Dylan Dog #401 – L’Alba Nera: una riflessione veloce (ma non troppo) post lettura
Ho letto L’alba nera, l’atteso #401 di Dylan Dog e, seppur con qualche dubbio che non mi faccio mai mancare, (ma chi oggigiorno non li ha?) l’ho ampiamente apprezzato. Ho apprezzato il lavoro svolto da chi lo ha creato, chi lo ha portato a questo punto, a questo traguardo. Si, perché è innegabile che questo sia un progetto in cui tutte le persone coinvolte credono e tengono, è una cosa che si percepisce a pelle.
Dylan Dog è probabilmente il personaggio seriale più difficile da scrivere e curare in tutto il parco testate Bonelli. Per certi versi è prigioniero della sua radicalità, di quello che ha portato a suo tempo nel fumetto popolare italiano, del suo essere sempre e costantemente inserito nella “continuity” della cronaca quotidiana. Prigioniero dell’episodio auto conclusivo che tante volte soffoca la narrazione, che toglie originalità, del suo non riuscire a liberarsi delle peculiarità e caratterizzazioni storiche, diventate un fardello insormontabile. Non può essere scritto come Tex, stoico nella sua eccellente immobilità narrativa, con lettori fedeli che lo seguono da una vita e che lo faranno fino a quando gli sarà possibile.
Dylan invece è prigioniero di due schiere, perché (disgrazia sua) ha intercettato i gusti dei lettori di due spazi temporali: chi lo segue da quando è uscito e chi nel frattempo si è unito rendendolo l’eroe di due epoche (tipo Garibaldi), simili, ma profondamente diverse. Una frattura con il quale hanno dovuto confrontarsi molti curatori, con risultati alterni, a volte fallendo. Chi però contesta l’attuale curatore, dimentica che è lo stesso Tiziano Sclavi che ha spinto perché potesse prendere le redini di un personaggio tanto tignoso, spigoloso, perché ha colto in lui diverse similitudini sia di vedute prettamente artistiche e, perché no, anche caratteriali.
Detto questo in tanti tralasciano troppo spesso il fatto che Roberto Recchioni non è Sclavi e che non è neanche chiamato a esserlo, siamo noi che li confrontiamo continuamente in un raffronto sterile. Recchioni è stato chiamato per portare, traghettare, la testata e il suo protagonista a un nuovo livello che possa mettere d’accordo i suoi tanti lettori, una cosa che io per primo ritengo umanamene impossibile.
Se rimane dunque lecito non apprezzare il lavoro da lui svolto, rimane anche innegabile che mai come in questi anni su Dylan sono approdati autori impensabili, si è sperimentato, provato a intraprendere nuove strade, a volte riuscendoci a volte no, ma si è provato. Un esempio su tutti sono le storie ambientante nella linea temporale de Il pianeta dei morti scritte da Alessandro Bilotta, sempre di alto livello, sempre acclamate da critica e pubblico, meritatamente posso tranquillamente dire. Ma soprattutto, si è tornati a parlare di Dylan Dog su qualsiasi tipo di media, dai quotidiani più importanti alla televisione; parlatene bene, parlatene male, ma parlatene. Questo è un punto di vitale importanza perché oggi la parola è potere, il messaggio identifica, oggi come non mai, attirare il focus su di se è necessario.
Dopo anni come curatore (anni significa quindi che la SBE è soddisfatta del risultato) l’autore romano riparte con un reboot della prima avventura dell’investigatore dell’incubo, divisa però in sei episodi, un sorta di Ultimate Dylan Dog in cui convergono alcune delle sue più celebri identità, mixando ed eliminando personaggi storici e utilizzando personaggi semi nuovi in una commedia nera che funziona più che bene. E’ perfetta? No, ma diverte, viaggia con un ritmo veloce, con buone invenzioni e piccole, grandi, sorprese e colpi di scena (e poi ammettiamolo… Dylan con la barba è proprio figo), con un Corrado Roi all’apice della sua arte grafica, autore di una prova sontuosa.
