La Bonelli è viva! Lunga vita alla Bonelli!
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La Bonelli è viva! Lunga vita alla Bonelli!

Quello che stiamo vivendo è un periodo di grande innovazione e sperimentazione per la Sergio Bonelli Editore.
A iniziare così però, mi pare di fare un torto alla storia della casa editrice milanese. Non perché quella sopra sia un’affermazione non vera, bensì perché innovazione e sperimentazione sono due fattori che hanno sempre contraddistinto l’azienda della famiglia Bonelli. Basti ricordare, limitandoci agli ultimi sessant’anni di vita, La Storia del West, Un uomo un’avventura, Ken Parker, Full, i fumetti di Indiana Jones, Bella e Bronco, Doctor Beruscus (eh sì…), Orient Express, Gregory Hunter, Jonathan Steele.
Senza scordare che Dylan Dog, Martin Mystère, Nathan Never, Napoleone e il recente Mercurio Loi sono stati, per usare un termine che oggi è molto in voga, disruptive per i canoni narrativi e di linguaggio fumettistico, ognuno nei rispettivi anni in cui hanno fatto il proprio esordio in edicola.

beruscus 1

Sergio Bonelli non ha mai avuto paura di sperimentare e di battere nuove strade, mettendo in conto anche fallimenti e buchi nell’acqua. Suo figlio Davide, da quando nel 2011 ha ereditato le redini dell’azienda, ha continuato sulle orme paterne in un periodo storico complicato che ha portato a una lenta e costante trasformazione/evoluzione della casa editrice.
In effetti, gli ultimi dieci anni sono stati un periodo estremamente prolifico in fatto di novità ed esperimenti editoriali, da un punto di vista di formati, di contenuti, di ricerca di un nuovo pubblico. I Bonelli Kids, le testate Bonelli Young, la linea Audace con la propria estrema varietà interna, di successo o meno che siano o siano stati, confermano quanto sia insito nel DNA dell’editore il gene della mutazione e dell’evoluzione (mi si permetta questa piccolo gioco metafumettistico).

Va detto che per un certo periodo di tempo – diciamo fino a un paio di anni fa – l’impressione da osservatore esterno era che la grande effervescenza sperimentativa fosse abbastanza randomica. La SBE pareva che immettesse sul mercato nuovi prodotti, anche per nuove fasce di pubblico, come scommessa speculativa più che seguendo un percorso o uno schema editoriale preciso e riconoscibile: quasi una navigazione a vista.
Sempre con occhi da spettatore esterno, sembrava quasi di trovarsi davanti a un editore che provasse a mettere sul mercato quattro o cinque novità variegate tra loro, con la speranza di fare centro almeno con un paio! Penso a 4Hoods, Dragonero Adventures, Creepy Past: meteore (la seconda un po’ meno delle altre due) che hanno solcato l’orizzonte delle edicole senza esprimere tutto il loro potenziale.
Da un po’ di tempo però sembrano essere emersi due pattern ben precisi – e paralleli – nei quali si sta muovendo la casa editrice. Uno che unisce innovazione e personaggi “storici” della SBE e l’altro più prettamente legato a un taglio narrativo ed editoriale che già da tempo ha preso piede nel mercato fumettistico statunitense (mainstream e anche indie): quello dei cicli narrativi e stagionali.

bonelli young

Partiamo da Tex, personaggio simbolo della Bonelli, e pensiamo all’offerta editoriale che il ranger offre ai propri lettori. Al mensile con le storie più canoniche e classiche (nelle quali però sarebbe ingiusto non notare una costante, seppur lenta, evoluzione narrativa: dosi omeopatiche per non rischiare shock anafilattici di tipo fumettistico nei lettori di vecchia data) si sono affiancati i cartonati alla francese, in cui si è sperimentato in primis un inedito linguaggio narrativo legato al formato e dai quali è scaturito il filone delle avventure del giovane Tex, che è andato a strutturarsi in una collana mensile autonoma. Affiancatasi alla testata storica, Tex Willer ne ha bissato il successo in termine di vendite e di qualità, differenziandosi per il formato più snello a 64 pagine.
A queste collane fanno compagnia il Color Tex, palestra che Mauro Boselli usa sia per testare nuovi autori per il ranger (“Una storia breve di Tex non la si nega a nessuno” è solito dire il curatore del personaggio) sia per allenare coloro i quali dimostrano le carte in regola per fare il grande salto verso la testata storica (ultimo, in ordine di tempo, Jacopo Rauch), così come nel Magazine. Senza scordare il Texone, da sempre e per origine sede di visioni più sperimentali e autoriali del ranger.

