The Sandman, la serie TV Netflix e noi
Fino ad ora ognuno di noi aveva due Sandman: quello concreto, stampato su carta o digitale, in albetti o volumi, spillati, brossurati, cartonati, economici o super lusso; e quello mentale, generato dalle letture, attraverso riflessioni e discussioni. Il primo è lì, stabile, affidabile, costante; il secondo cambia nel tempo, con noi, in noi. Il primo è quello a cui tutti possono fare riferimento, su cui tutti possono contare, a cui possiamo tornare in ogni momento; il secondo è solo nostro e parla di noi. Le opere con le quali ci confrontiamo attraverso il tempo finiscono per essere uno specchio: ci danno risposte diverse alle stesse domande, perché noi abbiamo trovato altre risposte e nuove risposte a nuove domande, perché abbiamo trovato altre domande.
C’è una parola per questo, e la parola è “cambiamento”.
Sinora ognuno di noi aveva due Sandman, ma fra poco non sarà più così, perché tutti noi avremo un altro Sandman con cui confrontarci, uguale per tutti, a disposizione di tutti: la serie televisiva Netflix. Questa serie materializza “il Sandman di qualcuno”, che quindi da soggettivo, mutevole e dialettico diventa, in quanto artefatto narrativo concreto, oggettivo e referenziabile, da intransitivo a transitivo, perché potrà essere usato da ognuno di noi come riferimento ad altro: le nostre riflessioni, osservazioni, notazioni, i nostri ricordi.
Gli adattamenti avvengono. Le storie generano altre storie e le storie più potenti generano versioni di sé stesse attraverso il tempo, i cambiamenti culturali, politici e sociali. Il loro studio ci offre spunti di analisi e linee di investigazione sia riguardo l’opera matrice (quella “adattata”) sia riguardo il sistema nel quale è emerso quell’adattamento. In questa prospettiva, una visione particolarmente interessante è quella di considerare l’opera matrice stessa come fenotipo e quindi investigare come si manifestano in essa i temi che la generano (che sono quindi il genotipo). L’adattamento è quindi analizzato come un processo di speciazione – che porta cioè in maniera irreversibile a qualcosa di diverso -, che va considerato come l’evoluzione di una relazione, quella fra l’opera e il suo ambiente, ed è sempre intrigante considerare quei caratteri che, come le ali, sembrano scaturire da una sorta di predisposizione preventiva, una potenzialità ora espressa (caso pratico: Death).
Gli adattamenti avvengono e non si tratta di complotti contro di noi. Non sono un tentativo di degradare le nostre letture, non più di quanto qualsiasi nuovo virus lo sia di farci ammalare. Non nascono per imporre una lettura sulle altre e sono forse la cosa più vicina a un fenomeno naturale che possiamo trovare nella nostra cultura basata sui racconti. Questo non significa che dobbiamo accettare qualsiasi cosa, ma che dobbiamo essere consapevoli dell’origine delle nostre critiche e della prospettiva nella quale ci confrontiamo con l’adattamento. Se alla base c’è il sentirsi defraudati di qualcosa di nostro, è il caso di fare un passo indietro; se c’è il desiderio di affermare la nostra lettura contro quella proposta dall’adattamento, è il caso di prendersi il tempo per riflettere e lasciar passare questo sentimento. Se il nostro cuore è chiuso, se siamo così legati alla nostra lettura che ogni distacco da essa ci sembra un attacco a noi stessi e alla nostra identità, dovremmo metterci in discussione profondamente. Che, lo ricordo a chi se ne fosse dimenticato nel tepore confortevole dello specchiarsi nella propria lettura, è ciò di cui parla Sandman.
Buona visione, buoni sogni.