E se davvero credete (e di conseguenza vi lamentate) perché Recchioni fa parlare Dylan solo per citazioni cinematografiche, perché non è in grado di scrivere, oppure è l’unico modo che conosce, o ancora è uno scrittore mediocre, allora non avete davvero capito. Ma davvero pensate che lo scrittore non sia il primo ad essere cosciente di questa scelta, come di altre tanto contestate, e spingere come un forsennato su questo lato?
Se lo osservate negli anni, ma senza preconcetti e antipatie (lo so, molti di voi non lo faranno mai, ma provateci), leggendo quei numeri che ha scritto per la testata regolare, prima come sceneggiatore e poi come curatore e sceneggiatore, dovete forzatamente notare che è rimasto uno dei pochi autori che riesce a cogliere lo spirito del primigenio del personaggio, che riesce a riproporre situazioni e stratagemmi che lo identificano come uno dei figli narrativi di Sclavi, uno dei più derivativi. E dunque quale occasione migliore di un nuovo inizio per riproporre in forma rinnovata e rielaborata, quel primo episodio anarcoide, le radici del mito, che scosse le fondamento del fumetto popolare negli anni a venire?
Concludendo: Erano meglio i primi 100 e forse anche i primi 150. Ma adesso siamo al numero 400 e, se possibile, io voglio seguire le avventure di Dylan e compagni per altri 400 numeri come credo (e spero) molti altri lettori. Nel bene e nel male, come un matrimonio. Chi lo ama davvero lo aiuterà in questo suo percorso di cambiamento.
Insomma… alla fine è sempre il nostro “old boy”.
Comprato, letto, nessuna curiosità di andare avanti. Non lo avrei apprezzato neanche fosse stato un personaggio completamente nuovo con un nome diverso. Il protagonista è sciocco e pedante. Dylan Dog è simpatico e molto umano.
Ho 37 anni, leggo Dylan Dog dal numero 94 “La donna che uccide il passato”, era l’estate del 1994, avevo finito le elementari e stavo per iniziare le medie, niente compiti per le vacanze, nessun impegno per quell’estate e casualmente, in un’edicola d’altri tempi, rimasi incuriosito da questo personaggio, ne avevo avuto già qualche numero fra le mani… però, prima, ero solo un bambino, i miei genitori mi lasciavano leggere Topolino, Tiramolla, Lupo Alberto… Finanche Cattivik! Ma Dylan Dog… No, assolutamente no, e non ero neanche abbastanza grande per capirne il valore. Eppure quell’estate era diverso: stavo crescendo, stavo per iscrivermi alle medie, avevo undici anni! Comprai e lessi “La donna che uccide il passato”, e fu amore a prima vista! Non avevo nessuna voglia di attendere il mese successivo per leggere una nuova storia: a undici anni un mese equivale al massimo ad un centotrentaseiesimo della tua vita, ed è tanto se ci pensate, poi si cresce, i mesi si accumulano, iniziano a scorrere più in fretta… e ne perdi il conto, li butti li da parte, in soffitta, come gli scatoloni ripieni di numeri di Topolino, che dopo la scoperta di Dylan Dog non mi interessava più. Insomma, per farla breve attendere un mese era fuori questione, ma, fortunatamente, “un’edicola di altri tempi” non è un’edicola normale! In pochissimo spazio c’era di tutto, dai videogiochi in cassetta per il Commodore 64, ai modernissimi floppy disk per PC, che all’epoca aveva davvero poca gente, ma, quello che mi salvò, fu un grande contenitore nero in plastica ricolmo di arretrati invenduti di Dylan Dog: “L’alba dei morti viventi” (seconda ristampa), “Gli uccisori”, “I conigli rosa uccidono”, e tanti altri. Insomma, alla fine mi ci spesi tutta la paghetta ed anche molte altre, che avevo messo da parte, un po alla volta, fino ad allora. Restai catturato dalle storie, dalla forza del personaggio, perfino la carta degli albi