Seguendo un ordine di anzianità, troviamo Zagor. Moreno Burattini mantiene la testata mensile nei binari del “canone nolittiano” – ma anche in questo caso, dire che nelle storie non ci sia un’evoluzione costante di linguaggio e di segno sarebbe un torto – tanto caro agli appassionati dello Spirito con la scure. Poi però il curatore del personaggio stupisce tutti con la miniserie Zagor le origini, caratterizzata da una scelta fresca e assolutamente contemporanea in fatto di scrittura, sceneggiatura e conseguente impostazione grafica: la dimostrazione che si può scrivere Zagor in modo diverso dal modo “classico”, senza stravolgerne la natura, anzi rendendolo appetibile a un pubblico diverso.
Passando ai Maxi, va evidenziato il successo del format I racconti di Darkwood che, in modo simile al Color Tex, permette a tanti autori di avvicinarsi per la prima volta a Zagor. E non scordiamo la collana Scure – che a inizio 2020 ha visto il finale della seconda miniserie ospitata – che ha rispolverato il formato a striscia con cui esordì quasi sessant’anni fa il personaggio di Nolitta e Ferri. Da fuori, può sembrare un ritorno al passato fuori tempo massimo, un’operazione nostalgia dal gusto retrò, ma basta conoscere appena l’integralismo di una certa fetta del pubblico zagoriano per capire come Burattini e la SBE abbiano invece saputo individuare una nicchia che ne ha decretato il successo. Senza contare che formato e stile narrativo hanno affascinato anche fasce di pubblico più giovane, fosse anche solo per curiosità, come ha ribadito lo stesso curatore.

Galassia Dylan Dog

Dylan Dog è, attualmente, l’incarnazione più efficace del legame innovazione-personaggio storico portata avanti dalla casa editrice.
Roberto Recchioni è uno di quegli autori assolutamente divisivi, capaci di dividere i lettori tra seguaci appassionati e spietati detrattori delle storie che scrive. Ma qui mi preme parlare del suo ruolo come curatore e come oggi la “galassia” di pubblicazioni dedicate all’indagatore dell’incubo sia specchio di eterogeneità e sperimentazione.
Si passa dal filone del Pianeti dei Morti di Alessandro Bilotta negli Speciali, vera e propria “serie nella serie” e forse l’incarnazione più autoriale e sperimentalmente riuscita del personaggio ideato da Tiziano Sclavi, al Dylan Dog Color Fest, che continua a essere sede eletta per le interpretazioni più eterogenee e varie di Dylan. Senza dimenticarsi dell’Old Boy, una sorta di Classic Dylan Dog che occupa uno spazio preciso nell’offerta ai lettori.
Per arrivare infine alla serie regolare che dal #401 ha preso una svolta. Non è questa la sede per un’analisi approfondita sulla qualità e l’efficacia del nuovo percorso narrativo intrapreso da Recchioni, oltre a essere troppo presto, con un solo numero uscito dopo la fine del “Dylan che tutti conoscevamo e amavamo”.
Quello che mi preme segnalare qui è la scelta editoriale che pare essere stata presa di strutturare da ora in avanti il mensile con una serie di cicli narrativi coesi portati avanti da singoli autori. Una sorta di “serie di miniserie”, tante interpretazioni diverse: una scelta che richiama quella tendenza in auge e di successo che già da qualche anno sta producendo piccoli capolavori nel fumetto statunitense, da Vision e Mister Miracle di Tom King, al The Green Lantern di Grant Morrison arrivato già alla seconda stagione.

