di essi. Un’amena lettura estiva a suon di gara di biglie sulla sabbia con finale inaspettato grazie a un Paperoga usato bene.

Gambadilegno e il colpo archeologico, di Massimiliano Valentini e Lucio Leoni (n. 3535), vede in scena un’altra buona prova di Valentini. Lo sceneggiatore piemontese mette in piedi un’improbabile team-up tra Pietro e Kranz (con l’amichevole partecipazione di Sgrinfia), un’idea che fa accapponare la pelle al solo sentirla. In realtà la storia viene condotta con sobrietà e inaspettatamente intrattiene senza danni o forzature. Le caratteristiche delle figure in gioco vengono rispettate e l’amalgama tra di loro riesce, incredibilmente. Qualche scricchiolio qua e là si sente, indice del fatto che forse è meglio non tirare troppo la corda, ma in questo caso non si è spezzata.
Sempre bello rivedere Leoni ai disegni, che regala armonia e fluidità alle tavole.

Wizards of Mickey – Il seminatore di discordie, di Luca Barbieri e Marco Palazzi (n. 3533), è la nota più dolente di agosto. La inserisco tra le brevi perché, a dispetto dell’essere stata messa in apertura del proprio numero di Topolino, conta un numero ristretto di pagine.
Ad ogni modo Barbieri appare incurante dell’esigua foliazione, dal momento che architetta una trama da grande opera fantasy manco avesse a disposizione svariati capitoli: il risultato è stato disastroso, perché oltre a un discreto set di cliché del genere e a un certo infantilismo di fondo nel trattarli, si arriva alle ultime due pagine senza che ci sia ancora stato uno scontro tra Topolino e il suo avversario… talché questo si risolve in un incantesimo buttato lì che riesce istantaneamente a debellare il nemico.
Ah, ovviamente dopo aver ritrovato la fiducia in sé stesso e aver visto oltre l’inganno orchestrato ai suoi danni… nel giro di una vignetta.
Personalmente rilevo in questa sceneggiatura una mancanza di equilibrio narrativo e un appiattimento brutale delle personalità in campo ed esco particolarmente deluso e scioccato da un lavoro del genere.
Palazzi, che solitamente apprezzo pur con moderazione, in questo caso mi è parso peraltro poco ispirato, accentuando l’idea che questo prodotto sia nato maluccio.

Miss Paperett e Battista e il tesoro dei tropici, di Carlo Panaro e Valerio Held (n. 3532), è un’altra storia sconcertante, ancora più pensando al nome dell’autore. Non che Panaro sia esente dallo scrivere sceneggiatura criticabili solo per i tanti anni di militanza topolinesca, ovvio, e di esempi poco brillanti nel corso degli ultimi quindici anni ce ne sono senz’altro stati.
Ma non è facile rammentare un epic fail come questo: già il titolo riassume bene i contorni di una torbida vicenda che non avrebbe mai dovuto vedere la luce, con i due dipendenti di Paperone intenti a cercare un tesoro nascosto scimmiottando il loro principale. Ad un’idea deleteria si unisce uno svolgimento piatto e sconclusionato allo stesso tempo, peggiorato solo dal momento in cui intervengono anche Rockerduck e Lusky in contrapposizione a segretaria e maggiordomo… no no, non ci siamo.

Pippo e lo gnaulone ombroso, di Giovanni De Feo e Ottavio Panaro (n. 3533), non migliora granché lo scenario 🙁 Trama scombiccherata nella quale viene introdotto senza troppe spiegazioni uno strano essere tondeggiante che si nutre delle ombre delle persone. Pippo lo incontra e non fa una piega (voglio dire, d’accordo che il buon Goofy ha un atteggiamento laterale alle stranezze, però così è troppo!), poi si scopre che già un suo zio illusionista lo conosceva, ma era rimasto chiuso nel baule magico per mesi… boh! Seriamente non ho capito che direzione volesse prendere la trama, né quale fosse il senso della storia. L’ultima vignetta, con la sua pretesa di lato commovente, non fa altro che inquinare ulteriormente le acque per come viene presentata, facendo aumentare la confusione.

Per finire con un (timido) sorriso, c’è addirittura una tripletta firmata da Tito Faraci!

Pippo e una piccola sorpresa, di Tito Faraci e Lucio Leoni (n. 3532), Archimede voce fuori campo, di Tito Faraci e Francesco Guerrini, (n. 3533) e Ciccio in: Incontro nel verde, di Tito Faraci e Paolo De Lorenzi (n. 3535), sono tre brevi che puntano tutto sul divertimento puro, in particolare sulla comicità verbale di cui lo sceneggiatore è stato maestro assoluto, e portano a casa un buon risultato.
La prima contiene in realtà anche un distillato di poetica pippesca secondo Faraci, che viene presentata in maniera un pelino troppo didascalica ma che a mio avviso non stona affatto e funziona.
La seconda zoppica di più perché, a dispetto di alcuni giochi di parole veramente spassosi e della riuscita idea di base di non visualizzare mai Archimede, titolare della storia ma vittima della sua ultima invenzione, arriva ad un finale che non ho compreso nel suo “colpo di scena” e questo mi ha vagamente guastato il godimento del racconto.
L’ultima è quella che reputo la migliore del terzetto: siamo al terzo team-up improbabile del mese, ma Faraci cavalca convintamente il paradosso di far agire insieme il Gran Mogol e Ciccio per dare vita a una sequela di gag semplici ma molto divertenti. Tutto si gioca sull’opposto atteggiamento alla vita da parte dei due, ma anche sull’equivoco per cui il capo delle Giovani Marmotte non sembra accorgersi dell’infinita pigrizia del suo interlocutore.
Sarà che mi ha spiazzato, temendo il peggio, ma oserei addirittura dire che si è trattata di una lettura che mi ha svoltato la giornata regalandomi un sorriso duraturo.


Bene, credo di aver detto tutto.
Grazie come sempre a chi mi ha letto, e alla prossima!

BONUS TRACK

Come già ebbi modo di dire su queste pagine, da qualche tempo sono tornato a collaborare saltuariamente con gli amici del Papersera, scrivendo qualche articolo per il loro sito.
Vi riporto di seguito quanto uscito recentemente da quelle parti, ponendo in particolare l’accento sul un lungo e approfondito pezzo scritto insieme all’ottimo Amedeo Badini e incentrato sull’analisi dell’attuale scenario dell’offerta disneyana a fumetti in edicola, fumetteria e libreria:

L’organizzazione delle pubblicazioni disneyane nel 2023

Recensione I Classici Disney #25 extra: Paperallegria