sembrava avere un odore nuovo, diverso da tutto quello che avevo letto prima, ma si sa, un bambino si fa affascinare da molte cose, alcune anche di poco conto, come questa, o come il fatto che a me sembrasse speciale anche che la colla del dorso ancora non era perfetta, i numeri andavano maneggiati con cura, o ti ritrovarvi la copertina in una mano, e tutte le pagine dell’albo nell’altra; ma si sa, ogni codice segreto o antico tomo riemerso dalle sabbie del tempo va maneggiato con cura, ed impararne a gestire i difetti faceva parte dei segreti iniziatici da scoprire, affinché nuovi mondi si palesino davanti a te. E di nuovi mondi ne trovai davvero infiniti in Dylan Dog, mentre gli anni passavano, sempre più veloci, in un susseguirsi di adolescenza, fine delle medie, inizio delle superiori, e problemi con “la prof. degli accidenti”, una stronza di quelle serie che ad un ragazzino possono rovinare la vita, di quelle insegnanti che col sennò di poi capisci quanto siano vuote ed inutili, anzi peggio, piene solo di sé stesse e spiccio nozionismo… Ma potrei anche smettere di infierire, perché all’epoca io almeno avevo un amico fidato, che incontravo in edicola e mi trascinava via da tutti quei problemi, mentre a lei, adesso, un accidente di quelli seri sembra le sia preso davvero. Probabilmente, nel vantarsi che tutti gli alunni avuti in vita sua l’avessero riempita di accidenti per quanto era stronza, avrebbe dovuto tenere una cosa ben presente, una cosa che a nessun lettore di Dylan Dog poteva sfuggire: mai sottovalutare la potenza che si può creare dal dolore inflitto a centinaia o migliaia di ragazzini e ragazzine che ogni anno dovevano sopportare i suoi metodi scolastici da lager, perché spesso il confine tra realtà e fantasia può essere più sottile di quello che si crede, ed ogni forma di dolore che si infligge al prossimo può creare dei mostri o dei fantasmi da cui poi sfuggire può diventare impossibile. Però io questo lo sapevo, avevo un amico che ogni mese me lo insegnava con le sue storie a fumetti, e mi esortava a trovare la forza per affrontarli e riconoscerli i veri mostri, quelli da temere, quelli come una professoressa crudele, forte solo nell’umiliare dei ragazzini appena adolescenti, terrorizzandoli anziché educarli all’amore per la Conoscenza. Niente di nuovo, Dylan me lo diceva sempre che il mostro, visto da vicino, è umano, mentre nella banalità della vita “normale” di ogni giorno si può nascondere il male più oscuro. Cambiai scuola in secondo superiore, e tutto andò meglio, riuscivo addirittura a svegliarmi la mattina senza avere quasi il vomito per l’angoscia, anzi, era tornato ad essere anche bello studiare! Ed in tutti questi anni Dylan Dog ha continuato a regalarmi i suoi consigli, alti e bassi, periodi più banali e storie che davvero ti lasciavano senza parole, ma la stessa voglia di incontrarsi in edicola come ad 11 anni, anche se la colla del dorso ormai era migliorata e non si scollava più, ed anche se la carta ormai odorava solo di carta: da bambini si hanno dei poteri che spesso, perlomeno per alcuni periodi, diventando grandi poi si perdono! Finirono poi anche le superiori, iniziai ingegneria informatica, ma la matematica non faceva più per me: era stata la mia materia preferita… Poi ad un certo punto ti ritrovi a preferire di gran lunga la letteratura, il cinema, le arti… Tutto ciò che è impregnato di umanità insomma, e non solo di freddo calcolo; cambiai quindi università iscrivendomi all’accademia di belle arti, indirizzo multimediale. Crescendo si sa, le amicizie restano, ma ci si può vedere di meno per colpa dello studio,degli esami, poi viene il lavoro… Ci si trovava sempre ogni mese