Questa tendenza dei cicli narrativi ben si sposa a quello che sta accadendo da fine 2019 su Nathan Never, dove è partita una saga in nove parti scritta da Bepi Vigna e Michele Medda che mira a rideterminare lo status quo dell’Agente Alfa per il futuro a venire.
E non scordiamoci gli esperimenti degli anni addietro con le miniserie Anno Zero, Rinascita e Generazioni, tutte reinterpretazioni del personaggio da parte dei suoi creatori (sebbene Antonio Serra si sia limitato a un lavoro di supervisione più che di scrittura per Generazioni). Miniserie che saranno anche il futuro di Nathan Never con l’arrivo per il trentennale di una dedicata a Skotos, scritta da Vigna: la prima miniserie di casa Bonelli dedicata a un villain, un personaggio nato come antagonista dell’eroe.
D’altronde l’Agente Alfa ha una legacy legata all’innovazione: per i lettori più giovani o di memoria corta, diciamo che – da un punto di vista grafico e di struttura visiva – tanta della fantascienza bonelliana recente, a partire da Orfani (forse la prima serie strutturata veramente a stagioni e sicuramente quella che ha “sdoganato” il colore in Bonelli), è debitrice a quanto su Nathan Never fu fatto a livello di sperimentazione negli anni ’90. Al tempo Serra, Medda e Vigna uscivano dalla stanza di Sergio Bonelli con l’eco delle urla del capo contrariato dell’audacia delle innovazioni proposte (una splash page scontornata su un albo bonelliano? Ma quando mai!), per la rottura della griglia bonelliana. Nel tempo quella urla e quegli esperimenti hanno aperto una strada percorsa da tanti in casa editrice.

Potremmo andare avanti ancora, parlando del ritorno di personaggi come Mister No (quello classico), Magico Vento e Napoleone in cicli di miniserie, oppure del reboot di Martin Mystere con le sue nuove avventure a colori giunte alla seconda stagione.
Merita soffermarsi un momento su Dragonero che in sette anni di vita ha percorso una strada editoriale fatta di coerenza narrativa – grazie al lavoro dei suoi creatori Stefano Vietti e Luca Enoch a cui si è aggiunto quello del curatore Luca Barbierie di costante innovazione del canone narrativo bonelliano che ha portato a fine 2019 a un azzeramento della numerazione e a una ripartenza da 1 con un nuovo titolo, Il Ribelle. Un classico entry point di stampo fumettistico statunitense, ma assolutamente coerente con i precedenti 77 numeri e con quanto fino allora raccontato dai suoi autori.
Senza contare Senzanima, l’incarnazione del personaggio con contenuti più “adulti” e complessi.

Audace

A tutto questo si potrebbe aggiungere il lavoro fatto dall’etichetta Audace, tanto a livelli di contenuti quanto di formati. Per i primi pensiamo al reboot del personaggio di Mister No e per i secondi all’inedito formato tankobon di Attica di Giacomo Keison Bevilacqua: un esperimento così ben riuscito che nel 2020 aprirà le porte a nuove proposte nello stesso formato.
O ancora, la sinergia con lo scrittore Maurizio De Giovanni che ha dato vita agli adattamenti a fumetti dei romanzi del Commissario Ricciardi e della serie de I Bastardi di Pizzofalcone.

Ci sarebbe da aggiungere il progetto di crossover messo in piedi da SBE e DC Comics che nei prossimi anni ci presenterà gli incontri tra Dylan Dog e Batman, tra Zagor e Flash e tra Nathan Never e la Justice League.
Oppure parlare ancora dei progetti transmediali della casa editrice, del Bonelli Cinematic Universe che debutterà nel 2021 con la pellicola dedicata a Dampyr e de Il Confine, progetto pianificato con un attento approccio crossmediale (senza dimenticare Monolith).

Tutto questo per dire che la casa editrice italiana di fumetti che nell’immaginario dei più è associata all’immobilismo e alla classicità è attiva, sperimentatrice e innovatrice come non mai.
Poi ci saranno sempre i nostalgici del “Dylan Dog dei primi cento albi”, del Tex di Bonelli padre e di Galep e dello Zagor di Ferri e Nolitta, ed è giusto che ci siano. Come ci saranno in futuro gli esperimenti mal riusciti, i fallimenti e i buchi nell’acqua e arriverà forse un giorno in cui Dylan Dog, Nathan Never e Martin Mystere non avranno più niente da dire.
Ci sarà sicuramente un nuovo Doctor Beruscus.
Ma ci sarà anche un nuovo Mercurio Loi.

 

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