
Bisogna saperli leggere
Dal 2016 a Pietrasanta – siamo nella Versilia collinare, non meno suggestiva di quella marittima – si tiene Sophia, festival dedicato alla filosofia.
L’edizione di quest’anno, aveva come tema l’Eros e si è tenuta dal’11 al 20 novembre. Ospiti della giornata conclusiva erano Alfonso Maurizio Iacono, Giacomo Marramao, Federico Maria Sardelli e Vito Mancuso.
Nel suo intervento – intitolato Amare le proprie catene? Rivisitando la caverna di Platone – il professor Iacono ha citato Harold e la matita viola, un libro illustrato, non propriamente un fumetto, ma che come il fumetto provoca il lettore, esigendo una lettura partecipata, capace di riempire i numerosi spazi bianchi che si trovano nelle pagine del libro e seguire il piccolo protagonista nei suoi voli immaginifici. L’intervento di Iacono partiva dal Mito della caverna di Platone per passare a La Tana, un racconto di Kafka e concludersi appunto con il libro di Crockett Johnson. É interessante notare come il relatore non abbia mai sentito la necessità di specificare la natura dei testi, equiparandone di fatto la loro rilevanza all’interno della sua argomentazione.
Quella di Harold è una vera e propria serie, pubblicata in Italia integralmente dall’editore Camelozampa, figlia dello stesso autore del celebre Barnaby una strip che Chris Ware definisce “l’ultima grande striscia a fumetti. [Johnson] È grande quanto Beethoven, o Steinbeck, o Picasso”. Chi volesse conoscere meglio la storia della vita e della carriera di Johnson, scomparso nel 1975, a 68 anni, può leggere questo bel pezzo pubblicato su Fumettologica da Andrea Fiamma.
La riflessione semplice, per non dire banale, che sta alla base di questo articolo è che la natura intrinsecamente ibrida e sintetica del fumetto ha tradizionalmente portato alla considerazione che la lettura di un fumetto fosse un’operazione semplice, alla portata di tutti. Come se il ricorso alle immagini costituisse una scorciatoia o una fuga dalla tematizzazione di concetti complessi, un punto di arrivo accessibile a chiunque piuttosto che una richiesta di decodifica e una sfida alla propria immaginazione, un trampolino da cui calibrare una traiettoria interpretativa.
In questa stagione in cui il fumetto, pardon il Graphic Novel, pare il Santo Graal capace di salvare i bilanci degli editori italiani, quelli che una volta avremmo chiamato “intellettuali” sempre di più si occupano di fumetto, spiegando ai propri lettori quanto belle, profonde e ricche siano quelle storie raccontate anche grazie all’ausilio di immagini. Da appassionati, da “addetti ai lavori”, da lettori gliene siamo grati, nella misura cui questa attenzione possa favorire la crescita di un’industria che pare oggetto di un’espansione smodata ma altrettanto caotica e forse sproporzionata rispetto alle reali capacità del mercato di assorbimento.
Ma resta il dubbio che, a differenza di quanto fa Iacono, chi oggi si approccia e si occupa di fumetto lo faccia non avendo sempre gli strumenti necessari a coglierne le peculiarità, rapportandosi alla tavola come farebbe alla pagina di un testo letterario. La fortuna del graphic novel, succedaneo moderno del “fumetto d’autore” storicamente contrapposto a quello seriale, rischia di alimentare questa svista, contribuendo a spostare il focus sull’aspetto letterario che quel novel suggerisce. Nella nostra intervista lucchese Gipi scherzosamente si flagella per essere stato uno dei protagonisti, con le sue candidature allo Strega, di quel processo di elevazione culturale che ha portato il fumetto a una legittimazione inedita ma anche sbilenca. Ed era sempre lui, ormai una decina di anni fa, che cercava di convincere Conchita De Gregorio che i suoi erano “fumetti”, nonostante le rimostranze della conduttrice che sosteneva fosse “riduttivo” parlare di fumetto mentre osservava gli acquerelli di Unastoria.
Dalla pagina Facebook di Coconino apprendo che nel numero di D – La Repubblica uscito sabato 19 novembre, De Gregorio “ha parlato tanto e con stupore di Hypericon”, il nuovo libro di Manuele Fior.
Non ho ancora avuto modo di leggere il pezzo, ma credo, anche in virtù del tempo trascorso, che lo stupore della giornalista sia quello, genuino e forse inevitabile, di chi cade preda di libri ipnotici come quello di Fior, e non sia invece figlio di un vecchio – e ormai addirittura fuori moda – pregiudizio.
Hypericon è uno dei tanti esempi in cui il fumetto mostra il suo potenziale, sfruttando ellissi, analogie, cromatismi, terze e quarte pareti.
Come una bella poesia, un grande film, un ottimo libro, a patto di saperli interpretare, guardare, leggere davvero.