in edicola, ma poi a volte, prima di ascoltare cosa aveva da raccontarmi Dylan Dog, lo lasciavo lì, su una mensola, e sopra ci finiva quello del mese successivo e dell’altro ancora, poi ogni tanto ritrovavo un po di tempo e ci facevamo una lunga chiacchierata, recuperando tutti gli albi ammucchiati per svariati mesi, una chiacchierata di quelle che può capire solo chi ha un carissimo amico che magari ormai lavora all’estero, e ci si può vedere tutti i giorni, o solo una volta ogni dieci anni, ma ogni volta è un po come se ci si è salutati appena il giorno prima, e si parla di tutto, argomenti più noiosi ed altri più interessanti, ma con quell’entusiasmo tenuto sempre vivo dalla profonda amicizia. Così è stato per Dylan Dog, delle storie fenomenali, e dei periodi sottotono; d’altronde è difficile avere sempre la freschezza e l’ispirazione del primo giorno, quando la collana esiste ormai da trent’anni, ma ad un amico questo si perdona e, si sa, ogni tanto la storia che ti emoziona, ti commuove o ti fa entusiasmare uscirà fuori di nuovo! Eppure il buon vecchio Dylan credo che ad un certo punto si ammalò, una delle malattie peggiori che può toccare un amico di carta… Non mi sono mai documentato sugli andamenti editoriali della Bonelli, ma credo si chiami “calo delle vendite”. La casa editrice decise quindi di affiancare a Dylan un infermiere, per tirarlo su, guarirlo, dargli nuova linfa vitale… E Roberto Recchioni divenne il nuovo direttore editoriale della testata. Vi assicuro, diventa triste discutere con degli amici, quando ciò deve succedere sempre in presenza di un assistente, un assistente molesto per di più, di quelli che giudicano il malato, Dylan Dog, e giudicano i suoi amici, i lettori, ma senza comprenderli, senza avere neanche la volontà di comprenderli! E così a Dylan Dog venivano attaccate addosso cose nuove, cose che vendono ed interessano il pubblico, cose moderne! Inutile dire l’imbarazzo di Dylan Dog: come quando le circostanze ci costringono a mettere un abito nel quale non ci sentiamo a nostro agio, indossarlo in pubblico, in occasioni che, magari, ci creano disagio tanto quanto il vestito che dobbiamo parlare, ed allora, anche se tra amici, si iniziarono a creare quei momenti di imbarazzo, di quando senti che nel gruppo c’è qualcuno di troppo, di fastidioso, ed è proprio il nuovo arrivato cazzo! e per questo motivo ti senti a disagio anche solo a dirglielo, ma il trovarsi non è più come prima, e, piano piano ci si allontana sempre di più. Purtroppo poi, due anni fa, si ammalò mio padre, e la pila di fumetti sulla mensola iniziò solo a crescere, l’interesse era sceso molto e l’attenzione che serviva per affrontare la malattia di papà impegnava ormai la quasi tutto il tempo libero che avevo. Per la prima volta, dopo una vita di amicizia, si stava lì, uno accanto all’altro, maz chi per un motivo, chi per un altro, non ci si parlava più. Recchioni avviò il ciclo della meteora, con questo countdown ansiogeno in copertina, numero dopo numero, ma finivano tutti sulla stessa pila dei fumetti non ancora letti, alla fine ne saranno stati una ventina almeno… Ma in edicola ci sono continuato a passare, prima o poi le cose magari sarebbero andate un po meglio per mio padre, e magari anche per Dylan Dog, e poi anche nelle difficoltà dai, con gli amici ci si parla! Peccato che le storie in questo mondo si dividano in due tipi, quelle allegre, con un lieto fine, scritte per quelle calde sere di estate in cui ci si può godere una grigliata tutti insieme, tra le lucciole ed il canto dei grilli, mentre del buon vino rallegra gli animi, e quelle storie scritte per l’inverno, talmente gelide che ti fanno ghiacciare le ossa, e non ti scaldi, neanche davanti al camino…. Dopo due anni di malattia mio padre se n’è andato, ad inizio Marzo, consumato del tutto dalla malattia contro cui fino all’ultimo ha combattuto come un leone, lasciando solo triste accettazione ed un enorme, incolmabile senso di vuoto, e sono questi i momenti in cui ti ritrovi disperatamente a cercare ancora una volta di parlare Con un amico di vecchia data, per alleviare il dolore e la rabbia che si hanno dentro. Ho allungato la mano quasi per caso verso la mensola ormai abbastanza piena di numeri di Dylan Dog ammucchiati uno accanto all’altro, ed ho notato l’ultimo numero comprato, il 401 “L’alba nera”, con un bollino che recita “un nuovo inizio!”… Tra l’allarmato ed il curioso sto già correndo a leggerlo, decido che gli altri numeri arretrati posso recuperarli dopo, ma devo sapere cos’è questo nuovo inizio, che fine hanno fatto fare ad un mio amico d’infanzia e… Beh, questo è il potere che può avere un direttore editoriale che decide di puntare al denaro, tralasciando il cuore, soprattutto quello dei lettori… Doveva esserne il medico, l’assistente, l’infermiere, invece ne è stato il carnefice, Dylan Dog, il mio vecchio amico, se n’è andato, e al suo posto trovo un super eroe di stampo americano, di quelli che affrontano a cuor leggero remake, universi paralleli e reboot, perché in realtà sono solo maschere, sotto il loro costume un cuore no c’è e non c’è mai stato, sono state sempre e solo collane create per vendere e Dylan Dog, la Bonelli, il fumetto italiano… Non era questo! Ecco la mia recensione al numero 401 di Dylan Dog, recensione che mi trovo a scrivere alle 4 di notte, con gli occhi lucidi per quello che ho dovuto rivivere per scriverla, perché quando ti portano via un amico che ti è stato vicino per 26 anni è normale doverli ripercorrere tutti, nel bene e nel male, per ricordare, per dargli almeno l’onore che si merita e si è guadagnato negli anni, con un ultimo, degno saluto. Roberto Recchioni spero che il tuo super eroe nuovo di zecca ti porti tanti soldi almeno, perché alla mia generazione, che ha iniziato a leggere Dylan Dog da bambini, ed ora ha quasi 40anni, questo nuovo fumetto di stampo marvel, ma scritto in Italia, non piacerà credo, ed il sacrificio che ci hai imposto è stato grande.
Ho iniziato a leggere Dylan Dog alle elementari, nei primi anni 90. Me ne sono subito innamorata e sono andata avanti per più di 20 anni, ma ho smesso ormai da qualche anno perché il nuovo Dylan non mi piace. Non ha cuore, non ha anima, le sue storie mi lasciano indifferente. A volte rileggo le vecchie storie. Il vecchio Dylan mi manca, ma non tornerà e me ne sono fatta una ragione. Non ce l’ho con Recchioni. Se il nuovo Dylan continua ad uscire vuol dire che piace al pubblico e gli auguro di continuare ad avere successo, ma io ho chiuso e lo dico con rammarico e tristezza.
Ce li ho tutti……dal primo anche se una ristampa e ho girato edicole sperdute per poterli avere perchè il Dylan è il Dylan….o almeno: lo era fino al 400…Barba, Gnaghi, il cellulare….e quest’aria da superfigo con presentazione alla James Bond. No, mi spiace caro Roberto ma la tua operazione andrà bene a chi il Dylan ha iniziato a leggerlo l’altro ieri non a chi lo legge da trent’anni. E se sta per uscire l’old boy con 2 storie ci sarà anche un perchè….Non smetto, per ora, di acquistarlo perchè tutti meritano una seconda possibilità ma, se in un contesto Dylaniato ” perseverare è diabolico”, noi lettori storici saremo costretti a chiamare l’investigatore dell’incubo (quello vero) per cacciare questo doppelganger mal riuscito. Pensaci Roberto e comunque sempre grande Corrado Roi: almeno lui c’è!
Più che “nuove” idee, a me pare che hanno ripescato vecchie idee da “Dylan Dog – Orrore nero” e cliché vari da fumetti americani ben noti a tutti, con il solito protagonista che fa citazioni “nerd” (virgolette volute), ma è cmq figo perché sa sempre il fatto suo. Dylan non era “figo”, ma uno di noi. Uno che fa la cosa giusta? Ci provava a farla, ma non è detto che ci riusciva. Era umano prima ancora di un “antieroe”. Uno che combatte le sue debolezze, senza riuscirci sempre; uno che non può fare a meno di essere idealista pur essendosi sporcato le mani quando il suo senso di giustizia si è confuso con quello della vendetta. Uno che per quanti orrori ha vissuto, continua a credere che provare a fare la cosa giusta sia l’unica possibilità per chi non vuole perdere la propria umanità. Uno che non è al passo con i tempi, ma sa vivere situazioni di ogni genere con grande ironia anche quando è assolutamente un pesce fuor d’acqua. Ma perché fare un tabula rasa della serie? Era Dylan il problema? Eh, io la mia idea me la sono fatta… Dylan Dog non è diventato un reboot perché “non si poteva fare altrimenti, il personaggio doveva essere stravolto per continuare ad esistere, per trattare di ‘attualità’, ecc…, ecc…”, ma per mero ego. L’ego di chi? Di Recchioni? Credo di tutta quella famiglia degli attuali autori, composta adesso da baldi giovani e non-giovanissimi. Sclavi, lo sappiamo tutti, ha la usa età e non è immune dall’idea di trovare ancora il consenso di chi adesso impone il buono e il cattivo tempo a casa Bonelli. Sceneggiatori e disegnatori “ambiziosi” che “porteranno avanti la serie secondo la volontà del suo creatore?” Bah, questa storia sembra surreale anche per un fumetto. Sclavi un Dylan Dog così non saprebbe nemmeno scriverlo, figuriamoci proporlo o accoglierlo, perché i suoi personaggi, per quanto a volte tragici, hanno sempre avuto quel pizzico di romanticismo che li ha resi come Dylan Dog: Vecchi e giovani al tempo stesso, depressi ma vitali, tristi e allegri.
Comunque stiano le cose anch’io mi sento un po’ in lutto. Addio Dylan, se il mondo cambierà in positivo, forse, chissà, tornerai tra noi. Se lo vorrà, la fantasia saprà farti risorgere in un mondo completamente nuovo.
… Ciao Dylan… Sei stato un amico, uno specchio, un fratello… È anche un maestro o perlomeno un esempio… Era il 1986, avevo 10 anni e ti leggevo di nascosto perché eri troppo adulto per un bambino… Per anni ho sperato di vedere una fine… La meravigliosa scintilla che per tanti anni ti ha accompagnato e che sembrava inasauribile, anzi attraverso grandi autori e disegnatori sembrava sempre più luminosa… Poi l’inevitabile declino, le idee sempre più scarse e banali al punto che in casa mia aspettavamo con ansia storie come “Dylan Dog contro zio paperone”… Magari non un capolavoro ma utile per quattro risate in compagnia e soprattutto utile per aggiungere un numero in più alla produzione… Poi ecco che mentre sono li che prego, non dico per un finale glorioso, quello ormai era bruciato…. No, mi sarebbe bastata una dignitosa eutanasia… Dicevo, ecco che arriva questo qui…è il migliore non c’è dubbio ma ogni sua storia che provo disperatamente a leggere mi provoca uno strano rigonfiamento fra le gambe che poi devo correre a leggere altro per riprendermi… Un po’ come quando ascolto per sbaglio gigi d Alessio e mi occorre un’hi_fi, un iPod, un walkman, un fonografo… Insomma qualsiasi cosa pur di curare il mio udito… Sono belle le citazioni, ma le citazioni bisogna meritarsele caro mio altrimenti si chiama “trionfo della banalità” che è più o meno il senso della svolta artistica di DD… Grazie a dio ho smesso e in edicola se non trovo di meglio compro il sudoku che mi appassiona di più, anche perché ormai la bonelli e recchioni stanno all arte come un mobile Ikea sta a un noce del 600… È sempre Grazie a dio a casa mia mobili Ikea non c’è ne sono mai stati… Trovo la recensione imbarazzante… Forse volontariamente di parte, forse nemmeno quello ma semplicemente superficiale e buonista… Se questi signori avessero davvero qualcosa da dire lo farebbero creando altri miti e non n imbrattando miti già esistenti… Immaginate un grande arista della bomboletta che viene incaricato dal louvre di rifare lo sfondo alla gioconda per dare nuova linfa al personaggio…ci sono milioni di tele e muri liberi per esprimere la propria arte, che senso ha rovinare quella degli altri?… Per i soldi?!!…per un Rat-Man pagherei anche 50 euro, per un Dylan dog di recchioni voglio i soldi indietro … Ahhh già… Dimenticavo l’ikea!!! Ahahahah ….